Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13007 del 24/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 24/05/2017, (ud. 01/12/2016, dep.24/05/2017),  n. 13007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24160-2013 proposto da:

F.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 118 STUDIO LEGALE AGATHEMIS,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE DE FRANCESCO, rappresentata

e difesa dagli avvocati FRANCESCO MODICA, SINA FAUSTINA MODICA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

VOLTANO S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1387/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/06/2013 R.G.N. 1621/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. DE GREGORIO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Palermo con sentenza n. 1387 del 30 maggio – 18 giugno 2013, in riforma della impugnata pronuncia, resa dal giudice del lavoro di Agrigento (n. 592/24.03.2011, giudizio di primo grado introdotto con atto depositato il 27-09-2006, che aveva in buona parte accolto l’azionata pretesa creditoria limitatamente agli anni dal 1987 al 2005), rigettava integralmente le domande dell’attrice F.R., intese ad ottenere differenze retributive ed altro nei riguardi della convenuta appellante VOLTANO S.p.a., ritenendo che nella specie, all’esito della complessiva espletata attività istruttoria, non era stata provata l’asserita esistenza di un ininterrotto rapporto di lavoro subordinato di natura continuativa (part – time) alle dipendenze della resistente società, circa il servizio di pulizia svolto dalla ricorrente nei locali della stessa VOLTANO. Tra l’altro, secondo la Corte palermitana, non era possibile comprendere se l’appellata, nelle occasioni in cui era stata vista all’interno dei locali aziendali, vi si fosse recata in quanto preventivamente obbligata in ragione di accordo verbale con i vertici societari, ovvero in qualità di collaboratrice (o anche di sostituta) del marito, unico effettivo titolare del rapporto di lavoro ed esclusivo percettore della corrisposta retribuzione.

Avverso l’anzidetta sentenza di appello – che con l’accoglimento del gravame principale interposto dalla società, aveva quindi ritenuto assorbito quello incidentale di F.R. per la parte della domanda anni 1984/86, non accolta in prime cure – quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione con atto in data tre – 11 ottobre 2013, affidato a due motivi, producendo tra l’altro due sentenze, munite di certificazioni in ordine al loro passaggio in giudicato (rilasciate il 25-09-2013 dalla compente cancelleria), con le quali il giudice del lavoro del Tribunale di Agrigento, nel pronunciarsi sulle opposizioni di VOLTANO S.p.a. avverso le impugnate cartelle esattoriali, emesse nell’interesse dell’I.N.P.S., quale ente impositore per omessa contribuzione previdenziale, aveva accertato l’obbligo contributivo da lavoro dipendente nei riguardi della lavoratrice F.R. per i periodi di ottobre/dicembre 2004 e di gennaio/dicembre 2005 (sentenza n. 675/22-03-2010), nonchè dicembre 1995/settembre 2004 (sentenza n. 494/sette febbraio 2013).

La S.p.a. VOLTANO è rimasta intimata.

La ricorrente, infine, ha depositato memoria in data 29/11/2016, perciò oltre il termine consentito dall’art. 378 c.p.c., con riferimento alla pubblica udienza fissata al primo dicembre 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente ha lamentato violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c,, n. 3, con specifico riferimento agli artt. 2094 e 2697 c.c., nonchè art. 115 e 416 c.p.c., in concomitanza con l’omesso esame di punti fondamentali per il giudizio, quali emergenti dall’istruttoria dibattimentale ed oggetto di discussione tra le parti; omesso rilievo e pronuncia di giudicato emergente dagli atti, prodotti in giudizio, rilevabile di ufficio, con conseguente nullità della sentenza impugnata.

La Corte territoriale aveva errato riguardo alla valenza probatoria della non contestazione ed all’omesso rilievo della pronuncia di giudicato.

Con il secondo motivo (pagine da 24 a 28 del ricorso, peraltro ritualmente notificato, a seguito di richiesta del tre ottobre 2013, come da relata in data 11-10-2013), quanto alla titolarità del rapporto di lavoro subordinato in capo ad essa ricorrente, posta in dubbio dalla Corte palermitana, è stata denunciata la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., laddove la superficiale lettura degli atti di causa aveva comportato il risolversi del “prudente apprezzamento” nella mancata valutazione ed esame di fatti ed elementi decisivi emersi nel corso dell’istruttoria, con conseguente nullità e/o inefficienza della sentenza impugnata.

Tanto premesso, alla luce delle risultanze processuali in atti, il ricorso appare in parte fondato, di guisa che la gravata pronuncia va cassata per quanto di ragione nei seguenti limiti.

