Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12988 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12988 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 18127-2012 proposto da:
BLANCO SALVATORE BLSSVT6OM 1 4A026J, elettivamente
domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avv. CIARAMITARO MARIA GRAZIA,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente Contro
CURATELA DEL FALLIMENTO CESAME ITALIA SRL;
– intimata avverso il provvedimento R.G. 868/2012 del TRIBUNALE di
CATANIA del 10.5.2012, depositato il 30/05/2012;

32/5
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Data pubblicazione: 09/06/2014

I

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/04/2014 dal Presidente Relatore Dott. PIETRO CURZIO;
udito per il ricorrente l’Avvocato Claudia Calafiore (per delega avv.
Maria Grazia Ciaramitaro) che si riporta ai motivi del ricorso, insiste

per raccoglimento e deposita memoria.

Ric. 2012 n. 18127 sez. ML – ud. 07-04-2014
-2-

Il Tribunale di Catania ha rigettato l’opposizione proposta
dall’odierna parte ricorrente, dipendente della Cesame Italia s.r.1.,
dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Catania in data
13/3/2009, avverso il decreto del giudice delegato al fallimento che
aveva considerato inammissibile per tardività la domanda (tardiva) di
ammissione al passivo, avente ad oggetto il pagamento del t.f.r. (in
relazione al licenziamento intimato dalla curatela fallimentare in data
13/9/2010 e, quindi, dopo la dichiarazione di esecutività dello stato
passivo, avvenuta il 17/11/2009). Ad avviso del Tribunale,
correttamente il giudice delegato aveva ritenuto che, al momento della
presentazione della domanda tardiva (10/1/2011), fosse decorso il
termine annuale previsto dall’art. 101, commi 1 e 4, 1. fall. atteso che il
deposito del decreto di esecutività dello stato passivo risaliva al
17/11/2009 e che, alla data dell’intervenuto licenziamento (13/9/2010),
la lavoratrice aveva ancora a disposizione, fino alla scadenza dell’anno,
un tempo congruo (due mesi) per gli adempimenti necessari alla
predisposizione della domanda (tardiva) di ammissione al passivo
(essendo da escludere la possibilità, non normativamente prevista, di un
nuovo termine annuale decorrente dal momento in cui il diritto poteva
essere fatto valere e dovendo farsi applicazione, per la valutazione di
ammissibilità, delle regole generali di cui all’art. 101, commi 1 e 4,1. fall.).
Rilevava, in ogni caso, il Tribunale la mancata allegazione al ricorso della
documentazione comprovante la sussistenza del credito e, dunque, una
carenza impeditiva dell’ammissione al passivo, considerato che in una
situazione del genere non erano legittimamente invocabili i poteri
d’ufficio.
Avverso tale decisione ricorre per cassazione la lavoratrice
affidandosi a tre motivi.
La curatela del fallimento della Cesame Italia s.r.l. è rimasta solo
intimata.
La lavoratrice ha depositato all’udienza pubblica del 7 aprile 2012
memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente rilevata la tardività della memoria depositata
dalla difesa della ricorrente il giorno 7 aprile 2014 (e cioè lo stesso
giorno della udienza) poiché l’art. 378 cod. proc. civ. dispone che le parti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

