Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12995 del 09/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12995 Anno 2014
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA

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pEcu PER-0
sul ricorso 14606-2013 proposto da:
o 1.5-(5 93 .9 23.5 C
IMMOBILIARE IL CORSO SRL IN LIQUIDAZIONE
13203290153, in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 102, presso lo studio
dell’avvocato FRANSONI GUGLIELMO, che la rappresenta e
difende gisuta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 0636691001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 09/06/2014

avverso la sentenza n. 48/29/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 15/03/2012,
depositata il 20/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

CONTI;
udito l’Avvocato Padovani Francesco (delega avvocato Fransoni)
difensore della ricorrente che si riporta agli scritti.
In fatto e in diritto
La Immobiliare E Corso s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a due
motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Lombardia n.48.29.12 depositata il
20.4.2012 che ha rigettato l’appello proposto dalla stessa contro la sentenza
della CTP di Lodi, la quale aveva rigettato il ricorso proposto avverso l’avviso
di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IVA per l’emissione di due
fatture relative ad operazioni inesistenti emesse nei confronti della Magiste Real
Estate spa e rinvenute presso tale società.
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente prospetta la violazione
dell’art.21 c.7 dpr n.633172 in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. Secondo
la ricorrente la CTR aveva attribuito la natura di fatture regolarmente redatte a
due documenti che non erano stati redatti dal soggetto prestatore del servizio
ma dal soggetto destinatario dello stesso.
Con il secondo motivo la ricorrente, prospettando la violazione dell’art.21 c.7
d.PR n.633/72 in relazione all’art.360 c.1 n.4 c.p.c., deduce la nullità della
sentenza impugnata che aveva ritenuto legittima la pretesa fiscale sulla base di
due fatture per operazioni inesistenti immediatamente espunte dalla contabilità,
senza determinare alcun effetto distorsivo per l’Erario.
Ha resistito in giudizio l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La società
ricorrente ha depositato memoria.
Il primo motivo è inammissibile.
Ed infatti, la questione sulla quale la parte ricorrente incentra la doglianza
relativa alla redazione delle due fatture da parte del soggetto prestatore del
servizio appare espressamente superata dall’accertamento in punto di fatto
compiuto dalla CTR, secondo il quale vi sarebbe stata la consegna della fattura
dalla Immobiliare H Corso alla Magiste Real Estate.
Ed invero, la CTR, a pag.5 della sentenza, ha acclarato che “le fatture vennero
compilate e consegnate alla Società Magiste”, perciò ritenendo che tanto
giustificasse l’applicazione dell’art.21 c.7 dpr n.633172.
Ed è evidente che tale accertamento di fatto, che la parte ricorrente intende
porre in discussione negando la traditio ed affermando la compilazione da parte
della Magiste R.E., non poteva essere censurato con il vizio — di violazione di
legge- prospettato nel primo motivo di ricorso.

Ric. 2013 n. 14606 sez. MT – ud. 17-04-2014
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17/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