Come si evince anche dalla narrativa della sentenza di primo grado, la società convenuta nel costituirsi in giudizio, contestava la data di inizio del rapporto, che indicava nel febbraio 2003, e non già nell’aprile 1984 (secondo quanto dedotto dall’attrice), poichè fino a tale epoca le attività di pulizie erano state eseguite dal marito della ricorrente ( R.S., poi escusso anche come teste), il quale aveva sottoscritto le ricevute di pagamento ed anchèuna lettera di richiesta di aumento. Per di più, nella stessa memoria difensiva, la resistente società, premesso anche che tutte le successive ricevute da febbraio 2003 a dicembre 2003 erano state firmate dalla ricorrente, concludeva così testualmente “1) ritenere e dichiarare che il rapporto lavorativo quale addetta alle pulizie tra l’odierna ricorrente e la VOLTANO S.p.a. si è svolto dal mese di febbraio 2003 ed ha avuto termine nel dicembre 2005 per un totale di non più di sei ore settimanali; 2) conseguentemente ritenere e dichiarare l’infondatezza di tutte le altre richieste formulate, respingendole in toto. In via istruttoria:… non ammettere interrogatorio formale del presidente pro – tempore della Voltano S.p.a., in quanto, essendo stato nominato presidente in data 19-11-2002 non può conoscere dei fatti di cui agli articolati indicati da controparte e anche perchè nel periodo che va dal febbraio 2003 al dicembre 2005 il rapporto lavorativo con l’odierna ricorrente veniva gestito dall’ufficio economato, che provvedeva alla liquidazione delle somme mensili ed alla firma delle relative ricevute…”.

La sentenza di primo grado, con l’anzidetto parziale accoglimento delle domande, limitatamente al periodo 1987/2005, sulla scorta pure delle dichiarazioni testimoniali giudicate attendibili e pertinenti, venne quindi appellata dalla VOLTANO con atto notificato in data 14-07-2011, nonchè in via incidentale anche dalla F., la quale nel resistere pure all’interposto gravame, osservava tra l’altro che la medesima società nessun dubbio aveva sollevato nella memoria di costituzione in primo grado, nè successivamente, quanto alla natura subordinata del rapporto, anzi espressamente ammessa (però con gli anzidetti limiti, essenzialmente temporali). Inoltre, irritualmente soltanto con l’avversario ricorso d’appello era stata prodotta la missiva, mediante cui R.S. (coniuge dell’istante F.R.) aveva rivendicato le spettanze retributive nei confronti della convenuta.

Orbene, appaiono giustificati i rilievi mossi con il primo motivo dalla ricorrente F., laddove lamenta che la Corte territoriale non ha tenuto conto, sotto il profilo probatorio, della mancata contestazione da parte resistente, quanto meno per gli anni 2003/2005, delle allegazioni di cui al ricorso introduttivo, laddove l’attrice aveva dedotto di aver lavorato alle dipendenze della VOLTANO S.p.a., già azienda Consortile Voltano di Agrigento, quale addetta alla pulizia dei locali della precedente sede legale, sin dall’aprile 1984, per tre volte alla settimana fino al 2003, per un monte ore di sette ore e mezzo, e per quattro volte alla settimana, per complessive dieci ore, fino al dicembre 2005, epoca in cui si era interrotto il rapporto in coincidenza con il trasferimento della sede sociale in Aragona; richiamava tra l’altro gli “esatti ammontari” documentati dalle ricevute predisposte anticipatamente dalla società e sottoscritte mensilmente a nome suo o del marito R.S., però senza regolare assunzione a norma di legge con il pagamento dei contributi previdenziali ed assicurativi e senza aver percepito la giusta retribuzione, nè mensilità aggiuntive, nè maggiorazioni per straordinario e nemmeno il t.f.r., lamentando ancora il mancato godimento delle ferie spettanti.

Ed invero, a fronte delle anzidette precise allegazioni, la società resistente si limitava a contrapporre contestazioni relative essenzialmente al quantum delle pretese ex adverso rivendicate, soprattutto sotto il profilo cronologico – temporale, ma senza specificamente disconoscere che la F. avesse lavorato alle sue dipendenze, quanto meno dal marzo dell’anno 2003, assumendo invece che fino ad allora la prestazione lavorativa veniva fornita dal R. – il quale svolgeva regolare attività come portiere nel palazzo di via Esseneto 18- nel primo pomeriggio o talvolta di domenica, provvedendo alla pulizia dell’appartamento adibito ad ufficio, il tutto come da ricevute di quietanza delle somme percepite dal 1987 al febbraio 2003 firmate dallo stesso R..