possono presentare le loro memorie in cancelleria non oltre cinque
giorni prima dell’udienza.
2. Con il primo motivo e secondo motivo la ricorrente denuncia:
“Violazione e falsa applicazione dell’art. 101, quarto comma, della legge
fallimentare nonché degli artt. 3 e 24 della costituzione; insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art.
360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)”. Si duole dell’interpretazione del primo
comma dell’art. 101 1. fall. privilegiata dal Tribunale ed evidenzia che il
non aver operato alcuna distinzione, al fine del decorso del termine per
la proposizione della domanda tardiva di ammissione al passivo, tra
crediti maturati prima dell’apertura del fallimento e crediti maturati nel
corso della procedura concorsuale e, dunque, l’aver escluso la
decorrenza del termine annuale per la presentazione della domanda
tardiva dalla comunicazione del licenziamento così come l’aver
considerato congruo il tempo – residuo – di soli due mesi, si risolve in
una violazione del principio di difesa e di quello del giusto processo,
ponendo la lavoratrice in una condizione di disparità di trattamento
rispetto agli altri creditori. Lamenta, inoltre, che il Tribunale non abbia
ritenuto integrata una causa non imputabile, ricollegabile, nello
specifico, alla natura del credito e al momento in cui questo era sorto.
Evidenzia che, nel verificare la ragione del ritardo, si sarebbe dovuto
tener conto del dies a quo coincidente con il momento in cui la pretesa
creditoria poteva essere fatta valere, rispetto al termine (annuale) entro il
quale occorreva depositare la domanda.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 99 della legge fallimentare nonché degli artt. 2010
cod. proc. civ. e 111 della Costituzione; insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5,
cod. proc. civ.)”. Si duole di quanto statuito nel provvedimento di
rigetto con riguardo alla mancata allegazione al ricorso in opposizione
dei documenti giustificativi del credito. Rileva che era stato
rappresentato al Tribunale che i documenti in questione (buste paga e
CUD) erano stati già depositati in sede fallimentare e potevano essere
acquisiti d’ufficio dal giudice dell’opposizione. Richiama la
giurisprudenza di questa Corte (ed in particolare Cass. 20 novembre
2011, n. 13533) che stima necessario, anche in considerazione del più
generale dovere di cui all’art. 111 Cost., comma 6, che la discrezionalità
del giudice nell’ordinare o non l’esibizione sia supportata da un’idonea
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motivazione, saldandosi tale discrezionalità con il giudizio di necessità
dell’acquisizione del documento ai fini della prova di un fatto.
4. Per il principio della ragione più liquida (che, imponendo un
nuovo approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano
dell’impatto operativo piuttosto che su quello tradizionale della coerenza
logico-sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello
dell’ordine di trattazione delle questioni cui all’art. 276 cod. proc. civ.,
con una soluzione pienamente rispondente alle esigenze di economia
processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzata cfr., in termini espressi, Cass. 11 novembre 2011, ti. 23621 e,
indirettamente, sulle conseguenze di tale postulato in materia di
giudicato implicito, Cass., sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20932; Cass., sez.
un., 9 ottobre 2008, n. 24883; Cass., sez. un., 18 dicembre 2008, n.
29523; Cass. 16 maggio 2006, n. 11356) il ricorso deve essere respinto
sulla base della soluzione della questione posta con il terzo motivo,
assorbente, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario
esaminare previamente tutte le altre.
5. Con il suddetto motivo la ricorrente lamenta che il giudice
dell’opposizione, invece di ordinare l’esibizione della documentazione
costituente la prova del credito, chiesta dalla parte e necessaria ai fini
della decisione della controversia, “sanando la decadenza” sancita
dall’art. 99 1. fall., abbia “espresso un rigetto a carattere punitivo”, privo
di sufficiente motivazione.
6. Il motivo non è fondato.
Il giudizio di opposizione allo stato
passivo è regolato – ai sensi dell’art. 99 1. fall. (come novellato dal d.lgs.
n. 169/07) – dal principio dispositivo come qualunque ordinario giudizio
di cognizione a natura contenziosa; in conseguenza, il materiale
probatorio esaminabile è quello prodotto dalle parti o acquisito dal
giudice ex artt. 210 e 213 cod. proc. civ., ed è solo quel materiale ad
avere titolo a restare nel processo (cfr. Cass. 8 novembre 2010, n. 22711,
che, affermando detto principio, ha confermato la sentenza con cui il
tribunale non aveva acquisito d’ufficio i documenti contenuti nella
domanda di insinuazione al passivo e non versati dal creditore nel
giudizio di opposizione allo stato passivo; si vedano, in senso conforme
Cass. 19 novembre 2009, n. 24415 e Cass. 2 maggio 2006, n. 10118
nonché la più recente Cass. 12 febbraio 2014, n. 3166). Resta, dunque,
escluso che il giudice dell’opposizione allo stato passivo, in caso di
omessa produzione del creditore onerato a pena di decadenza ex art. 99,