Ric. 2013 n. 14606 sez. MT – ud. 17-04-2014
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Con il secondo motivo la ricorrente, prospettando la violazione dell’art.21 c.7
d.PR n.633/72 in relazione all’art.360 c.1 n.4 c.p.c., deduce la nullità della
sentenza impugnata che aveva ritenuto legittima la pretesa fiscale sulla base di
due fatture per operazioni inesistenti immediatamente espunte dalla contabilità,
senza determinare alcun effetto distorsivo per l’Erario.
Anche tale motivo è inammissibile e comunque infondato.
Ed invero, la parte ricorrente valorizza un elemento correlato alle dichiarazioni
rese dal Ricucci- segnatamente la “eliminazione delle fatture dalla contabilità
della Magiste” che non trova riscontro nella motivazione della sentenza
impugnata. Ne consegue che il vizio della decisione, prospettato come
violazione di legge è mal posto. La parte ricorrente avrebbe, semmai, dovuto
prospettare l’omessa valutazione di un elemento decisivo per il giudizio tale da
giustificare l’esito diverso alla stregua dell’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.
Del resto, la censura è infondata nel merito.
Giova premettere che la disciplina di cui all’art.21 c.7 d.PR n.633/72 –a norma
del quale «se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella
fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in
misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare
indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura»-costituisce attuazione
dell’articolo 21, paragrafo 1, lettera c), della sesta direttiva 77/388/CEE, come
modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991 – al
quale è subentrato l’articolo 203 della direttiva CE 2006/112-, a cui tenore
chiunque indichi l’IVA in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le
veci è debitore di tale imposta.
In particolare, tale soggetto è debitore dell’IVA indicata in una fattura
indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione
soggetta ad IVA (v.Corte giust. 18 giugno 2009, Stadeco, C-566/07,
Racc. pag. 1-5295, punto 26; Corte di giustizia 31 gennaio 2013, C-643/11,
LVK-56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, C-642/11,
Stroy trans EOOD, punto 44-.
La stessa giurisprudenza della Corte europea è ferma nel sottolineare che il
diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di ritenere la redazione di
fatture fittizie che indicano indebitamente un’imposta sul valore aggiunto come
un tentativo di frode fiscale e di applicare, in tal caso, le ammende o sanzioni
pecuniarie previste dal loro diritto nazionale – sent. Schmeink, cit., p.62 –.
In sintonia con i principi sopra esposti, questa Corte ha avuto modo di
affermare che l’ art.21 c.7 cit. va interpretato nel senso che il corrispondente
tributo viene, in realtà, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa
obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di
operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di
compensazione (tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”) che presiede alla
detrazione d’imposta di cui all’art. 19 DPR citato; e ciò anche perché l’emissione
di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente
sanzionata come delitto – Cass. 29 maggio 2001 n. 7289;Cass.n.14337/2002-. Si
è ancora ritenuto che l’emittente di fatture fittizie non può giovarsi
dell’emissione di una nota di credito per evitare il pagamento dell’IVA
indebitamente fatturata perché “in tema di IVA, la speciale procedura di
variazione prevista dall’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone
necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della

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funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa
fattura, da rettificare perchè venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di
uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia
una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente. Ciò proprio in forza
dell’art. 21 c.7 cit. che, da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la
fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo
principio di cartolarità, e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato
disposto con gli artt. 19, primo comma, e 26, terzo comma, dello stesso d.P.R.,
anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il
diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo
presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi
nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.”- Cass. 10 giugno 2005,
n.12353;v., pure, sul versante penale, Cass. n. 33891/2006, secondo la quale ai
fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 8 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74, non è richiesto che le fatture per operazioni inesistenti vengano
utilizzate nelle dichiarazioni fiscali dei soggetti destinatari-.
Orbene, la sentenza qui impugnata si è pienamente conformata ai principi
sopra esposti, avendo correttamente valorizzato, ai fini della configurabilità del
presupposto che determina l’insorgenza della pretesa impositiva correlata
all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, “…l’emissione della fattura e
ciò si attua con la consegna della stessa al destinatario. Nella fattispecie le
fatture vennero compilate e consegnate alla società “Magiste”…”. Per altro
verso, la stessa CTR ha specificamente valorizzato la circostanza che la Magiste
fosse la proprietaria esclusiva della Immobiliare II Corso, “…così che il
rappresentante legale della controllante ben era al corrente della condotta della
controllata”, in tal modo rendendo palese l’unità di intenti dei soggetti che
avevano dato luogo alla fittizia emissione delle fatture ai fini di realizzare un
risparmio fiscale- v.punto 11.1 della motivazione, ove espressamente si dà atto
che il Ricucci aveva ammesso che le fatture erano state emesse “al fine di far
lievitare il valore dell’immobile e di beneficiare di un risparmio fiscale”-.
Ciò che rende irrilevante qualunque condotta successiva all’emissione della
fattura posta in essere dalla parte contribuente.
Le superiori argomentazioni resistono alle prospettazioni difensive esposte dalla
società contribuente anche in memoria che nel riportarsi al contenuto di quanto
esposto in ricorso, non hanno prospettato elementi idonei ad elidere la valenza
delle valutazioni operate dalla CTR in ordine tanto alla matrice fraudolenta a
base dell’emissione delle fatture quanto alla stretta colleganza esistente fra
società emittente e destinatario delle fatture stesse.
Sulla base di quanto esposto il ricorso va disatteso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’Agenzia nella
misura specificata in dispositivo
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dell’art.13 comma 1
quater d.PR n.115/2002.

Così deciso il 17 aprile 2014 nella camera di consiglio della VI sezione civile in
Roma.

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