Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13001 del 23/06/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13001 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 29037-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – società con socio unico – in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e leglae
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI
134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
DI BELLO COSIMA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,
rappresentata e difesa dall’avvocato SILVESTRO LAZZARI giusta
mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

Data pubblicazione: 23/06/2015

avverso la sentenza n. 5692/2012 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 29/10/2012, depositata V11/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

FATTO E DIRITTO

confermava la decisione del Tribunale in sede nella parte in cui aveva
dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro
intercorso tra di Bello Cosima e Poste Italiane s.p.a. per il periodo dal 7
gennaio al 29 febbraio 2000 e la sussistenza di un rapporto a tempo
indeterminato tra le parti sin dalla data di assunzione con condanna
della società a riammettere il servizio la ricorrente, riformandola sul
capo relativo alla conseguenze economiche derivate dalla declaratoria
di nullità condannando Poste Italiane al pagamento, a titolo di
indennità ex art. 32 della legge n. 183 del 2010, di 2,5 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Il termine al contratto era stato apposto ” per esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e di attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane”.
La Corte territoriale rilevava che il contratto era stato stipulato
dopo lo spirare del termine massimo di vigenza della contrattazione
che autorizzava le ipotesi “ulteriori” di legittima apposizione del
termine ai contratti di lavoro con la società Poste Italiane (e cioè dopo
il 30/4/1998).
Applicava, quindi, lo ius superveniens determinando l’indennità di cui
all’art. 32 , co.5°, della L. n. 183/2010 nei termini sopra indicati.
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 18 dicembre 2012,

Per la cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane
s.p.a. affidato a due motivi.
La Di Bello resiste con controricorso e propone ricorso incidentale
fondato su un motivo.
E’ stata depositata relazione ex art. 375 c.p.c. in cui viene proposto il

memoria ex art. 380 bis c.p.c..
Osserva il Collegio che il contenuto della suindicata relazione è
condivisibile con riferimento al ricorso principale.
Ed infatti, con il primo motivo si lamenta violazione e falsa
applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 del
CCNL 26.11.1994, nonché degli accordi sindacali del 25.9.1997, del
18.1.1998, del 27.4.1998, del 2.7.1998, del 24 maggio 1999 e del
18.1.2001, in connessione con l’art. 1362 c.c. e segg. – art. 360 c.p.c., n.
3. Si assume che, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici
di cui all’art. 1362 c.c. e segg., e, in particolare, ricercando la volontà
comune delle parti nello stipulare l’integrazione all’art. 8 CCNL 1994,
doveva concludersi che gli accordi collettivi non fissavano alcun limite
temporale alla stipula dei contratti a termine.
Con il secondo mezzo si deduce omessa ed insufficiente motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio assumendosi che la
Corte territoriale aveva esposto in modo inidoneo le ragioni circa il
rapporto, asseritamente sussistente, tra il contratto collettivo,
l’Accordo sindacale del 25.9.1997 ed i successivi ed. accordi attuativi,
in relazione alla esistenza del supposto limite temporale.
Entrambi i motivi , da trattare congiuntamente in quanto
logicamente connessi, sono infondati.
Ed infatti la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L.
28 febbraio 87, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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rigetto del ricorso principale. Nessuna delle parti ha depositato

collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie
tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal
D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n.
79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto
di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei

figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per
legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato,
quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo
integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi
attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con
tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza
dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al
30.4.98 della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali
menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze
l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con
contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo che
debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine
stipulati successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano
raggiunto un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato
accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo prima al
31.1.98 e dopo al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel
contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto
fosse scaduto dopo il 30.4.98 (v., exp/urimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo 18.01.01
perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè quando
si era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità. Anche se
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di

con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente
gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97 (ormai
scaduto), comunque sarebbe stato violato il principio
dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le

