Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12980 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/06/2020), n.12980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1596/2019 R.G. proposto da:

C.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Lorenzo Iovino;

– ricorrente –

contro

F.G. e D.M., rappresentati e difesi

dall’Avv. Alessandro Reale;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, n. 1123/2018,

depositata il 25 maggio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 gennaio

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.M. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Palermo i coniugi F.G. e D.M. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della ritardata consegna dell’appartamento da essa acquistato con atto di compravendita del (OMISSIS).

Costituendosi in giudizio, con comparsa depositata alla prima udienza, i convenuti eccepirono che l’inadempimento era dipeso da causa ad essi non imputabile.

Il Tribunale, ritenuta tale eccezione inammissibile, in quanto tardivamente dedotta oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c., accolse la domanda e condannò i convenuti al pagamento in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 12.000, oltre interessi e rivalutazione.

2. In accoglimento del gravame interposto dai soccombenti e in conseguente riforma di tale decisione, la Corte d’appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe, ritenendo al contrario la suddetta eccezione ammissibile e fondata, ha rigettato la domanda risarcitoria, condannando parte attrice al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

2.1. In punto di ammissibilità dell’eccezione ha, infatti, ritenuto che, quella di non imputabilità dell’inadempimento, costituisca mera difesa e non eccezione, tanto meno in senso stretto, come tale sottratta alla decadenza prevista dall’art. 167 c.p.c..

In tal senso ha in particolare osservato – sulla premessa che “la distribuzione dell’onere della prova non coincide con la distribuzione dell’onere allegativo” – che “poichè l’inadempimento del convenuto costituisce un fatto costitutivo della pretesa azionata in giudizio, l’accertamento dello stesso, nelle sue componenti materiali (mancata o ritardata prestazione) e giuridiche (imputabilità) è rimesso nella sua totalità alla cognizione del giudice alla stregua di tutto il materiale probatorio acquisito al processo; analogamente, ogni contestazione che il convenuto sollevi in ordine alla sussistenza di tali requisiti costituisce una mera difesa, siccome diretta a contestare la sussistenza dei fatti allegati e dedotti dall’attore, senza ampliare il thema decidendum ad ulteriori fatti diversi da quelli.

“Ne consegue che, nel caso in esame, il giudice avrebbe dovuto valutare d’ufficio l’esistenza o meno del dedotto inadempimento in tutte le sue componenti, non solo in quella, materiale, (e pacifica) del ritardo nella consegna dell’immobile venduto, ma anche in quella giuridica – dell’imputabilità dell’inadempimento a colpa del debitore e, a tal fine, valutare non solo la difesa dei convenuti ma altresì il materiale probatorio dagli stessi fornito a sostegno di tale allegazione”.

2.2. Nel merito ha poi ritenuto dimostrata la sussistenza di causa non imputabile impeditiva del tempestivo adempimento attraverso la produzione di “certificato medico del (OMISSIS) attestante la circostanza che, a quella data, pressochè coincidente con il termine fissato per la consegna dell’immobile ((OMISSIS)), la D. fosse affetta da minacce d’aborto e necessitasse pertanto di assoluto riposo”; circostanza, questa che, secondo i giudici d’appello, “intuitivamente, impediva non solo alla stessa di adoperarsi personalmente nelle operazioni di trasloco (eseguibili anche dal di lei coniuge) ma la costringeva altresì ad una condizione di riposo forzato (secondo la prova testimoniale assunta, era costretta a stare a letto, non potendo occuparsi neppure delle ordinarie faccende domestiche) che non le avrebbe consentito, se non a rischio di interrompere la gravidanza, di sostenere gli ovvi disagi connessi al trasferimento di abitazione”.

Ha inoltre osservato che “l’appartamento è stato comunque rilasciato subito dopo il venir meno della situazione di emergenza (il (OMISSIS)) e che, anche al fine di ridurre i disagi per l’acquirente, pur non essendovi tenuti, i convenuti le avevano messo a disposizione un magazzino ove riporre temporaneamente le proprie suppellettili, mostrando, in tal modo, un comportamento certamente improntato a buona fede”.

3. Avverso tale sentenza C.M. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono gli intimati, depositando controricorso.