Come affermato, tra le altre, da Cass. 4854/2014, il principio di non contestazione è da lungo tempo applicato nel rito di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c., per costante insegnamento di questa S.C. (cfr. Cass. 13.3.12 n. 3974, 3.7.08 n. 18202, 27.2.08 n. 5191, 16.12.05 n. 27833, 19.1.05 n. 996, 6.7.04 n. 12345, 5.3.04 n. 4556, 21.10.03 n. 15746, 15.1.03n. 535; Cass. S.U. 23.1.02 n. 761), in virtù dell’art. 416 c.p.c., che impone al convenuto l’onere di prendere subito immediata e precisa posizione, a pena di decadenza, in ordine ai fatti asseriti dall’attore, con la conseguenza che la mancata contestazione dei fatti costitutivi della domanda vincola il giudice a ritenerli sussistenti, sempre che si tratti di fatti primari (cioè costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio dall’attore o dal convenuto che agisca in riconvenzionale, mentre i fatti secondari – vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria – possono contestarsi in ogni momento).

Il principio di non contestazione, inteso nei termini anzidetti, non importa inversione dell’onere della prova, ma concorre ad una corretta delimitazione dell’area dell’attività istruttoria, superando la necessità di provare fatti che l’altra parte non contesti specificamente in primo grado (cfr. altresì Cass. 3 civ. n. 12517 del 17/06/2016, secondo cui la non contestazione del convenuto costituisce, anche nelle controversie in tema di riscatto o prelazione agraria, un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale, ritenendolo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti).

Diventa tardiva, quindi, la contestazione solo in appello, la quale, pur non integrando eccezione in senso proprio, risulta preclusa ostandovi il divieto di nova sancito dall’art. 437 c.p.c., che riguarda non – soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni nuove, ossia non esplicate in primo grado (cfr. Cass. 28.5.2007 n. 12363, 16.2.2000n. 1745) e ciò per il combinato disposto con l’art. 416 c.p.c., (che, infatti, parla di onere di tempestiva contestazione a pena di decadenza, decadenza che verrebbe frustrata se le contestazioni potessero opporsi anche soltanto in appello) e perchè nuove contestazioni in secondo grado, modificando i temi di indagine, trasformerebbero il giudizio d’appello da mera revisio prioris instantiae in judicium novum, il che è estraneo al vigente ordinamento processuale. Inoltre, altererebbero la parità delle parti, esponendo l’altra parte – a fronte della tardiva contestazione effettuata solo in appello – all’impossibilità di chiedere l’assunzione di quelle prove cui, in ipotesi, aveva rinunciato confidando nella mancata contestazione ad opera dell’avversario.

In altre parole, è la logica stessa che presiede al principio di non contestazione e al giudizio d’appello ad escludere che, spirato il termine di cui all’art. 416 c.p.c., possano introdursi nuove contestazioni in punto di fatto.

Unica deroga al principio appena esposto è costituita dalla possibilità, come affermato dalla citata sentenza 4854 del 2014 di questa Corte, che il giudice positivamente accerti, d’ufficio, l’esistenza o l’inesistenza di fatti non contestati alla luce delle risultanze probatorie già ritualmente e tempestivamente acquisite (in linea con quanto già statuito da Cass. 4.4.2012 n. 5363; Cass. 10.7.2009 n. 16201).

Correttamente, inoltre, la ricorrente ha dedotto la mancata considerazione del giudicato di cui alla sentenza n. 675/22-03-2010, r.g. n. 2173/08 (allegata sub. doc. n. 5 al fascicolo di secondo grado, richiamata a pag. 8 nella memoria difensiva di costituzione con appello incidentale, in allegato sub 1 nella relativa produzione), passata quindi in cosa giudicata formale come da succitata certificazione del 25-09-2013, depositata con l’attuale ricorso. In tale pronuncia, che rigettava il ricorso della VOLTANO avverso l’opposta cartella esattoriale, si legge che quest’ultima aveva ad oggetto il mancato pagamento di contributi relativi alla lavoratrice F.R. per il periodo da ottobre 2004 al dicembre 2005 e scaturiva dal verbale di accertamento ispettivo del 9-2-2007, laddove era stata contestata tale omissione contributiva da parte della medesima VOLTANO S.p.a., dopo aver raccolto le dichiarazioni del suo responsabile amministrativo, il quale il 24 gennaio 2007 aveva dichiarato che la lavoratrice aveva iniziato a lavorare per la società da febbraio 2003 al dicembre 2005 per non più di sei ore alla settimana, senza peraltro considerare il diverso arco temporale denunciato dalla F. in data 11-02-2006 e per cui inoltre il rapporto di lavoro per il suindicato periodo era stato infine confermato dalla VOLTANO S.p.a. con l’odierno ricorso, ossia quello di opposizione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la – premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo (così, tra le altre, Cass. sez. unite civili n. 13916 del 16/06/2006, secondo cui peraltro l’anzidetta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta.