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comma 2, n. 4 1. fall., sia tenuto, al fine di procedere all’esame del
merito dell’opposizione, ad acquisire il fascicolo fallimentare per
desumere eventualmente da esso elementi o argomenti di prova (così
Cass. 16 febbraio 2012, n. 493); trattasi, al più, di mera facoltà, il cui
mancato esercizio non esonera la parte dalle conseguenze del mancato
assolvimento dell’onere probatorio (così Cass. 21 dicembre 2005, n.
28302; id. 5 maggio 2000, n. 5635; 9 maggio 2001, n. 6465). E’ stato
ulteriormente precisato che la mancata indicazione nell’atto di
opposizione dei mezzi istruttori necessari, a prescindere dalla eccezione
della curatela fallimentare, a provare il fondamento della domanda
dell’opponente comporta la decadenza da tali mezzi, non emendabile
nemmeno con la concessione dei termini dell’art. 183, sesto comma,
cod. proc. civ., non potendosi, in particolare, concedere il termine di cui
all’art. 183, sesto comma, n. 2, previsto esclusivamente per consentire la
replica e la richiesta di mezzi istruttori in conseguenza di domande ed
eccezioni nuove della parte convenuta, laddove l’onere di provare il
fondamento della domanda prescinde da ogni eccezione di controparte cfr. Cass. 6 novembre 2013, n. 24972 -.
E’ stato invero affermato che i provvedimenti, positivi o negativi,
emessi dal giudice di merito sulla richiesta di esibizione ex art. 210 cod.
proc. civ. (ma anche, evidentemente, ex art. 213 cod. proc. civ.), sono
censurabili in sede di legittimità se non sorretti da motivazione
sufficiente; in quanto, con particolare riferimento alla denegata
ammissione del mezzo di prova, il diniego si traduce in un vizio della
sentenza qualora, in sede di controllo – sotto il profilo logico-formale e
della correttezza giuridica – dell’esame e della valutazione compiuti dal
giudice di merito, risulti che il ragionamento svolto sia incompleto,
incoerente o irragionevole, sempre che il mezzo di prova richiesto e non
ammesso sia diretto alla dimostrazione di punti decisivi della
controversia – così Cass. 17 marzo 2010, n. 6439; id. 20 giugno 2011, n.
6439 -. Tale principio, che comunque individua un limite nella rilevanza
e decisività del mezzo di prova, va coordinato con quello concernente
l’onere della dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto azionato. Ed
allora si comprende perché in altre decisione questa Corte abbia ritenuto
che l’esercizio del potere di emanazione (e così di diniego) dell’ordine di
esibizione, in quanto discrezionale, sia svincolato da ogni onere di
motivazione tanto da non essere sindacabile in sede di legittimità,
neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, 117 aprile 2014.

strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei
fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e
l’iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa (così Cass.
25 ottobre 2013, n. 24188; id. 16 novembre 2010, n. 23120).
L’ordine di esibizione documentale, dunque, non può essere
richiesto ed ammesso al solo scopo di indagare se la prova possa essere
rinvenuta nei documenti stessi, altrimenti lo stesso servirebbe
inammissibilmente a supplire al mancato assolvimento dell’onere della
prova a carico della parte istante (si veda Cass. 17 gennaio 2013, n. 1147;
id. 29 luglio 2011, n. 16781; 9 giugno 2010, n. 13878; 8 agosto 2006, n.
17948; 6 ottobre 2005, n. 19475; 10 gennaio 2003, n. 149; 4 settembre
1990, n. 9146).
Orbene, nella specie, si evince dal provvedimento del Tribunale di
Catania, qui impugnato, che “i documenti offerti in produzione” erano
stati solo la “copia del provvedimento di inammissibilità della domanda
di insinuazione al passivo e l’estratto del progetto di stato passivo”.
Dunque, non erano stati allegati al ricorso le buste paga ed il CUD
già contenuti nel fascicolo di parte della domanda tardiva. Non vi è
dubbio, allora, che la richiesta di esibizione avanzata dalla lavoratrice
fosse diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova,
irrilevante essendo, per la natura del giudizio di opposizione allo stato
passivo sopra ricordata, che tali documenti fossero stati prodotti in sede
fallimentare. Con motivazione giuridicamente corretta e congrua
sotto il profilo logico il Tribunale ha dato conto delle ragioni per cui ha
ritenuto di non aderire alla richiesta di esibizione documentale della
parte, sottolineando che si trattava di documenti che “avrebbero dovuto
essere prodotti, a pena di decadenza, ex art. 99, comma 2, 1. fall.,
unitamente al ricorso”.
La totale carenza di prova non poteva, dunque, che condurre ad un
rigetto dell’opposizione. Sulla base delle esposte considerazioni il
ricorso va, conclusivamente, respinto. Nulla va disposto per le spese
del presente giudizio di legittimità essendo la curatela del fallimento
della Cesame Italia s.r.l. rimasta solo intimata.

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