4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I controricorrenti hanno inviato memoria a mezzo posta.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Occorre preliminarmente rilevare che la memoria fatta pervenire a mezzo posta dai controricorrenti è da considerarsi irrituale, giusta il consolidato principio di diritto, secondo cui: “L’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito delle memorie di cui all’art. 378 c.p.c., art. 380-bis c.p.c., comma 2, e art. 380-bis.1 c.p.c., sia perchè tale previsione, per la sua natura speciale rispetto alle normali attività di deposito degli atti nel giudizio di cassazione, è da reputarsi insuscettibile di applicazione analogica, sia, gradatamente, perchè, essendo il detto deposito diretto esclusivamente ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo rispetto alla udienza di discussione e negli altri due rispetto all’adunanza della Corte, ritenuto necessario dal legislatore, l’applicazione del citato art. 134, finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare detto scopo” (v. in termini, ex multis, Cass. 22/10/2018, n. 26551; e anteriormente Cass. 10/04/2018, n. 8835; 19/04/2016 n. 7704; 04/01/2011, n. 182; 04/08/2006, n. 17726).

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omessa e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che quelle avanzate da controparte non fossero eccezioni in senso stretto e, come tali, non fossero soggette alla decadenza prevista dall’art. 167 c.p.c..

Rileva che “l’incolpevolezza dell’inadempimento è una causa escludente la responsabilità ed in quanto tale un elemento impeditivo che deve rientrare nell’alveo dell’eccezione in senso stretto insieme agli elementi estintivi e modificativi”.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce poi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “omessa e falsa applicazione degli artt. 1256, 1218, 1175 e 1176 c.p.c. (recte, c.c.)”.

Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che un impedimento meramente soggettivo, quale quello di specie, consistente nella minaccia di aborto, fosse da solo sufficiente a determinare l’inimputabilità dell’inadempimento ad entrambi i debitori.

Argomenta al riguardo che, il giorno in cui la sig.ra D. ha avvertito i malori, essendo quello immediatamente antecedente alla data fissata per il trasloco, tutti i beni mobili avrebbero dovuto essere già imballati (cosa che controparte non ha provato), cosicchè quel giorno i traslocatori avrebbero dovuto semplicemente spostare tali beni dalla vecchia abitazione, oggetto di compravendita, alla nuova, senza alcuno sforzo da parte della sig.ra D., che intanto avrebbe potuto riposare presso l’abitazione della di lei madre.

Afferma che, comunque, detto impedimento non giustificava in alcun modo l’inadempimento del coniuge coobbligato.

Sostiene la configurabilità, nella specie, di un “inadempimento anticipato” (anticipatory breach), predicabile, secondo la giurisprudenza (Cass. n. 23823 del 2012), quando il debitore, in violazione dell’obbligo di buona fede, tenga una condotta che renda impossibile o antieconomica la prosecuzione del rapporto.

4. Il primo motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

Correttamente, infatti, la Corte d’appello ha escluso che l’eccezione di non imputabilità dell’inadempimento costituisca eccezione in senso stretto, come tale soggetta alla decadenza prevista dall’art. 167 c.p.c..

Ciò che non può essere condiviso nella motivazione è, piuttosto, e soltanto, la qualificazione di tale deduzione come mera difesa, anzichè quale eccezione in senso lato: rilievo, questo, che comunque non può condurre a mutare la suesposta conclusione, essendo noto che sia l’una che l’altra non sono soggette alla detta decadenza e sono rilevabili d’ufficio, con il solo limite rappresentato dal necessario riferimento a fatti risultanti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo (v. Cass. Sez. U. 07/05/2013, n. 10531; Cass. Sez. U. n. 15661 del 2005, cit.; Cass. Sez. U. 25/05/2001, n. 226/SU; v. anche Cass. 26/02/2014, n. 4548; Cass. 31/10/2018, n. 27998).

Non può, invero, dubitarsi che le argomentazioni difensive svolte dai convenuti nella propria comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado non si limitavano a negare la sussistenza o la fondatezza dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria ma vi opponevano un fatto diverso, non compreso tra quelli allegati da controparte a fondamento della propria domanda, bensì dedotto quale causa non imputabile dell’inadempimento ad essi ascritto, e, dunque, come fatto impeditivo.

Si trattava, dunque, non di mere difese ma di eccezioni in senso lato, le quali consistono, come noto, secondo la definizione ricavabile con chiarezza dall’art. 2697 c.c., nella allegazione (se fatta dalla parte) o nella rilevazione (se fatta d’ufficio dal giudice) di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio.

