Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1298 del 19/01/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1298 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: FASANO ANNA MARIA

SENTENZA

sul ricorso 7385-2011 proposto da:
ROMA CAPITALE in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI
GIOVE

21,

presso lo studio dell’avvocato ANGELA

RAIMONDO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ANTONIO CIAVARELLA giusta delega a
margine;
– ricorrente contro

ACIF SPECIAL SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CASSIODORO

15,

presso

lo

studio

dell’avvocato

Data pubblicazione: 19/01/2018

FRANCESCO VENTURI, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 280/2010 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 20/12/2010;

udienza del 04/10/2017 dal Consigliere Dott. ANNA
MARIA FASANO:
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine il rigetto del
ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato CALDERARA per
delega orale dell’Avvocato VENTURI che ha chiesto
l’inammissibilità o in subordine il rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. N. 7385/11
FATTI DI CAUSA
La società ACIF Special s.r.l. impugnava innanzi alla CTP di Roma,
con distinti ricorsi, cinque avvisi di accertamento per ICI, emessi
dal Comune di Roma quale differenza tra il dovuto ed il versato per
i periodi di imposta dal 1999 al 2003 in relazione a 33 unità

avvisi, vizi di motivazione e carenze istruttorie in ordine
all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, mentre in soli due
ricorsi veniva prospettata questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 33 I. n. 350 del 2003, in relazione agli artt. 3,
23, 53 e 97 cost.. La società aveva presentato, nel 2002, con la
c.d. procedura DOCFA, la richiesta di variazione catastale,
proponendo all’Agenzia del territorio una rendita catastale nulla. A
completamento della procedura DOCFA, l’UTE ripristinava la rendita
originaria e notificava gli avvisi di classamento in data 24.1.2005.
La CTP, previa riunione, respingeva i ricorsi. Avverso la sentenza
proponeva appello la società contribuente, che veniva accolto dalla
CTR del Lazio con la sentenza n. 280/7/10, la quale sulla maggiore
imposta liquidata per differenza di rendita catastale, riteneva
infondata la pretesa impositiva del Comune di Roma, in quanto il
relativo importo era stato determinato in base ad una rendita non
rispondente al valore reale dell’immobile negli anni di riferimento.
Roma Capitale, già Comune di Roma, propone ricorso per la
cassazione della sentenza, svolgendo quattro motivi. La società
ACIF Special s.r.l. si è costituita con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata
denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 2,
ed 11, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992, in combinato disposto

immobiliari, eccependo il difetto di regolare notificazione degli

con l’art. 1, comma 3, del d.m. n. 701 del 1994. Parte ricorrente
deduce che, con riferimento ad alcune delle porzioni di fabbricato
oggetto degli avvisi impugnati, precisamente le porzioni immobiliari
censite nel NCEU di Roma al foglio 481 particella 76 sub. 24, 25, 39
e 43, il classamento proposto dalla società ricorrente a mezzo
DOCFA, per il mutamento del valore già precedentemente in atti,
era stato rettificato dall’Agenzia del territorio che aveva ripristinato

sistema informativo dell’Agenzia del territorio, avvenuta in data
22.9. 2004, i valori catastali dei suddetti immobili relativi al primo
gennaio di ciascuno dei periodi di imposta interessati, risultavano
quelli posti a base del calcolo della maggiore imposta dovuta in
relazione agli avvisi di accertamento impugnati. Deduce l’ente
ricorrente che il valore rettificato dall’Agenzia del territorio avrebbe
efficacia retroattiva a decorrere dalla data di presentazione, da
parte del contribuente, della proposta di rendita mediante DOCFA.
Pertanto, la CTR incorrerebbe in errore laddove afferma che il
provvedimento di accertamento in rettifica alla rendita proposta dal
contribuente con DOCFA, emesso dall’Agenzia del territorio nel
2004, spiegherebbe efficacia solo per i periodi di imposta successivi
alla sua adozione, mentre non avrebbe efficacia retroattiva alla
data di presentazione della DOCFA da parte della società
contribuente.

2.Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza
impugnata denunciando difetto di motivazione per contraddittorietà
manifesta e travisamento dei fatti, atteso che la CTR, avendo preso
atto che l’attribuzione di rendita non derivava dalla procedura
ordinaria ma, invero, dall’attivazione della procedura DOCFA, non
prendeva in considerazione né l’art. 1 del D.M. n. 701 del 1994,
disciplinante sostanzialmente l’attribuzione di rendita in questione,
né teneva in debito conto la giurisprudenza di merito e quella di
legittimità oltre che gli orientamenti dell’Amministrazione
2

i valori. Ne consegue che al momento dell’interrogazione del

finanziaria centrale, ritenendo l’applicazione alla fattispecie dell’art.
5, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992.

