Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12979 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 12979 Anno 2015
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso 19722-2008 proposto da:
FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ DI FATTO TRA I FRATELLI
MARANO SALVATORE MARANO STEFANO E MARANO FRANCESCO,
NONCHE’ DI MARANO SALVATORE, MARANO STEFANO E
MARANO FRANCESCO IN PROPRIO, in persona del
Curatore avv. ANTONIO NARDONE, elettivamente
2015
284

domiciliato in ROMA, VIA MANTEGAZZA 24, presso

l’avvocato STUDIO GARDIN, rappresentato e difeso
dall’avvocato DOMENICO PARRELLA, giusta procura in
calce al ricorso;

Data pubblicazione: 23/06/2015

- ricorrente –

a

contro
e

FALLIMENTO DELLA FRATE-MA (FRATELLI MARANO) IN
LIQUIDAZIONE S.R.L., in persona del Curatore dott.
MASSIMILIANO CANCELLO, elettivamente domiciliato in

GIOVANNI PALMERI, rappresentato e difeso
dall’avvocato LUIGI MASTURSI, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI,
depositato il 04/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
,
A

pubblica udienza del 18/02/2015 dal Consigliere
Dott. ANDREA SCALDAFERRI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato PARRELLA LUCA,
con delega orale, che si riporta al ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato MASTURSI
che si riporta al controricorso;

ROMA, PIAllA DEL FANTE 2, presso l’avvocato

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SALVATO LUIGI che ha concluso per il
rigetto del primo, secondo e sesto motivo,
accoglimento nel resto.

e

3.-e3

2
t.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 31 gennaio 2007, il Tribunale di
Napoli dichiarava il fallimento della società di fatto
con funzioni di

holding

di un gruppo di società

formale delle quote di partecipazione- ai soci
Salvatore, Stefano e Francesco Marano, dei quali
dichiarava anche il fallimento in proprio.
In sede di verifica del passivo, il curatore del
fallimento della FRATE-MA s.r.1., società di
costruzioni edili facente parte di quel gruppo,
chiedeva l’ammissione, in via chirografaria e su tutte
le masse, di crediti a titolo di risarcimento danni -da
liquidare in misura pari al passivo del fallimento di
tale società (in assenza di attivo), al minor introito
per la svendita del suo patrimonio immobiliare e ad una
parte (10% circa) del prezzo ricavatone, oggetto di
distrazione in favore degli stessi fratelli Marano- per
una pluralità di causae petendi, individuate da un lato
nella azione di responsabilità ex art.146 1.fall. nei
confronti dei fratelli Marano quali amministratori di
fatto della FRATE-MA, dall’altro nella azione
risarcitoria per abuso di direzione unitaria spettante
ai creditori sociali di quest’ultima a norma

3

riconducibili -indipendentemente dalla titolarità

dell’art.2497 cod.civ., dall’altro ancora (quanto alla
distrazione di somme di pertinenza della società
stessa) nella azione per ripetizione di indebito o per
arricchimento senza causa.

prova degli elementi dedotti a fondamento del diritto
azionato, il Curatore del fallimento della FRATE-MA
s.r.l. proponeva opposizione, cui resisteva il curatore
dei fallimenti della società di fatto e dei fratelli
Marano, insistendo in particolare nella infondatezza
della azione ex art.146 1.fall. nei confronti dei
fratelli Marano ed invece nella accoglibilità della
domanda ex art.2497 cod.civ. nei confronti della
società di fatto tra essi intercorrente, nei limiti
della differenza tra attivo e passivo del fallimento
della FRATE-MA che risultasse provata.
Con decreto depositato il 4 giugno 2008 il Tribunale di
Napoli, in parziale accoglimento dell’opposizione,
ammetteva il credito di cui alla istanza, in via
chirografaria e su tutte le masse, per l’importo di C
2.272.410,36 (oltre rivalutazione monetaria sino alla
sentenza di fallimento ed interessi legali sugli
importi annualmente rivalutati), corrispondente al
danno prodotto al patrimonio della FRATE-MA