Come tali esse erano bensì rilevabili d’ufficio (non trattandosi di eccezioni riservate all’iniziativa della parte per legge o perchè corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva: v., per tale definizione delle eccezioni in senso stretto, Cass. Sez. U. 03/02/1998, n. 1099; Sez. U. 27/07/2005, n. 15661) e, pertanto, non soggette alla decadenza prevista dall’art. 167 c.p.c., ma pur sempre in relazione a fatto che, non essendo compreso, neppure implicitamente, negli elementi costitutivi della domanda, doveva considerarsi ad esso estraneo e, anzi, contrapposto come fatto impeditivo e, dunque, oggetto (non di mera difesa ma) di eccezione, in senso lato.

4.1. L’errore qualificatorio in cui incorrono i giudici a quibus, ancorchè, come detto, ininfluente sulla decisione finale, si coglie già nella premessa, invero nient’affatto chiara e anzi contraddittoria, secondo cui “la distribuzione dell’onere della prova non coincide con la distribuzione dell’onere allegativo”.

E’ noto al contrario che, secondo il brocardo latino, onus probandi incumbit ei qui dicit: esiste, cioè, una stretta correlazione logica e concettuale, ma anche di diritto positivo (art. 2697 c.c.), tra onere della prova e onere di allegazione, sia pure “per fini che rilevano sul piano della fissazione di una regola finale di giudizio, non già su quello della possibilità o meno, per il giudice, di rilevare fatti del tipo suddetto indipendentemente dall’istanza di parte” (Cass. Sez. U. n. 1099 del 1998, cit.).

Sarà, dunque, opportuno rammentare i criteri di riparto degli oneri probatori in materia di inadempimento contrattuale per illustrare e supportare ulteriormente la qualificazione della eccezione di non imputabilità dell’inadempimento come eccezione in senso lato e non come mera difesa.

Ebbene, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – espresso più volte con specifico riferimento al tema della responsabilità medica, ma con argomenti evidentemente trasferibili a quello della responsabilità contrattuale in genere -, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale per l’inesatto adempimento della prestazione oggetto dell’obbligo assunto, il danneggiato deve fornire la prova del contratto, del sorgere o dell’aggravamento del danno e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione della controparte contrattuale, restando a carico di quest’ultima la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (v. ex multis Cass. 26/07/2017, n. 18392; 20/10/2015, n. 21177; 12/09/2013, n. 20904; 09/10/2012, n. 17143; 16/01/2009, n. 975).

Emergono così e vanno distinti, in ambito di responsabilità contrattuale (proprio a motivo del fatto che in essa vengono in rilievo anche le cause estintive dell’obbligazione diverse dall’adempimento, e segnatamente quella rappresentata dalla impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore: artt. 1218 e 1256 c.c.), due “cicli causali”: da un lato, la causalità che lega il fatto/inadempimento all’evento (causalità materiale) e quella che lega l’evento lesivo al consequenziale danno (causalità giuridica); dall’altro, quella concernente la possibilità (rectius: impossibilità) della prestazione.

La causalità relativa all’evento ed al danno consequenziale è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, e caratterizza negli stessi termini, sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, gli oneri di allegazione e di prova del danneggiato. Il danno è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ed essendo l’eziologia immanente alla nozione di danno anche l’eziologia è parte del fatto costitutivo dedotto che l’attore deve provare.

Ciò che piuttosto distingue, ai finì in discorso, la responsabilità contrattuale da quella extracontrattuale è l’emergenza, nella prima, di un secondo ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere.

E’ però evidentemente interesse e onere della controparte contrattuale, cui sia ascritto l’inadempimento, provare che quest’ultimo, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile (v., in tal senso, Cass. n. 18392 del 2017, cit., e, da ultimo, sempre in tema di responsabilità medica, Cass. 11/11/2019, n. 28991).

Appare dunque evidente che non rientri affatto nello spettro degli oneri di allegazione e prova della parte, che assuma l’inadempimento contrattuale altrui e deduca di averne ricevuto un danno, anche l’allegazione della inesistenza di una causa non imputabile dell’inadempimento (si tratterebbe del resto di un fatto negativo e, correlativamente, di un onere probatorio diabolico); ma è piuttosto interesse e onere del convenuto, cui l’inadempimento sia addebitato, allegare e provare la causa che, inserendosi nel diverso “ciclo causale” che si è detto, possa valere ad escludere la sua responsabilità, alla stregua per l’appunto di fatto impeditivo.