contratti a termine non più legittimi perché adottati in violazione della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigente eccezionali è dunque negozialmente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione
dell’art. 23. Essendo stato il contratto della Di Bello stipulato per un
periodo successivo al 30.4.1998 i motivi sono infondati.
Passando all’esame del ricorso incidentale, non esaminato nella detta
relazione, con l’unico motivo viene dedotta la violazione della clausola
4 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70 CE; violazione
dei principi comunitari di effettività, di non discriminazione e di
equivalenza della tutela garantita al lavoratore assunto a tempo
determinato nonché del diritto fondamentale ad un tutela
giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 47 della Carta e dall’art. 6
CEDU; violazione degli artt. 1, 20, 21, 33 , 41, 53 e 54 della CEDU.
Il motivo è infondato.
Ed infatti la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 303/2011, ha
già dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale
della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, sollevate con
riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e art. 117, comma 1,
rilevando, in particolare, l’applicabilità della novella “a tutti i giudizi in
corso, tanto nel merito, quanto in sede di legittimità”.
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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parti stipulanti potessero, con detto strumento, autorizzare ex post

Quanto alla denunciata violazione delle sopra indicate norme
dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE questa Corte
(cfr.: Cass. 2 aprile 2014 n. 7685) ha già avuto modo di affermare che
la dedotta riduzione del risarcimento non costituisce un effetto
necessario ed ineludibile della normativa all’esame, ben potendo darsi

maggiore della somma che, applicando le regole generali civilistiche,
verrebbe ad essere liquidata, come, ad esempio, potrebbe verificarsi
laddove l’ aliunde perceptum coprisse per intero l’ammontare delle
retribuzioni astrattamente dovute a far tempo dalla costituzione in
mora ovvero se comunque l’importo coacervato di tali retribuzioni
fosse inferiore all’indennità liquidabile.
Ma, anche al di là di tali considerazioni, è stato osservato che le
statuizioni della sentenza Carratù non autorizzano le conclusioni che la
ricorrente incidentale ne vorrebbe trarre.
Tali conclusioni si fondano, in sostanza, su quanto enunciato dalla
Corte di Giustizia ai punti 46 e 47 della ridetta sentenza:

“46 Ciò nondimeno va precisato che la clausola 8, punto 1, dell’accordo quadro
dispone che Stati membri e/ o le parti sociali possono mantenere o introdurre
disposionipiù favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo».
“47 Più specificamente, se la formulnione della clausola 4, punto 1, dell’accordo
quadro non consente di ritenere che l’indennità che satkiona l’illecita apposkione di
un termine ad un contratto di lavoro e quella corrispondente all’interrikione di un
contratto di lavoro a tempo indeterminato si rifèriscano a lavoratori che si trovano
in situckioni comparabili, dal combinato disposto delle summenionate clausole 4,
punto 1, e 8, punto 1, risulta che queste legittimano gli Stati membri che lo
desiderino a introdurre disposkionipiùfavorevoli ai lavoratori a tempo determinato
e, pertanto, ad assimilare, in un’ipotesi come quella in discussione nel procedimento
principale, le conseguerke economiche della illecita conclusione di un contratto di
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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il caso che l’indennità omnicomprensiva sia in concreto di ammontare

lavoro a tempo determinato a quelle che possono derivare dalla illecita interruzione
di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.”
Prosegue però la Corte di Giustizia osservando che:

“48 Di conseguenza, è d’uopo l-rispondere alla quinta questione dichiarando che,
sebbene l’accordo quadro non osti a che gli Stati membri introducano un

lavoratori a tempo determinato, la clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro
deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica
l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto
di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a
tempo indeterminato.
“Sulle questioni prima, seconda, terza e sesta
“49 Considerata la soluzione fornita alla quarta e alla quinta questione, non è
necessario pronunciarsi sulle questioni prima, seconda, terza e sesta.”
Orbene, se si considera che la prima questione ineriva al quesito

