Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12984 del 23/06/2016

Cassazione civile sez. III, 23/06/2016, (ud. 13/10/2015, dep. 23/06/2016), n.12984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 420-2013 proposto da:

D.R.G., (OMISSIS), D.C.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA P

BORSIERI 3, presso lo studio dell’avvocato RENZO GATTEGNA, che li

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.A., M.C., P.C., S.

S., considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FABIO TOMASSINI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

MOSE ’92 SRL, COGEP SRL;

– intimate –

avverso la sentenza n. 4668/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/11/2011 R.G.N. 7616/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato RENZO GATTEGNA;

udito l’Avvocato FABIO TOMASSINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso p.q.r.

Fatto

I FATTI

M.C., S.S. e A., P.C. proposero appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che ne aveva respinto la domanda, proposta nei confronti della s.r.l.

Cogep, di D.C.A. e di D.R.G., di risoluzione del preliminare di cessione di azienda stipulato il 18.5.1992 con la Cogep, e di condanna di quest’ultima al pagamento della somma di 20 milioni di lire, pari al doppio della caparra da essi attori versata.

La corte di appello di Roma, ritenendo, di converso, “manifesto e grave l’inadempimento della società convenuta” accolse l’impugnazione.

Per la cassazione della sentenza della Corte capitolina D.C. A. e D.R.G. hanno proposto ricorso sulla base di 5 motivi di censura.

Resistono gli appellanti con controricorso.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1218 c.c..

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2555 e 2560 c.c..

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2697 c.c..

Con il quarto motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1936 c.c..

I primi 4 motivi possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca connessione.

Con essi vengono mosse alla sentenza impugnata una serie di censure complessivamente meritevoli di accoglimento.

Risultano fondate, in particolare, le doglianze:

– Di erronea applicazione dell’art. 1453 c.c., per avere la Corte territoriale indebitamente sovrapposto l’aspetto morfologico della convenzione negoziale stipulata ex art. 2932 c.c. (i. e. il suo contenuto dichiarativo/programmatico) con quello funzionale, e cioè con le obbligazioni del promittente venditore, costituite, nella specie, dalla vendita dell’azienda e dalla garanzia rispetto a pregressi debiti della cedente, onde nessun inadempimento di tale obbligazioni risultava, nella specie, deducibile, anche alla luce della garanzia fideiussoria prestata dalle persone fisiche odierne ricorrenti onde l’inconferenza dell’affermazione contenuta al folio 3 della pronuncia d’appello, ove si legge che la Cogep sarebbe stata adempiente formalmente e non sostanzialmente alle obbligazioni sottese al contratto preliminare);

– Di erronea applicazione degli artt. 1173 e 1218, non essendo la promittente venditrice Cogep (come correttamente affermato in primo grado) mai venuta meno alle obbligazioni scaturenti dal contratto preliminare;

Di indebita sovrapposizione della fattispecie (funzionale) dell’inadempimento con quella (morfologica, afferente al processo formativo della volontà negoziale) dell’errore essenziale di cui all’art. 1427 c.c., avendo i promissari acquirenti lamentato non l’inadempimento di un obbligo di dare o di fare, bensì la circostanza (rilevante ad altri e ben diversi fini) secondo la quale, se posti a conoscenza della pregressa (e peraltro contestata) situazione debitoria della controparte, non avrebbero concluso il preliminare di acquisto dell’azienda (di tal che si appalesa inconferente il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alla pronuncia di questa Corte n. 3373 del 2010, avente ad oggetto una fattispecie concreta di vizi della cosa venduta, e dunque relativa all’oggetto dell’obbligazione dell’alienante);

Di erronea applicazione dell’art. 2560 c.c., che limita la responsabilità del cessionario d’azienda per i debiti pregressi alla sola ipotesi che essi risultino dai libri contabili obbligatori (di tal che l’inesistenza degli stessi rende impredicabile lo stesso elemento costitutivo della responsabilità del cessionario, precludendo l’insorgere della relativa responsabilità: Cass. 5123/2006), libri contabili mai prodotti dagli appellanti, come pure sarebbe stato loro preciso onere probatorio;

– Di omesso esame della circostanza, risultante dall’espressa previsione di cui all’art. 4 del preliminare, secondo cui la cessione sarebbe avvenuta senza il sub ingresso dell’acquirente negli eventuali debiti aziendali;

– Di erroneo riferimento alla sentenza di queste sezioni unite (Cass. 13533/2001, in tema di riparto dell’onere probatorio nella responsabilità contrattuale) la cui portata applicativa, con riguardo alle obbligazioni ex contractu, non può ritenersi estesa alle dichiarazioni della parte, così da onerarla della prova di un fatto negativo (i.e. l’inesistenza di debiti in capo all’alienante);

Di erronea valutazione del materiale probatorio, non avendo la Corte territoriale indicato su quali documenti la domanda risolutoria fosse fondata, mentre il riferimento ad un presunto debito di 95 milioni di lire gravante sulla promittente venditrice risalente all’anno 1992 fondato sul contenuto di un decreto ingiuntivo di tre anni successivo, e per il diverso importo di 45 milioni di lire, appare del tutti inidoneo all’invocato scopo risolutorio del preliminare.

All’accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso consegue l’assorbimento del quinto.

Il ricorso è pertanto accolto, e il procedimento rinviato alla Corte di appello di Roma, che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra esposti.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Roma, in altra composizione.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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