Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12998 del 23/06/2016

Cassazione civile sez. III, 23/06/2016, (ud. 26/02/2016, dep. 23/06/2016), n.12998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17166-2014 proposto da:

G.G., V.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato

GIGLIOLA MAZZA RICCI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BRUNO PIETRO ARRIGONI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI LESMO SCRL, in persona del

Presidente dottor B.C.M., legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’,

10, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PETILLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GENNARO CARBONE

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

V.P.M.K.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1253/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/02/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;

udito l’Avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA;

udito l’Avvocato ANTONIO PETILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il 30 dicembre 2005 V.G. e G.G. stipulano un contratto di mutuo fondiario e un contratto di apertura di credito in conto corrente con la Banca di Credito Cooperativo di Lesmo, concedendo in garanzia la nuda proprietà dell’immobile intestato alla loro figlia V.P.M.K., gravato di diritto di abitazione congiuntivo con diritto di accrescimento reciproco a favore di essi debitori.

2. Con atti di pignoramento in data 19 gennaio e 29 giugno del 2009, la suddetta banca procedeva al pignoramento del predetto immobile.

Proponevano opposizione all’esecuzione V.G. e G. G. chiedendo dichiararsi l’impignorabilità dei diritti di abitazione. Il giudice dell’esecuzione sospendeva la procedura esecutiva, mentre entrambi i giudici di merito, di primo e secondo grado, respingevano l’opposizione. In particolare, il giudice di appello riteneva che la componente costitutiva del bene ipotecato in nessun modo potesse essere disaggregata, nè risultava che in sede di costituzione di ipoteca fosse stata manifestata dagli interessati la volontà di escludere il diritto di abitazione dall’assoggettamento alla garanzia prestata in favore della banca (nè, ancora, risultava che il diritto di abitazione avesse inciso in maniera negativa e riduttiva circa il valore del bene ipotecato).

3. Contro la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione V.G. e G.G. allegando tre motivi; resiste con controricorso la Banca di credito cooperativo di Lesmo Società cooperativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può essere accolto. Occorre rilevare, innanzitutto, come il giudice di appello abbia rigettato le domande degli odierni ricorrenti in forza di considerazioni in ordine all’interpretazione del contratto di mutuo ed alla complessiva volontà delle parti, ritenendo che i debitori avessero fin dall’inizio consentito ad un’eventuale espropriazione congiuntiva del loro diritto reale limitato, unitamente alla nuda proprietà della figlia.

2. Ebbene, partendo da questo dato di fatto, emerge con evidenza la non conferenza della questione in diritto proposta con i primi due motivi di ricorso, relativamente alla dedotta impignorabilità del diritto di abitazione; perchè questa corte di legittimità si pronunci in ordine alla interpretazione di una norma di diritto, infatti, è necessario che il provvedimento impugnato ne abbia fatto applicazione, ma, come si è detto, nel caso di specie la corte d’appello non ha effettuato alcuna affermazione in diritto, avendo unicamente proceduto, in fatto, all’accertamento della volontà delle parti.

3. I primi due motivi di ricorso, pertanto, sono inammissibili perchè denunciano una insussistente violazione di legge, chiedendo a questa Corte un’interpretazione di norme di diritto di cui non si è fatta applicazione da parte del giudice di merito. Pertanto, se anche fossero fondate le argomentazioni in diritto di parte ricorrente (e non lo sono, per le ragioni indicate dal Giudice di primo grado), esse sarebbero comunque irrilevanti nell’ottica della decisione assunta dai giudici di merito.

4. Il terzo motivo di ricorso non può essere accolto in quanto difetta di autosufficienza; sono gli stessi ricorrenti a dichiararsi consapevoli del fatto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione non può esaurirsi in un mero rinvio all’atto di appello, senza specificare i termini esatti delle statuizioni impugnate e delle censure al tempo mosse con l’atto di gravame.

Tuttavia, dopo queste giuste premesse, i ricorrenti riportano per sommi capi le argomentazioni del giudice di primo grado e poi procedono ad autonome valutazioni in questa sede, senza riportare in modo specifico il contenuto dell’atto di appello, mentre alla pagina 14 del ricorso, richiamano genericamente il contenuto del terzo motivo di appello e compiono un inammissibile rinvio alle pagine 18 e 19 del relativo atto.

5. Anche il quarto motivo di ricorso non può essere accolto, sia per quanto affermato in precedenza, sia perchè i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., relativi alle regole di interpretazione del contratto, senza indicare in modo specifico quali di tali regole siano state concretamente violate, non essendo a tal fine sufficiente affermare in modo generico che la corte d’appello avrebbe erroneamente valutato la comune volontà dei contraenti ed il dato letterale dei contratti, atteso che in tal modo si censurano valutazioni di merito, mentre non viene indicato in modo sufficiente quale sarebbe la specifica violazione dei criteri ermeneutici indicati dalla legge.

6. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006, Rv. 589877).

7. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17:

“Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso di spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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