Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13002 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34757-2018 proposto da:

M.A., M.C., M.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato CARMELINA

AURILLO;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, D.R.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 926/2018 del TRIBUNALE di AVELLINO, depositata

l’11 /05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa GORGONI

MARILENA.

Fatto

RILEVATO

che:

M.A., M.C. e M.G. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 926/2018 del Tribunale di Avellino, pubblicata l’11 maggio 2018, articolando due motivi, corredati di memoria.

Nessuna attività difensiva è svolta dai resistenti.

I ricorrenti espongono in fatto di aver convenuto, insieme con D.A., innanzi al Giudice di Pace di Avellino, la Fondiaria Sai S.p.A. e D.R.A., per sentirli condannare, al risarcimento dei danni subiti da M.G., di cui sono eredi, nell’incidente stradale avvenuto il 23 maggio 2008.

A loro avviso, la responsabilità del sinistro era da imputarsi esclusivamente ad D.R.A. che, all’uscita della galleria Montemiletto, alla guida di una Y 10, nei pressi di una curva e su un tratto di strada con segnaletica di striscia continua, tentava il sorpasso del motocarro condotto da M.G., ma, poi, avvedutasi del sopravvenire dell’autocarro Fiat Magirus 440 E35, condotto da C.L., sulla opposta corsia di marcia, rientrava immediatamente nella propria corsia, effettuando un’improvvisa manovra per spostarsi sulla destra. M.G. per evitare di investire la Y 10 frenava bruscamente, facendo ribaltare il proprio motocarro che andava ad urtare l’autocarro proveniente dall’opposto senso di marcia.

Il CTP accertava a carico di M.G. un’invalidità permanente del 4%, una invalidità temporanea totale di 19 giorni ed una parziale di altri 15 giorni.

In aggiunta, per la riparazione del motocarro era stata necessaria una spesa di Euro 1.075,00.

In via istruttoria si chiedeva l’ammissione dell’interrogatorio formale di D.R.A., la prova per testi e la nomina di un CTU.

I convenuti venivano dichiarati contumaci.

Con sentenza n. 497/2014, il Giudice di Pace rigettava la domanda attorea ritenendo non provata la responsabilità della convenuta.

Gli eredi M. impugnavano la sentenza di prime cure dinanzi al Tribunale di Avellino, il quale, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, rigettava il gravame e li condannava al pagamento delle spese di lite in favore di UnipolSai Assicurazioni S.p.A.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 148C.d.S., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto assente qualsiasi elemento da cui dedurre la responsabilità della conducente della Y10 nella causazione del sinistro, preferendo attribuire maggiore attendibilità a quanto dichiarato da C.L. nell’immediatezza del fatto ai carabinieri intervenuti sul luogo dell’incidente – quando si era limitato a riferire di aver visto che la Y10 sorpassava l’Ape tre ruote, che poi rientrava nella propria corsia e che l’Ape si ribaltava – rispetto a quella resa innanzi al Giudice di Pace – quando aveva aggiunto che la Y10, rientrando nella sua corsia di marcia, dopo aver tentato il sorpasso, non lasciava spazio all’Ape, riferendo che non aveva visto l’urto tra i due mezzi, ma solo che la Y10 stringeva il motocarro -precludendosi la possibilità di cogliere gli elementi a sostegno della responsabilità esclusiva di D.R.A. che sarebbe incorsa in una duplice violazione dell’art. 148 C.d.S.: a) aver iniziato una manovra di sorpasso senza accertarsi della visibilità e dell’assenza di pericolo e di intralcio; b) aver sorpassato in prossimità o in corrispondenza di curve, dossi e in ogni caso di scarsa visibilità.

Il motivo è inammissibile.

In violazione dei caratteri morfologici e funzionali del giudizio di cassazione, i ricorrenti pretendono di ottenere un diverso esito della valutazione delle emergenze istruttorie.

Va rilevato che costituisce un principio da cui non v’è ragione di discostarsi quello secondo cui l’esame delle deposizioni dei testimoni nonchè la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Cass. 08/08/2019, n. 21187).

Nel caso di specie, il Tribunale non ha fatto che esercitare, avvalendosi del proprio prudente apprezzamento, il potere di valutare l’attendibilità della testimonianza resa da C.L., tenuto conto della parziale divergenza tra quanto da lui riferito ai carabinieri nell’imminenza del sinistro e quanto dichiarato dal medesimo dinanzi al giudice di prime cure.

In aggiunta, mette conto rilevare che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e tenuto conto, nel caso di specie, dei limiti, cui è sopposta la deducibilità di tale vizio in caso di doppia decisione conforme. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, la censura con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotta e formulata, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme asseritamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

In aggiunta, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è stata dedotta senza che ne ricorressero i presupposti; a) non è stato dedotto che il giudice abbia giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.) (Cass. 10/06/2016, n. 11892); b) non è stato imputato al giudice di aver valutato una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale) nè di avere valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza gravata per aver violato l’art. 232 c.p.c. (a mente del quale se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il Collegio, valutato, ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la contumacia della convenuta e la mancata risposta all’interrogatorio formale deferitole, non essendo l’attore esonerato dall’onere di provate i fatti costitutivi della propria domanda nè potendo chiedere di trarne conseguenze ex art. 116 c.p.c. in ordine alla dimostrazione del proprio assunto.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, va chiarito che l’art. 232 c.p.c., a differenza dell’effetto automatico di “ficta confessio” ricollegato a tale vicenda dall’abrogato art. 218 del codice di rito, riconnette al comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass. 09/09/2014, n. 19883; Cass. 26/04/2013, n. 10099; Cass. 12/07/2018, n. 18342).

La motivazione fornita dal Tribunale non risulta scalfita dalle censure dei ricorrenti che rivolgono le loro doglianze ad una mancata valorizzazione dell’elemento probatorio a carattere presuntivo fornito, collegato alla mancata presentazione della convenuta a rendere l’interrogatorio formale deferitole.

Su tale questione questa Corte ha costantemente affermato che la mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio formale costituisce fatto processuale, tale da indurre a ritenere ammessi i fatti che formano oggetto di interrogatorio, purchè concorrano anche altri elementi (Cass. n. 17249 del 2003). La disposizione dell’art. 232 c.p.c. non ricollega, infatti, automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (Cass. n. 3258 del 2007; Cass. n. 5240 del 2006).

Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che la mancata comparizione a rendere l’interrogatorio fosse irrilevante, e non già insufficiente, a costituire ammissione delle circostanze deferite ad Annamaria D.R., in quanto non sussistevano gli elementi probatori atti a corroborare tale valutazione, costituiti dalla circostanza che l’auto da lei condotta avesse urtato il motocarro nel tentativo di reimmettersi nella propria corsia di marcia dopo aver iniziato una manovra di sorpasso, non condotta a termine per il sopravvenire di un autocarro in direzione opposta. Le censure che i ricorrenti muovono a tale argomentazione non mettono bene a fuoco la decisione del Tribunale, investendo inammissibilmente il merito della decisione (Cass. 18/04/2018, n. 9436).

3. Non emergendo dalla memoria depositata dagli eredi M. in vista dell’odierna Camera di Consiglio alcuna argomentazione idonea ad incrinare le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.

4. Nulla deve essere liquidato per le spese non avendo i resistenti svolto attività difensiva in questa sede.

5. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla liquida per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in cancelleria il 30 giugno 2020

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