Inoltre, l’anzidetta sentenza di Cass. sez. un. n. 13916/06 ha chiarito che nel giudizio di cassazione l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione; qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 c.p.c., per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall’art. 384 c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni. In senso analogo v. pure Cass. 1^ civ. n. 26041 del 23/12/2010.

Parimenti, le Sezioni unite civili di questa Corte si sono pronunciate con la sentenza n. 26482 del 20/11 – 17/12/2007, alla cui articolata motivazione si rimanda per ogni altro più approfondito riferimento: qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.

Cfr. ancora Cass. s.u.c. n. 24664 del 28/11/2007: posto che il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito).

D’altro canto, la sentenza che sia passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, poichè, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche pure nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nei quali sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definita in quel processo, o comunque subordinati a questa (Cass. lav. n. 2137 del 31/01/2014, secondo cui di conseguenza l’INPS ha titolo ad avvalersi di sentenze, passate in giudicato, che abbiano accertato l’illegittimità della collocazione in cassa integrazione di alcuni lavoratori, avendo dette pronunce effetti restitutori sull’erogazione dell’integrazione salariale, a prescindere dalla causa di illegittimità di concessione della stessa e potendo, l’istituto previdenziale, richiedere al datore di lavoro i contributi commisurati all’intero importo della retribuzione dovuta ai lavoratori.

In senso analogo, v. anche Cass. 1, civ. n. 24558 del 2/12/2015, secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi, ma, quale affermazione obiettiva di verità, è ugualmente idoneo a spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, semprechè il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene. Conforme Cass. n. 691 del 13/01/2011: dal principio stabilito dall’art. 2909 c.c., si evince, “a contrario”, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi. Il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, ma tali effetti riflessi sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile nè che egli ne possa ricevere pregiudizio giuridico, nè che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa, salvo che tale facoltà sia espressamente prevista dalla legge, come nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c., Conforme Cass. n. 7523 del 2007.

Analogamente nei sensi anzidetti v. Cass. lav. n. 6788 del 19/03/2013).

Alla stregua dei principi sopra richiamati appaiono dunque altresì giustificate le doglianze di parte ricorrente riguardo al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Agrigento, n. 494 in data sette febbraio 2013 (r.g. n. 2989/08), contro la quale non risulta proposto appello, come da espressa attestazione in tal sensi datata 25-09-2013 (n.b. la pronuncia oggetto del ricorso qui in discussione risulta pubblicata il 18 giugno 2013, a seguito di appello della società in data 24-03-11, notificato il 14-07-11 e con successiva impugnazione incidentale del 21-07-2011). Infatti, con la citata pronuncia n. 494/13 l’adito giudice del lavoro condannava l’attuale società ricorrente al pagamento, in favore della Società di Cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., dei contributi previdenziali omessi relativamente al rapporto di lavoro intrattenuto con F.R., per il periodo compreso tra il dicembre 1995 ed il settembre 2004, per un orario di lavoro pari a sei ore settimanali, oltre accessori, dichiarando altresì compensate le spese tra l’opponente e l’I.N.P.S., nonchè la società concessionaria del servizio di riscossione, e per un quarto quelle tra la stessa VOLTANO e la S.C.C.I. S.p.a., per il resto liquidate a carico di quest’ultima, ritenendo provata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la F. e la società Voltano, opponente avverso la cartella esattoriale emessa per il periodo dicembre 1995 ed il settembre 2004 sulla scorta pure delle testimonianze acquisite, rese in occasione del giudizio iscritto al n. 1981/06 r.g., promosso dalla lavoratrice (n. di ruolo generale corrispondente alla sentenza n. 592/11, poi riformata in appello dalla sentenza qui impugnata).

Dunque, l’impugnata sentenza va cassata negli anzidetti limiti, risultando per il resto assorbite le altre doglianze della ricorrente, peraltro attinenti a valutazioni di fatto compiute dal giudice di merito, come tali allo stato non rilevanti in questa sede di legittimità.

Occorrendo ulteriori accertamenti in punto di fatto per la compiuta definizione della vertenza, l’impugnata pronuncia deve essere annullata, con conseguente rinvio ex art. 384 c.p.c., al giudice di merito, che si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati, provvedendo all’esito anche al regolamento delle spese relative a questo giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, CASSA l’impugnata sentenza e RINVIA, anche per le spese, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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