4

Rigettata l’istanza dal giudice delegato per carenza di

(comprensivo della somma di lire 400 milioni distratta)
con la vendita a terzi nel dicembre 1999, ad un prezzo
pari alla metà del valore prudenziale dei beni ceduti,
di un complesso immobiliare (denominato Melito 2)

ceduto con altro atto) il residuo patrimonio
immobiliare della società. Osservava, per quanto qui
rileva, il Tribunale: a)che di tale danno (esclusa
quindi l’adozione del criterio liquidatorio basato
sulla differenza tra attivo e passivo del fallimento
della FRATE-MA) dovevano rispondere direttamente
fratelli Marano, quali soci della società di fatto tra
essi intercorrente, per la loro ingerenza diretta e
pervasiva nella gestione della Frate-ma, solo
formalmente amministrata da altri, dovendo ritenersi
tale fattispecie di svolgimento di fatto delle funzioni
decisorie e gestorie della società stessa assorbente
rispetto alla mera attività di eterodirezione e
coordinamento, diffusa lungo l’intero perimetro del
gruppo facente capo alla holding di fatto, riconosciuta
dalla stessa curatela opposta e riscontrata nella
sentenza dichiarativa dei fallimenti della società di
fatto e dei suoi soci; b)che il ruolo solo formale,
alla stregua di quello di un mero prestanome, svolto

costituente (unitamente ad altro complesso immobiliare

dall’amministratore (poi liquidatore) di diritto della
FRATE-MA si evinceva non solo dalla attività di
parrucchiere e barbiere da lui esercitata a titolo
individuale sino al 31.12.1993 (un anno e mezzo dopo

compatibile -in assenza di altri elementi idonei a
comprovare la sua capacità professionale- con
l’esercizio della funzione in società operante nello
specifico e complesso settore delle costruzioni
edilizie, ma anche dalla sua incapacità di fornire
alcuna indicazione sulle vicende della società in
occasione dell’interrogatorio reso al curatore; c) che,
alla luce di tali elementi, la condotta dei fratelli
Marano doveva essere valutata nel contesto particolare
nel quale la società aveva svolto la sua attività,
soprattutto con riferimento al tormentato rapporto con
il ceto bancario, con una lunga trattativa coltivata e
gestita direttamente dai predetti (come da essi essi
stessi ammesso in una istanza al giudice delegato al
fallimento di una società del gruppo) sfociata in un
accordo nell’aprile/giugno 1999, coinvolgente anche la
FRATE-MA, per la risistemazione dell’intera esposizione
debitoria del gruppo Marano (e dei fratelli Marano
stessi) con il sistema bancario attraverso la

6

l’assunzione della carica), profilo questo assai poco

liquidazione concordata delle attività patrimoniali
delle società del gruppo; d)che dunque, in tale
contesto, doveva ritenersi che le vendite con le quali
la FRATE-MA aveva dismesso il suo residuo patrimonio

fratelli Marano, i quali costituivano l’unico, reale,
centro di potere decisionale esercitato sia pure al
riparo da una formale investitura di natura
amministrativa.
Avverso tale provvedimento il curatore dei fallimenti
della società di fatto e dei fratelli Marano ha
proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi,
cui resiste con controricorso il curatore del
fallimento della FRATE-MA s.r.l. Entrambe le parti
hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli
artt.2392, 2394-bis, 2476 e 2497 cod.civ. nonché
dell’art.146 1.fall., lamentando che il Tribunale, pur
non avendo omesso di rilevare che “l’esercizio di una
influenza dominante o l’accentramento delle funzioni
gestorie delle società controllate presso gli organi
della

holding

costituisce, di per sé, fenomeno di

problematico distinguo rispetto alla diretta gestione

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immobiliare fossero state concepite e decise dai

