Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1298 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi iscritti ai nn. 28604/2013, 3734/2014 e 4927/2014 R.G.

proposti da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Albani s.r.l., rappresentata e difesa nel giudizio di merito da

Stefano Gorgoni, con studio in Pavia, piazza del Carmine, n. 1;

– intimata –

avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, rispettivamente, n. 87/36/13 depositata il 27 giugno 2013

(ricorso iscritto al n. 28604/2013 RG), n. 117/36/13 depositata il

25 settembre 2013 (ricorso iscritto al n. 3734/2014 RG) e n.

116/36/13 depositata il 25 settembre 2013 (ricorso iscritto al n.

4927/2014 RG).

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

a seguito di una verifica nei confronti di Albani s.r.l. – società che svolge l’attività di commercio al dettaglio di mobili – l’Agenzia delle entrate notificò a tale società tre avvisi di accertamento, relativi ai periodi d’imposta, rispettivamente, 2006, 2007 e 2008, con i quali, tra l’altro, per quanto qui ancora rileva, assoggettò a IVA (nella misura di Euro 31.340,00 per il 2006, Euro 25.119,00 per il 2007 ed Euro 27.878,00 per il 2008) gli importi, annotati da Albani s.r.l. alla voce “ratei attivi”, pagati da cessionari dei mobili al momento della conclusione dei contratti di acquisto, importi che la società contribuente aveva ritenuto non assoggettabili a IVA al suddetto momento (ma solo a quello della consegna dei mobili) in quanto corrisposti a titolo di caparra confirmatoria (ritenendoli, peraltro, al contempo, ricavi di competenza dell’esercizio ai fini delle imposte sui redditi);

gli avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Pavia, che accolse parzialmente i ricorsi della società contribuente;

avverso tali pronunce, l’Agenzia delle entrate propose distinti appelli – limitatamente alla parte delle sentenze impugnate concernente le menzionate riprese a tassazione di IVA – davanti alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che li rigettò con le motivazioni che: a) “i relativi contratti di vendita, agli atti del giudizio, prevedevano tra le condizioni contrattuali, il versamento delle somme, per caparra confirmatoria, non soggette ad IVA, al contrario di quanto ritenuto dall’Ufficio, che, invece, considerava tali versamenti come acconti, soggetti all’imposta” (sentenza n. 87/36/13 depositata il 27 giugno 2013 e impugnata con il ricorso iscritto al n. 28604/2013 RG); b) “i contratti preliminari di compravendita conclusi dalla società ricorrente, per la parte di corrispettivo ricevuta a titolo di caparra confirmatoria, non dovevano essere assoggettati ad IVA all’atto dell’avvenuta prenotazione dei mobili” (sentenze n. 117/36/13 depositata il 25 settembre 2013 e impugnata con il ricorso iscritto al n. 3734/2014 RG e n. 116/36/13 depositata il 25 settembre 2013 e impugnata con il ricorso iscritto al n. 4927/2014 RG);

avverso tali sentenze della CTR, ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida i propri ricorsi – notificati, rispettivamente, il 6/11 dicembre 2013 (n. 28604/2013 RG), il 4/6 febbraio 2014 (n. 3734/2014 RG) e il 14/17 febbraio 2014 (n. 4927/2014 RG) – a due motivi;

Albani s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

va preliminarmente disposta la riunione dei tre ricorsi in quanto connessi (stante l’identità delle parti e la sostanziale identità dell’oggetto e dei motivi);

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 2, 6 e 13, e dell’art. 2697 c.c., atteso che, premesso che l’onere di provare che “si fosse in presenza di contratti nei quali era stata effettivamente inserita una clausola sul cui contenuto potesse discutersi in termini di “caparra confirmatoria”” incombeva sul contribuente e che Albani s.r.l. “non aveva depositato i contratti in base ai quali l’Ufficio aveva adottato il provvedimento impositivo” (ma, come affermato nello stesso ricorso introduttivo, soltanto alcuni contratti “a titolo esemplificativo”), la CTR ha “violato la regola dell’onere probatorio dando per scontato che nella specie si fosse in presenza di contratti nei quali era effettivamente contenuta una clausola portante la previsione di una caparra confirmatoria a carico dei soggetti che contrattavano con la Contribuente, laddove non sembra proprio che esistesse alcuna prova al riguardo”;