“Se sia contrari[a] al principio di equivalenza una disposizione di diritto interno
che, nella applicazione della direttiva 1999/ 70/ CE, preveda conseguenze
economiche, in ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di
lavoro, con clausola appositiva del termine nulla, diverse e sensibilmente inferiori
rispetto [alle] ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di
diritto civile comune, con clausola appositiva del termine nulla”, con
rappresentazione quindi proprio della situazione normativa in
riferimento alla quale la ricorrente assume doversi ritenere la
contrarietà della novella legislativa alle disposizioni comunitarie, deve
convenirsi che se la Corte di Giustizia avesse ravvisato la sussistenza di
tale contrarietà avrebbe dato risposta positiva al quesito e non
certamente affermato la non necessità di pronunciarsi.
Peraltro la Corte di Giustizia UE ha chiarito che sulla scorta del solo
principio di uguaglianza/non discriminazione, previsto dalla Clausola 4
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dall’accordo stesso per i

della Direttiva 1999/70/Ce, non si può ritenere violata la parità di
trattamento, perché non appaiono direttamente comparabili la tutela
prevista per la illegittima interruzione dei contratti a tempo
indeterminato ex art. 18 1. 300/70, nella formulazione ante riforma c.d.
Fornero, e quella dovuta per l’ipotesi di illegittima interruzione dei

della illegittima interruzione del rapporto di lavoro a termine non
trovano quindi tutela sulla scorta della sola Clausola 4.
Osserva inoltre il Collegio che, in ordine alla portata del comma 5, è
intervenuta la disposizione di interpretazione autentica di cui all’art. 1,
comma 13, legge n. 92/12, in base al quale “La disposkione di cui al

comma 5 dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel
senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudkio subito dal
lavoratore, comprese le conseguente retributive e contributive relative al periodo
compreso fra la scadena del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale
il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Premesso che l’art. 32, comma 5, legge n. 183/10 costituisce una
disposizione che di per sé, attraverso la forfetizzazione del danno,
inerisce a quei diritti retributivi e previdenziali di cui qui si eccepisce
l’ingiustificato sacrificio, ma della quale la Corte Costituzionale ha
ritenuto la ragionevolezza siccome “nell’insieme, adeguata a realivare un

equilibrato componimento dei contrapposti interessi” (cfr, Corte Costituzionale,
n. 303/2011), è stato osservato come dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale (cfr, ex plurúnis, Corte Costituzionale, n. 257/2011) sono
enucleabili i seguenti principi:- il divieto di retroattività della legge non
è stato elevato a dignità costituzionale, salva, per la materia penale, la
previsione dell’art. 25 della Costituzione, per cui il legislatore, nel
rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di
interpretazione autentica, che determinano la portata precettiva della
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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contratti a termine (punti 44 e 45 della Sentenza). Le conseguenze

norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già
espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva,
purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti; – la norma che deriva dalla legge di

ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa
contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo
originario; – con riferimento ai rapporti tra Part. 117, primo comma,
Costituzione e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo, e, in particolare, con riguardo all’art. 6
della CEDU, la Corte di Strasburgo non ha inteso enunciare un divieto
assoluto d’ingerenza del legislatore, dal momento che, in varie
occasioni, ha ritenuto non contrari al suddetto art. 6 particolari
interventi retroattivi dei legislatori nazionale, affermando la regola (cfr
la sentenza della seconda sezione in data 7 giugno 2011, in causa Agrati
ed altri c/Italia) secondo cui, “Se, in linea di principio, il legislatore può

regolamentare in materia civile, mediante nuove dilsposizioni retroattive, i diritti
derivanti da leggi già vigenti, il piincipio della preminenza del diritto e la nozione
di equo processo sancito dall’articolo 6 ostano, salvo che per ragioni imperative
d’interesse generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia
allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia. L’esigenza della parità
delle armi comporta l’obbligo di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilità di
presentare il suo caso, in condizioni che non comportino un sostanziale svantaggio
ri.spetto alla controparte”; – con la conseguenza che, anche secondo la
suddetta regola, “sussiste lo .spazio per un intervento del legislatore con efficacia