4.2. Ciò precisato, è però certamente da escludere, come detto, diversamente da quanto del tutto genericamente dedotto dai ricorrenti con il motivo in esame, che si tratti di eccezione in senso stretto.

Tale nozione, e la disciplina che essa evoca (artt. 167,345,416,702-bis, art. 709 c.p.c.), sono riferibili, per ormai consolidata acquisizione, alle sole eccezioni riservate all’iniziativa della parte, per legge o perchè corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva (v., in tal senso, le già sopra citate, Cass. Sez. U. n. 1099 del 1998; Sez. U. n. 15661 del 2005, citt.).

La distinzione, più precisamente, risiede in ciò che, “mentre, di regola, l’eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione di fatti ai quali la legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda (eccezione in senso lato), l’eccezione in senso stretto consiste nella contrapposizione di quei fatti che, senza escludere la sussistenza del rapporto implicato dalla domanda, sono tuttavia tali che, in loro presenza, risulti accordato al convenuto e disciplinato dal diritto sostanziale un potere rivolto ad impugnandum jus, ossia una potestà esercitabile al fine di fare venir meno il diritto dell’avversario. In questi casi il legislatore costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non ha una autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la consegue solo per il tramite di una manifestazione di volontà dell’interessato, che, da sola o, a seconda delle ipotesi, previo accertamento giurisdizionale dell’avvenuta costituzione della fattispecie medesima, si inserisce all’interno di questa.

“Per conseguire il risultato difensivo, non basta qui l’allegazione del fatto, ma occorre che l’interessato scelga se conservare la situazione giuridica esistente ovvero ottenere che, secondo la norma di previsione, si produca quella nuova: ciò che, in ipotesi affermativa, postula il compimento di un apposito atto di manifestazione di volontà in tale senso, non diversamente da quanto accadrebbe qualora la parte, in luogo dell’esercizio in via di eccezione della potestà conferitagli dalla legge, vi provvedesse in via di azione.

“Tanto si verifica con riguardo a tipiche azioni costitutive: si vedano ad esempio l’art. 1442 c.c., u.c., e art. 1449 c.c., comma 2, ove si prevede la facoltà del convenuto di proporre, rispettivamente, un’eccezione di annullamento e di rescissione del contratto. Ed è opinione diffusa in dottrina che analoga situazione sia configurabile con riguardo ad eccezioni di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità; revocatoria; di riduzione di disposizioni testamentarie; etc.” (così Cass. Sez. U. n. 1099 del 1998, cit.).

Ebbene la causa non imputabile dell’inadempimento non rientra in tale categoria, non essendo la sua contrapposizione all’inadempimento (dedotto quale fatto costitutivo della domanda) riservata per legge alla parte, nè potendo essa ritenersi coordinata con un’azione costitutiva.

Costituisce piuttosto un fatto di per sè idoneo a impedire il sorgere del diritto fondato sull’inadempimento, escludendone l’imputabilità, indipendentemente da un apposito atto di manifestazione di volontà in tal senso; come tale, essa è rilevabile d’ufficio (allo stesso modo di come lo sarebbe un fatto estintivo, quale ad es. il pagamento), ove risultante ex actis.

5. Il secondo motivo è inammissibile.

5.1. Lo è anzitutto per inosservanza dell’onere di specifica indicazione del documento sul quale esso è fondato, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Entrambe le censure (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), si fondano sulla documentazione medica evocata, che non viene però riprodotta, mentre sarebbe stato necessario conoscere il contenuto della documentazione, per verificare se, come sostiene la ricorrente, i malori si erano verificati il giorno prima del programmato rilascio.

5.2. Può comunque rilevarsi che, lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie, il motivo impinge esclusivamente nella ricognizione fattuale della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura contestualmente dedotta sotto tale profilo è poi inammissibile, muovendosi essa al di fuori del paradigma dettato dalla citata norma, come modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nel nuovo regime, infatti, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).

Nel caso di specie tale specificazione manca, rivelandosi piuttosto la doglianza nel suo complesso diretta a sollecitare una mera nuova valutazione di merito dei medesimi argomenti ed elementi di fatto già dedotti nei giudizi di merito e compiutamente esaminati dai giudici a quibus.

6. Il ricorso va pertanto rigettato.

La correzione della motivazione giustifica tuttavia la compensazione delle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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