con il secondo, subordinato, motivo, la ricorrente, fatte le stesse premesse di cui al primo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “(d)ifetto di motivazione per omesso esame”, in quanto la CTR non solo non ha considerato, in particolare, che i documenti prodotti in giudizio dalla società contribuente erano stati prodotti “a titolo esemplificativo” e, quindi, “non rappresentavano la totalità delle operazioni di vendita effettuate” (ricorso iscritto al n. 28604/2013) e che “era stata fatta valere la presenza di alcune clausole (nel contratto standard) che ben difficilmente potevano essere ritenute omogenee rispetto alla previsione di una caparra confirmatoria”, ma “non ha speso nemmeno un rigo di spiegazione per significare attraverso quale percorso logico, documentale, ermeneutico fosse arrivata” alla soluzione adottata, con la conseguenza che, “chiamata a spiegare se nella fattispecie si fosse per davvero in presenza di una clausola contenente caparra confirmatoria, non ha dato minimamente conto del percorso seguito e ciò a fronte di ben articolate e specifiche affermazioni proposte a fondamento della legittimità della pretesa impositiva”;

il secondo motivo – che, in quanto logicamente pregiudiziale, deve essere esaminato per primo – è fondato;

a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 1, nel caso di cessioni che – come nella specie – riguardano beni mobili, il presupposto dell’IVA si verifica “nel momento della consegna o spedizione”;

per il D.P.R. n. 633 del 1972, stesso art. 6, comma 4, tuttavia, qualora, anteriormente al verificarsi dei suddetti eventi o indipendentemente da essi, “sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo”, il presupposto dell’imposta si verifica, limitatamente all’importo pagato, “alla data (..) del pagamento”;

a proposito, in particolare, della dazione, al momento della conclusione del contratto, di danaro (o di una quantità di altre cose fungibili) a titolo di caparra confirmatoria disciplinata dall’art. 1385 c.c., questa Corte ha chiarito, da un lato, che la dazione di danaro (o di una quantità di altre cose fungibili) a tale titolo “racchiude normalmente il duplice scopo di anticipare in una certa misura la prestazione dovuta, in caso di adempimento, e di rafforzare e garantire il vincolo obbligatorio, in caso d’inadempimento, conferendo alla parte non inadempiente la scelta fra la ritenzione (o la restituzione del doppio) della caparra e l’esercizio delle ordinarie azioni contrattuali e di risarcimento del danno” e, dall’altro lato, che “(è) compito del Giudice di merito stabilire, attraverso la valutazione di elementi intrinseci ed estrinseci al contratto, se i contraenti abbiano inteso attribuire alla somma versata (o ad una parte di essa) la funzione di mera caparra (confirmatoria), ovvero anche quella di acconto del prezzo dovuto”, con la conseguente conclusione che “il pagamento di somme di denaro (o la dazione di cose fungibili), effettuato a titolo di caparra confirmatoria di un contratto di compravendita di bene immobile, è soggetto ad IVA ed all’obbligo di fatturazione solo nella misura in cui tali somme (o cose fungibili) sono destinate, per volontà delle parti, accettabile dal giudice di merito in base ad elementi intrinseci ed estrinseci al contratto, ad anticipazione del prezzo per l’acquisto del bene” (Cass., 22/01/2007, n. 1320, 10/04/2009, n. 8792; in senso analogo, Cass., 03/12/2010, secondo cui, “(Un sostanza, in presenza di contratto preliminare di vendita di beni il cui definitivo è soggetto ad IVA, occorre valutare se la caparra confirmatoria in esso contenuta, in relazione alla disciplina dell’istituto di cui all’art. 1385 c.c., mantiene la funzione di anticipo sul prezzo, unitamente a quello di rafforzamento della garanzia costituito dall’essere il corrispettivo del recesso. In tal caso, infatti, la dazione di denaro corrispondente alla caparra ha la stessa natura della corresponsione del prezzo del bene ed è pertanto assoggettata ad IVA”);

