Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12976 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/06/2020), n.12976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31778/2018 R.G. proposto da:

Associazione Culturale Primavera Onlus, rappresentata e difesa

dall’Avv. Francesco Caruso;

– ricorrente –

contro

Comune di Catania, rappresentato e difeso dall’Avv. Walter Perez;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, n. 781/2018,

depositata il 5 aprile 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 gennaio

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catania ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento dell’opposizione proposta dal Comune di Catania, aveva revocato il decreto ingiuntivo n. 2638/09, emesso dal Tribunale della stessa città, per il pagamento, in favore della Associazione Culturale Primavera Onlus, della somma di Euro 470.939,29, per corrispettivi maturati in relazione a due servizi di semiconvitto e di centro diurno per minori resi in esecuzione di project financing trentennale stipulato con l’ente.

Per quel che ancora in questa sede interessa, la Corte d’appello ha preliminarmente rigettato la reiterata eccezione di difetto di legittimazione processuale del Comune, in quanto costituitosi in giudizio sulla base di procura conferita dal Sindaco, in assenza di delibera autorizzativa da parte della Giunta Municipale.

Ha infatti sul punto ritenuto, richiamando Cass. Sez. U. 23/12/2009, n. 27216, che la nuova normativa regionale siciliana in tema di ripartizione delle competenze, in conformità alla distinzione tra organi di indirizzo e di controllo pubblico-amministrativo ed organi responsabili dell’ente della gestione amministrativa dei suoi servizi, in linea con l’intervenuta modifica del Titolo V della Costituzione e le modifiche intervenute nella legislazione nazionale, “ha profondamente innovato le precedenti attribuzioni della giunta municipale, più non includendo fra le sue competenze le delibere aventi ad oggetto le autorizzazioni alla proposizione delle liti attive e passive, che, quale atto gestionale e tecnico, più non necessita anche per i comuni della Regione siciliana dell’autorizzazione giuntale”.

2. Avverso tale decisione l’associazione soccombente propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo, cui resiste il Comune di Catania, depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Associazione Culturale Primavera Onlus denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione del combinato disposto di cui all’art. 182 c.p.c.; L.R. Sicilia 11 dicembre 1991, n. 48, art. 1; L. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 35 e 36; L.R. Sicilia 1 settembre 1993, n. 26, art. 41; violazione dello Statuto della Regione siciliana; nullità insanabile della notifica dell’atto di citazione di primo grado per l’assenza di legittimazione processuale del Comune opponente”.

Sostiene che, diversamente da quanto affermato in sentenza, la normativa siciliana in vigore, a differenza di quella nazionale, continua a pretendere per i Comuni, sia per agire che per resistere, la delibera autorizzativa della Giunta municipale.

Richiama a sostegno alcune pronunce giurisprudenziali, delle quali lamenta il mancato esame da parte della Corte di merito (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenze nn. 45 e 421 del 2010; n. 398 del 2008; Cass. Sez. U. n. 10979 del 2001), nonchè il più recente arresto di Cass. 30/12/2011, n. 30228.

Sottopone poi a critica la motivazione, richiamata dalla Corte di merito, di Cass. Sez. U. n. 27216 del 2009, poichè essa, nella lettura della ricorrente, contraddittoriamente indicherebbe, quali fonti della asserita nuova disciplina regionale in materia, le stesse disposizioni (L.R. Sic. n. 48 del 1991; L.R. Sic. n. 26 del 1993), che in precedenza delineavano il quadro normativo asseritamente superato.

Sostiene che l’innovazione in materia vale solo per la disciplina applicabile ai comuni non siciliani, e che tanto dovrebbe ricavarsi dalla previsione di cui alla L. 5 giugno 2003, n. 131, art. 11, comma 1, a mente della quale “per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, nonchè dal L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10”: norma costituzionale, quest’ultima, la quale prevede che “sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite” (enfasi aggiunta).

Sostiene in definitiva che, in Sicilia, la L. n. 142 del 1990, art. 1, continua ad applicarsi in forza del richiamo contenuto L.R. n. 48 del 1991, art. 1.

Rileva al riguardo, in particolare, che la L. 8 giugno 1990, n. 142, è stata bensì abrogata dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 274, e che inoltre del cit. art. 275, ha disposto che “i riferimenti a disposizioni di detta legge, contenuti in leggi, regolamenti, decreti o altre norme, si intendono effettuati ai corrispondenti articoli del suddetto D.Lgs. n. 267”, e tuttavia, poichè la Regione Sicilia ha continuato ad apportare modifiche direttamente alla suddetta legge (da ultimo gli artt. 13 e 33 sono stati sostituiti, rispettivamente, dalla L.R. 16 dicembre 2008, n. 22, artt. 1 e 11), per tale Regione continua a rimanere in vigore la L. n. 142 del 1990, come modificata da leggi regionali dalla stessa emanate, intervenute successivamente.

2. Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, atteso che “il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”.

La Corte d’appello ha fatto, invero, corretta applicazione del principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ed avallato dalla pronuncia di Cass. Sez. U. 23/12/2009, n. 27216 (espressamente citata in sentenza, e richiamata anche da Cass. n. 20120 del 2014), cui questo Collegio intende dare continuità.

Premesso che nella motivazione di tale arresto non sono ravvisabili le incongruenze dedotte dalla ricorrente, essendo chiaro il riferimento ad un quadro normativo diverso e sopravvenuto rispetto a quello previgente, non soccorrono a sostegno della tesi sostenuta in ricorso il riferimento ai precedenti di Cass. Sez. U. n. 10979 del 2001 e Cass. n. 30228 del 2011 (poichè riguardanti fattispecie ratione temporis soggette alla precedente disciplina), nè gli altri richiamati arresti del C.G.A., poichè acriticamente basati sulla detta precedente giurisprudenza di legittimità, da ritenersi ormai superata.