3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata
per difetto di motivazione, per contraddittorietà manifesta e
travisamento dei fatti. Roma Capitale deduce che la società
ricorrente, sia in primo che in secondo grado, aveva formulato

complesso, mentre nel merito aveva sostanzialmente contestato
l’errato utilizzo da parte dell’Amministrazione delle rendite
rettificate anziché quelle da essa proposte con DOCFA. Questa
contestazione però non riguardava la globalità delle porzioni
immobiliari oggetto degli avvisi di accertamento impugnati, ma
esclusivamente le particelle di cui al foglio 481 particella 76 sub 24,
25, 39, 43. La CTR, travisando tali circostanze di fatto ed
erroneamente applicando le norme di legge richiamate al motivo n.
1 del presente ricorso, avrebbe annullato integralmente gli avvisi di
accertamento impugnati anzicchè annullarli, eventualmente
parzialmente, solo nella parte contestata in sede di merito dalla
società ricorrente.

4.Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata
per violazione e falsa applicazione del principio generale di
conservazione degli atti amministrativi di natura vincolata così
come disposto, tra gli altri, dagli artt. 21 octies della legge n. 241
del 1990 e/o del principio processuale di corrispondenza tra il
chiesto ed il pronunciato previsto e disciplinato dall’art. 112 c.p.c.,
tenuto conto che la CTR, ove anche avesse condiviso le doglianze
avanzate nel merito da parte ricorrente con esclusivo riferimento
alle particelle sopra indicate, e non anche alle altre particelle
immobiliari oggetto degli avvisi di accertamento, verso le quali
nessuna doglianza era stata mai mossa dalla contribuente società,
avrebbe dovuto annullare i provvedimenti impositivi impugnati solo
3

alcune contestazioni riferibili agli avvisi di accertamento nel loro

con riferimento a dette parti contestate. Roma Capitale lamenta,
altresì, che la CTR di Roma avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., in
quanto con la pronuncia di annullamento totale dei provvedimenti
impugnati è andata ben oltre la specifica domanda formulata da
parte ricorrente in relazione al presupposto errato conteggio
dell’imposta pretesa, con riferimento alle particelle immobiliari

5. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per
connessione logica, sono inammissibili per totale carenza del
requisito di autosufficienza, ravvisandosi la violazione dell’art. 366,
n. 6, c.p.c., mancando: “la specifica indicazione degli atti
processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda”. Se è vero,
infatti, che parte ricorrente non è tenuta, in ragione
dell’indisponibilità del fascicolo di parte, che resta acquisito, ex art.
25, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d’ufficio del
processo svoltosi davanti alla Commissione Tributaria, ad un nuovo
onere di produzione documentale (Cass. civ. S.U., 3 novembre
2011, n. 22726) risultando all’uopo sufficiente la richiesta di
trasmissione, ex art. 369, comma 3, c.p.c., del fascicolo alla
segreteria della CTR, nondimeno ciò non esonera la parte stessa
dal diverso onere previsto, a pena di inammissibilità, dal
menzionato art. 366, n. 6, c.p.c., che richiede, come si è visto: ” la
specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali
il ricorso si fonda”, con l’indicazione dei dati necessari alla
individuazione della loro collocazione quanto al momento della loro
produzione dei gradi di merito (in tal senso cfr. Cass. n. 22726/11;
Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 21686 del 2010; Cass. n. 303
del 2010). Nel caso di specie, l’Amministrazione ricorrente si è
limitata ad allegare al ricorso l’istanza di trasmissione ex art. 360,
terzo comma, c.p.c., non sufficiente a soddisfare il requisito di cui
all’art. 366, n. 6, c.p.c.

4

(foglio 481, particella 76 sub. 24, 25, 39 e 43).

Il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve
contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni
per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a
permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la
necessità di fare rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso
ricorso e, quindi, ad elementi o atti al pregresso giudizio di merito,
sicchè “il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena

gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato
mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la
censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con
specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta
produzione” (Cass. n. 14785 del 2015, conf.n. 18679 del 2017).
Onere processuale a cui non si è ottemperato.

6.11 ricorso va quindi dichiarato inammissibile, restando precluso
l’esame dei motivi addotti a sostegno del ricorso medesimo. Le
spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da
dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte
soccombente alla rifusione delle spese di lite del giudizio di
legittimità, che liquida in complessivi euro 7.300,00 per compensi,
oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre
2017.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL

19 GEN 2C1D

di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione,

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