di fatto della società..”, ha poi ritenuto che
ricorresse la fattispecie di creazione
giurisprudenziale dell’amministratore di fatto senza
verificare l’incidenza su di essa della riforma del

tipizzazione di forme di eterodirezione, e senza
considerare che nel caso in esame ai fratelli Marano
non erano attribuibili atti sistematici e reiterati di
amministrazione bensì solo condotte sintomatiche dello
svolgimento di una attività di direzione e
coordinamento di una società del gruppo controllato
dalla società di fatto da essi costituita.
Il motivo è privo di fondamento. In primo luogo, questa
• Corte ha già avuto modo recentemente di affermare
(cfr.Sez.1 n.2952/15, relativa ad altra società del
medesimo gruppo) come debba escludersi che la
fattispecie di responsabilità introdotta dalla riforma
con l’art.2497 cod.civ. abbia eliminato la possibilità
di affermare l’esistenza della figura
dell’amministratore di fatto e della relativa
responsabilità. Al contrario non è dato ravvisare, in
astratto, incompatibilità di situazioni tra la formale
esistenza di un gruppo, con conseguente assetto
giuridico predisposto per una direzione unitaria, e

8

diritto societario del 2003, e in particolare della

l’amministrazione di fatto di singole società del
gruppo stesso da parte degli

holders.

Quest’ultima

corrisponde infatti ad una situazione di fatto nella
quale le funzioni di amministrazione sono svolte

diritto- da un soggetto in assenza di una qualsivoglia
investitura; la prima corrisponde invece ad una
situazione di diritto nella quale ad una società
controllante è consentita la direzione di società
controllate rispettando l’autonomia delle società che
vengono dirette, e quindi senza ingerirsi direttamente
nella loro gestione bensì impartendo direttive che gli
amministratori applicheranno autonomamente. Non può
dunque escludersi che il soggetto cui sono attribuiti
poteri di direzione in quanto amministratore di una
holding

(nel caso in esame in quanto socio di una

società di fatto che svolge funzioni di holding), possa
esercitare di fatto poteri di amministrazione e,
disattendendo l’autonomia della società controllata con
il ridurne gli amministratori a meri esecutori dei suoi
ordini, comportarsi come se ne fosse l’amministratore:
in tal caso, una situazione di fatto viene a sostituire
il diverso assetto prefigurato dalle norme giuridiche

9

direttamente -non diversamente dagli amministratori di

ed il gruppo viene a ridursi ad un mero simulacro
formale.
E’ su questo ordine di concetti che il Tribunale ha
fondato il suo convincimento, laddove ha ritenuto la

dei fratelli Marano nella gestione della Frate-ma,
desumendola dalla natura solo formale della carica
rivestita dall’amministratore di diritto e

trovandone

conferma tra l’altro nel riconoscimento -che il giudice
di merito ha tratto dall’interpretazione di un
documento proveniente dai predetti germani- del ruolo
da essi svolto di unico, reale centro di potere
decisionale, sia pure al riparo da una formale
– investitura amministrativa. In tal senso, neppure può
affermarsi -senza procedere ad una inammissibile
rivalutazione degli elementi considerati dal giudice di
merito- che il Tribunale abbia desunto tale ingerenza
dal compimento di atti di natura eterogenea ed
occasionale, avendo invece fatto espresso riferimento,
tra l’altro, al suddetto ruolo svolto dai fratelli
Marano nel peculiare rapporto con il ceto bancario,
culminato nell’accordo dell’aprile/giugno 1999, di cui
i due atti di vendita generatori del danno qui in
discussione costituirono attuazione.

10

sussistenza di una “ingerenza diretta” (pag.10 decreto)

2.