retroattiva (fermi i limiti di cui all’ad. 25 Cost.). Diversamente, se ogni intervento
del genere fosse considerato come indebita ingerenza allo scopo d’influenzare la
risoluzione di una controversia, la regola stessa sarebbe destinata a rimanere una
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
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interpretazione autentica non può dirsi irragionevole qualora si limiti

mera enuncicqione priva di significato concreto” (cfr, Corte Costituzionale, n.
257/2011, cit. e, per il richiamo a tali principi, Cass. 21.3.2014 n. 6735).
Deve ritenersi, conformemente a quanto già rilevato da questa Corte,
che nel caso in esame la disposizione di cui all’art. 32, comma 5, legge
n. 183/10 non incide, con efficacia retroattiva, su diritti di natura

ad operare in relazione a situazioni processuali ancora sub iudice, per le
quali deve quindi essere esclusa l’avvenuta formazione del giudicato,
onde risultano manifestamente infondate le eccezioni di
incostituzionalità svolte al riguardo (cfr. Cass. 6735/14 appena citata).
Né, sulla base dei ricordati principi, possono ravvisarsi dubbi di
costituzionalità con riferimento all’art. 1, comma 13, legge n. 92/12,
poiché esso: – costituisce una disposizione di carattere generale, che
non favorisce selettivamente lo Stato o altro ente pubblico (o in mano
pubblica), perché le controversie su cui essa è destinata ad incidere non
hanno specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro precario alle
dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti i rapporti di lavoro
subordinato a termine; – ha enucleato una delle possibili opzioni
ermeneutiche dell’originario testo normativo, già accolta dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr, Corte Costituzionale, n.
303/2011, cit., secondo cui “Un’interpretaione costituzionalmente orientata

della novella, però, induce a ritenere che il danno fod.etivato dall’indennità in
esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla
scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la
conversione del rapporto”) e dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, ex
plurimis, Cass., nn. 3056/2012; 9023/2012); – ha superato una
situazione di oggettiva incertezza derivante dal suo ambiguo tenore,
evidenziata dai diversi indirizzi interpretativi tra una parte della
giurisprudenza di merito e quella di legittimità testé ricordata; – non ha
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
-10-

retributiva e previdenziale già acquisiti dal lavoratore, essendo destinata

:

inciso su situazioni giuridiche, di natura retributiva e previdenziale,
definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una
consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali che le abbia
riconosciute; – non ha inteso realizzare una illecita ingerenza del
legislatore nell’amministrazione della giustizia, allo scopo d’influenzare

soluzione già adottata dalla ricordata giurisprudenza costituzionale e di
legittimità; non è dato ravvisarvi profili di irragionevolezza, posto che,
nell’esercizio del potere discrezionale in via di principio spettante al
legislatore, la finalità di superare un conclamato contrasto di
giurisprudenza, destinato peraltro a riproporsi in un gran numero di
giudizi, essendo diretta a perseguire un obiettivo d’indubbio interesse
generale qual’è la certezza del diritto, configurabile come ragione
idonea a giustificare l’intervento di interpretazione autentica (così Cass.
6735/2014 cit.).
Alla luce di quanto esposto i ricorsi , previa loro riunione in quanto
proposti avverso la medesima sentenza ( ex art. 335 c.p.c.), vanno
entrambi rigettati.
Le spese del presente giudizio, stante la reciproca soccombenza, vanno
compensate tra le parti.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.
30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova
applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio
2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la
notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte
del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014).
Ric. 2013 n. 29037 sez. ML – ud. 06-05-2015
-11-

la risoluzione di controversie, posto che, in realtà, ha fatto propria una

Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
nel testo introdotto dall’art.1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del

del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa tra le parti le
spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a
norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2015
sidente

rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,

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