Deve dunque ribadirsi che, come affermato dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cass. n. 20120 del 2014; n. 13412 del 2006, Cass. Sez. U., n. 17550 del 2002 e n. 12868 del 2005; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I n. 880 del 4 luglio 2008, Cons. Stato, sez. VI n. 33 del 7 gennaio 2008; T.A.R. Sicilia, Catania, n. 1348 del 28 maggio 2012), la vigente disciplina regionale siciliana non include più fra le competenze della Giunta Comunale le delibere aventi ad oggetto le autorizzazioni alla proposizione delle liti attive e passive.

La competenza in materia della Giunta Comunale, come è noto, si fondava, in ambito nazionale, sulla L. n. 142 del 1990, art. 35, comma 2, secondo cui a tale organo spettavano le attribuzioni residuali su tutti gli atti non riservati dalla legge o dallo Statuto alla competenza del Sindaco o del Consiglio.

La norma ha trovato applicazione anche nella Regione siciliana, avente competenza legislativa esclusiva sull’ordinamento degli enti locali ai sensi dello Statuto Regionale, art. 14, lett. p), atteso che, con L.R. n. 48 del 1991, la L. n. 142 del 1990, è stata recepita nell’ordinamento regionale senza alcuna modifica.

Il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla menzionata L. n. 142 del 1990, e completato dalle disposizioni successive fino all’approvazione del D.P.R. n. 267 del 2000, ha indotto, però, le Sezioni Unite della Corte (con le citate sentenze n. 17550 del 2002 e n. 12868 del 2005) a rivedere il precedente orientamento, anche in considerazione del fatto che la modifica del titolo V della Costituzione, nonchè la successiva L. n. 131 del 2003, di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, hanno accentuato l’autonomia degli enti locali e nell’ambito di essa le potestà degli Statuti nella gerarchia delle fonti (ormai da considerarsi quali atti normativi atipici con caratteristiche di rango paraprimario o sub-primario).

Questa Corte ha, quindi, affermato che, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).

Ciò, innanzitutto, perchè alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonchè tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (D.P.R. n. 267 del 2000, art. 48, 50 e 107).

In secondo luogo, perchè, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, il Sindaco ha assunto, ancor più con la L. n. 81 del 1993, che ne ha previsto l’elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui D.P.R. n. 267 del 2000, art. 48, affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale – salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio D.P.R. n. 267 del 2000, ex art. 6, comma 2), di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia.

Questi principi valgono a maggior ragione nella Regione siciliana, in quanto, dopo il recepimento ad opera della L.R. n. 48 del 1991, della L.n. 142 del 1990, il cui art. 35, configurava la Giunta quale organo di governo, il legislatore regionale ha provveduto ad una nuova ripartizione delle competenze, in conformità alla distinzione tra organi di indirizzo e di controllo politico-amministrativo ed organi responsabili dell’ente, nonchè della gestione amministrativa dei suoi servizi.

Ed infatti, la L.R. Sic. 26 agosto 1992, n. 7, art. 13, (Norme per l’elezione con suffragio popolare del sindaco. Nuove norme per l’elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l’introduzione della preferenza unica) ha attribuito al Sindaco, che convoca e presiede la Giunta, il compimento di “tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo Statuto non siano specificatamente attribuiti alla competenza di altri organi del Comune, degli organi di decentramento, del segretario e dei dirigenti”, mentre la successiva L.R. n. 26 del 1993, art. 41, comma 2, onde dirimere le incertezze che potevano trarre ragione dalla competenza residuale delle Giunta prevista dalla L. n. 142 del 1990, come recepita dalla L.R. n. 48 del 1991, ha inserito alla L.R. n. 7 del 1992, art. 13, comma 3, il quale prevede che “restano riservate alla giunta le delibere per le materie indicate nella L.R. 3 dicembre 1991, n. 44, art. 15, che non siano di competenza del consiglio”.

Le nuove disposizioni, pertanto, hanno profondamente innovato le precedenti attribuzioni della Giunta municipale, per un verso sostituendo alla precedente competenza residuale quella avente per oggetto specifiche materie significativamente individuate fra quelle già devolute dal legislatore promiscuamente sia al suddetto organo, che al Consiglio Comunale, in base ai precedenti criteri di riparto tra gli stessi e, per altro verso, non includendo più fra di esse le delibere aventi per oggetto l’autorizzazione delle liti attive e passive, che quale atto gestionale e tecnico più non necessitano – anche per i Comuni della Regione Siciliana – dell’autorizzazione della Giunta.

Che si sia trattato di uno specifico intendimento del legislatore regionale è confermato dalle successive L.R. siciliane 5 luglio 1997, n. 23, (art. 4), e L.R. 16 ottobre 1997, n. 39, (art. 9), le quali hanno sostituito l’originario tenore della L.R. n. 44 del 1991, art. 15, modificando profondamente le materie di competenza della Giunta da sottoporre a controllo di legittimità e quelle che possono restarne esenti, senza includere nè fra le une, nè fra le altre, l’autorizzazione al Sindaco o ai dirigenti a stare in giudizio in nome e per conto del Comune (autorizzazione che, dunque, può essere pretesa nella sola ipotesi in cui il provvedimento permissivo sia imposto dallo Statuto del Comune, che nella Regione siciliana, in base alla L.R. n. 48 del 1991, art. 1, comma 1, e L. n. 30 del 2000, art. 1, comma 1, ha la funzione di fissare le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente, nonchè di porre i criteri generali per il suo funzionamento).

In difetto di diverse previsioni statutarie sul punto per il Comune di Catania, correttamente il giudice a quo ha dunque escluso la dedotta nullità, per difetto di valida procura, dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo.

3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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