Deriva

dalle

considerazioni

che

precedono

l’infondatezza anche del secondo motivo, con il quale
si denuncia la violazione (oltre che dell’art.112
cod.proc.civ., meramente enunciata in rubrica ma non

cod.civ., cioè del giudicato costituito dalla sentenza
che ha dichiarato il fallimento della holding di fatto
costituita dai fratelli Marano per la direzione ed il
coordinamento di un gruppo di imprese tra le quali la
Frate-ma s.r.1.; sentenza nella quale tutta l’attività
svolta dai fratelli Marano era stata presa in
considerazione come espressione della attività di
direzione e coordinamento. L’infondatezza della
doglianza deriva dalla erroneità della premessa dalla
quale muove, che cioè l’accertamento dell’esistenza di
una

holding

di fatto, con funzioni di direzione e

coordinamento di imprese, sia in contrasto con la
responsabilità dei fratelli Marano quali amministratori
di fatto di talune imprese del gruppo stesso. Contrasto
che, come si è detto sopra, non è ravvisabile, sì che
legittimamente il decreto impugnato ha, senza negare
l’esistenza della eterodirezione, accertato come i
fratelli Marano non si fossero limitati a comunicare
delle direttive all’amministratore formale della Frate-

11

giustificata nella illustrazione) dell’art.2909

ma, ma fossero intervenuti direttamente nei rapporti
con le banche ed avessero deciso essi stessi le vendite
contestate.
3.

Con il terzo motivo si denuncia la falsa

giurisprudenza, disciplinano l’amministrazione di fatto
(artt.2392, 2393, 2394, 146 1.fall.), lamentando che
erroneamente il Tribunale avrebbe attribuito ai
fratelli Marano la qualifica di amministratori di fatto
della Frate-ma sulla base di atti che non attengono
alla gestione della anzidetta società, e comunque sulla
base di un solo episodio (la conduzione della
trattativa con le banche per la sistemazione della
esposizione debitoria) che non consentirebbe di
affermare il sistematico esercizio delle funzioni di
amministrazione da parte dei fratelli Marano.

3.1.

La

denuncia della mancanza di prova di una reiterata e
sistematica ingerenza dei predetti nella
amministrazione della Frate-ma costituisce oggetto
anche del quarto motivo, sotto il profilo della
violazione dell’art.2697 cod.civ. e sotto quello del
vizio di motivazione. Mentre con il quinto motivo si
deduce (sempre sotto i profili della violazione
dell’art.2697 e del vizio di motivazione) la mancanza

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applicazione delle norme di diritto che, secondo la

di prova della imputabilità ai fratelli Marano dei due
atti di vendita, uno dei quali generatore del danno di
cui essi sono stati ritenuti responsabili.
3.2. I tre motivi, esaminabili congiuntamente in quanto

parte infondati. Inammissibili laddove il ricorrente,
attraverso la denuncia della violazione delle regole
sulla attribuzione dell’onere della prova (che
evidentemente non disciplinano la valutazione della
prova offerta) o della insufficienza e illogicità della
motivazione, propone in effetti delle censure di merito
criticando la valutazione del fatto e chiedendone un
riesame non consentito in questa sede. Ciò vale, in
particolare, per le censure esposte in ricorso circa la
affermazione, contenuta nel decreto impugnato, secondo
cui i due atti di vendita del residuo patrimonio
immobiliare della Frate-ma (la cui natura di atti di
gestione della società non pare invero dubitabile)
vennero concepiti e decisi dai fratelli Marano.
Affermazione che il Tribunale ha espresso all’esito di
un percorso argomentativo (avente ad oggetto tanto il
ruolo svolto dai predetti nei rapporti con le banche e
nella trattativa sfociata nell’accordo di sistemazione
del debito di cui le vendite costituirono attuazione,

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strettamente connessi, sono in parte inammissibili, in

quanto il ruolo di mero prestanome attribuibile
all’amministratore di diritto, svolgente l’attività di
barbiere e dimostratosi all’oscuro dei fatti gestori
della società) che appare congruo e privo di vizi