alla luce di quanto precede, era compito della CTR – da svolgere attraverso la valutazione degli elementi intrinseci ed estrinseci ai contratti di compravendita dei mobili, sulla base delle regole di ermeneutica dei negozi giuridici dettate dal codice civile (artt. 1362 e ss.) – stabilire: a) anzitutto, se i suddetti contratti di cessione dei mobili effettivamente contenessero clausole che prevedevano dazioni anticipate (rispetto alla consegna dei mobili) di danaro a titolo di caparra confirmatoria disciplinata dall’art. 1385 c.c. (tenendo anche conto che – anche alla luce del principio secondo cui, “(n)el dubbio se la somma di denaro sia stata versata a titolo di acconto sul prezzo o a titolo di caparra, si deve ritenere che il versamento è avvenuto a titolo di acconto sul prezzo” (Cass., 22/08/1977, n. 3833; in senso analogo, Cass., 03/10/1969, n. 3161, 23/04/1976, n. 1449) – deve ritenersi onere del contribuente fornire la prova che la dazione di danaro è stata effettuata a titolo di caparra); b) in secondo luogo, nel caso di effettiva esistenza delle predette clausole, se i contraenti avessero inteso attribuire alle somme versate la funzione di mera caparra confirmatoria ovvero anche quella di acconto sul prezzo dovuto (nel quale ultimo caso – come si è visto – “la dazione di denaro corrispondente alla caparra ha la stessa natura della corresponsione del prezzo del bene ed è pertanto assoggettata ad IVA”);

il motivo in esame si sostanzia, in vero, nella denuncia del carattere meramente apparente della motivazione delle sentenze impugnate riguardo a tali aspetti;

in proposito, va ribadito il principio che si ha motivazione apparente quando la motivazione, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232, Rv. 641526-01, Cass., 23/05/2019, n. 13977, Rv. 654145-01, 04/09/2020, n. 18393);

le impugnate sentenze della CTR – le cui motivazioni, già riportate nella parte in fatto, si esauriscono nelle affermazioni che: a) “i relativi contratti di vendita, agli atti del giudizio, prevedevano tra le condizioni contrattuali, il versamento delle somme, per caparra confirmatoria, non soggette ad IVA, al contrario di quanto ritenuto dall’Ufficio, che, invece, considerava tali versamenti come acconti, soggetti all’imposta” (sentenza n. 87/36/13); b) “i contratti preliminari di compravendita conclusi dalla società ricorrente, per la parte di corrispettivo ricevuta a titolo di caparra confirmatoria, non dovevano essere assoggettati ad IVA all’atto dell’avvenuta prenotazione dei mobili” (sentenze n. 117/36/13 e n. 116/36/13) – rientrano in tale grave anomalia argomentativa, concretizzando, perciò, dei casi di motivazione apparente;

dette affermazioni, infatti, non estrinsecano il ragionamento che ha indotto il giudice di appello al convincimento dell’esistenza, nei contratti di compravendita dei mobili, di clausole che prevedevano dazioni anticipate di danaro a titolo di caparra confirmatoria disciplinata dall’art. 1385 c.c., nonchè all’implicito convincimento che i contraenti avevano inteso attribuire al danaro versato la funzione di mera caparra confirmatoria (e non anche quella di acconto sul prezzo dovuto), atteso che esse, da un lato, si riferiscono ai suddetti contratti in modo complessivo e del tutto generico, dall’altro lato, ne affermano in modo meramente assertivo e anapodittico la valenza dimostrativa (nel senso dell’apparenza della motivazione “meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti”, Cass. 30/5/2019, n. 14762);

pertanto, le sentenze impugnate devono essere cassate in relazione al secondo motivo dei ricorsi, assorbito il primo, e le cause riunite devono essere rinviate alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, affinchè riesamini le vicende processuali e provveda altresì a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

riuniti i ricorsi, accoglie il secondo motivo degli stessi, assorbito il primo, cassa le sentenze impugnate in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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