D’altra

parte,

prive

di

fondamento

sono

le

considerazioni esposte dal ricorrente circa la mancata
dimostrazione di una reiterata e sistematica ingerenza
nella amministrazione della Frate-ma da parte dei
fratelli Marano. Ritiene invero il Collegio (ribadendo
quanto già affermato nella richiamata sentenza di
questa Corte n.2952/15) che il compimento di atti di
gestione, quale la dismissione del cospicuo patrimonio
immobiliare residuo della società in questione, di
notevole consistenza economica (circa 9 miliardi di
lire di valore prudenziale) ed effetti sul patrimonio
della società stessa, è da solo sufficiente ad
integrare gli estremi di una amministrazione di fatto.
Vero è che in talune decisioni di questa Corte
(cfr.n.28819/08; n.9795/99) si afferma che la
configurabilità di una amministrazione di fatto
presuppone che le funzioni gestorie svolte abbiano
carattere sistematico e non si esauriscano nel
compimento di alcuni atti di natura eterogenea ed

14

logici.

occasionale. Ma il requisito della sistematicità è
richiesto per desumerne l’inserimento nella gestione
quando i singoli atti non sono, sotto tale profilo, da
soli sufficientemente significativi; e ciò non può

qualsivoglia investitura da parte della società, di
atti di assoluta rilevanza per la vita dell’impresa, i
quali pertanto non possono avere natura estemporanea ed
accidentale ma possono giustificarsi soltanto in virtù
di un effettivo inserimento nella gestione.
4.

Con il sesto motivo viene censurata, sotto il

profilo della violazione dell’art.2697 cod.civ. e sotto
quello del vizio di motivazione, la individuazione e
quantificazione dei danni derivanti dalla operazione di
vendita del complesso Melito 2. Lamenta che il
Tribunale, affermando che il valore prudenziale dei
beni venduti allegato dalla Curatela opponente non era
stato contestato dalla Curatela opposta e trovava
conferma almeno in parte in una perizia, prodotta in
giudizio,

eseguita

da un tecnico incaricato

dall’Istituto mutuante, avrebbe, da un lato,
erroneamente accertato la non contestazione, dall’altro
illegittimamente utilizzato quale prova quella perizia,
redatta al di fuori del processo. In tal modo ponendo

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dirsi nel caso di compimento, in assenza di una

in essere al contempo una violazione delle regole di
cui all’art.2697 cod.civ. ed una motivazione
insufficiente e contraddittoria.
Tuttavia,

quanto

alla

violazione

regole

delle

è già detto che tale violazione si configura soltanto
quando il giudice abbia attribuito l’onere della prova
ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo
le regole dettate da quella norma, non anche
nell’ipotesi -prospettata nel motivo- in cui il
giudice, a seguito di una incongrua valutazione delle
risultanze istruttorie, abbia errato nel ritenere che
la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in
questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento
sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5
cod. proc. civ. (cfr.ex multis: Cass.Sez.3 n.15107/13;
n.19064/06). Neppure sotto tale profilo, d’altra parte,
il motivo coglie nel segno, atteso che la critica alla
motivazione è diretta, da un lato, a sostenere
inammissibilmente la erroneità della valutazione -che è
riservata al giudice di merito- delle difese della
Curatela opposta (trascritte nel decreto impugnato) in
termini di non contestazione, dall’altro ad affermare

16

sull’onere della prova poste dall’art.2697 cod.civ., si

infondatamente l’inutilizzabilità come prova di una
perizia stragiudiziale prodotta in atti. Affermazione
che si pone invero in contrasto con il principio del
libero convincimento del giudice che caratterizza il

possibilità di porre a fondamento della decisione prove
non espressamente previste dal codice di rito:cfr.ex
multis Cass.n. 12763/00; n.5965/04; n. 5440/10), tanto
più che nella specie il Tribunale ha dato conto (oltre
che della mancanza di contestazione specifica da parte
del resistente) del dato di riscontro costituito dal
prezzo di rivendita a terzi (ben maggiore della
valutazione prudenziale considerata) realizzato dalla
società acquirente.
5. Con il settimo motivo si torna a censurare, sotto il

profilo della violazione dell’art.2697 cod.civ. e sotto
quello del vizio di motivazione, la quantificazione del
danno con particolare riferimento alla inclusione in
esso della somma di lire 400.000.000 che il Tribunale
ha ritenuto distratta dai Marano a proprio favore
avendo l’Istituto mutuante, che aveva proceduto a
pignoramento del complesso immobiliare, ricevuto non
l’intero prezzo di vendita (lire 4.000.000.000) bensì
il minor importo di lire 3.600.000.000. Lamenta il

17

vigente ordinamento processuale (che ammette la

ricorrente che tale convincimento sarebbe privo di
..

motivazione, e smentito per tabulas giacchè dall’atto
di vendita, prodotto in atti, risulta che il prezzo è
stato pagato dalla acquirente mediante una serie di

all’ordine dell’Istituto mutuante.
Osserva tuttavia il Collegio come -esclusa per quanto
detto la fondatezza della denuncia di violazione
dell’art.2697 cod.civ.- la censura di omessa
motivazione risulti smentita dall’esame del decreto,
che ha puntualmente rilevato come la mancata ricezione
da parte dell’Istituto mutuante della parte di prezzo
ricavato dalla vendita corrispondente all’importo di
lire 400.000.000 fosse stata specificamente allegata in

giudizio dalla Curatela
distrazione

a

profitto

Allegazione, questa, la

opponente
personale

in termini di
Marano.

dei

cui tempestiva contestazione,

in sede di merito, l’odierno ricorrente non ha neppure
genericamente dedotto nella illustrazione del motivo,
essendosi limitato a dedurre la esistenza di una prova
scritta contraria. Che peraltro non appare idonea a
condurre a conclusioni diverse da quelle esposte nel
provvedimento impugnato, dal momento che l’atto di
vendita nulla dice sulle somme effettivamente ricevute

18

titoli di varie genere e importo non trasferibili

~

dalla banca mutuante ad estinzione del suo credito
verso la Frate-ma s.r.l.
6.

Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione

dell’art.99

ultimo

comma

1.fall.,

dell’art.81

2394 bis, 2476, 2270 e 2305 cod.civ., lamentando che il
credito risarcitorio per fatti addebitabili ai fratelli
Marano, quali

amministratori di fatto della Frate – ma

s.r.1., sia stato

ammesso anche al passivo della

società di fatto tra essi costituita.
Il motivo è fondato per quanto di ragione. Alla
responsabilità dei fratelli Marano ex art.146 1.fall.,
in quanto amministratori di fatto della Frate-ma
s.r.1., non consegue una responsabilità della società
di fatto tra essi costituita, non trattandosi di
attività posta in essere quali amministratori della
holding, ma di una attività che -come esposto
nell’esame del terzo motivo- si pone anzi al di fuori
delle regole che disciplinano i gruppi di società.
7. Il decreto impugnato è quindi cassato in relazione
al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, può decidersi nel merito ex
art.384 cod.proc.civ.

rigettando la domanda del

Fallimento della Frate-ma s.r.l. di ammissione al

19

cod.proc.civ., dell’art.146 1.fall., degli artt.2392-

passivo della società di fatto tra Salvatore, Stefano e
Francesco Marano, ferma restando la disposta ammissione
del credito risarcitorio al passivo dei fallimenti
personali dei medesimi fratelli Marano.

la novità delle questioni trattate e la parziale
soccombenza reciproca ne giustificano la compensazione
tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo motivo, rigetta gli altri;
cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo
accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del
Fallimento della Frate-ma s.r.l. di ammissione al
E

passivo della società di fatto tra Salvatore, Stefano e
Francesco Marano. Compensa tra le parti le spese di
questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione,

8. Quanto alle spese di questo giudizio di cassazione,

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