Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12974 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12974 Anno 2015
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 16463-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

1265

GALEAZZI VALERIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
t

VIA ‘F.

CORRIDONI 14, presso lo studio dell’avvocato

STEFANO VALENTINI, rappresentata e difesa dagli

Data pubblicazione: 23/06/2015

avvocati ARTURO PARDI, MICHELA MARIA MASSANELLI,
giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 377/2008 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 08/07/2008 R.G.N. 1059/2005;

udienza del 17/03/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato SCHILLACI FRANCESCO per delega
MASSANELLI MICHELA MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

t

Udienza del 17 marzo 2015 —Aula B
n. 26 del ruolo — RG n. 16463/09
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello proposto da Valeria Galeazzi
avverso la sentenza del Tribunale di Urbino n. 55/2005 e, in riforma di tale sentenza, dichiara la
nullità dell’apposizione del termine al contratto stipulato dalla lavoratrice con Poste Italiane s.p.a.
per il periodo 7 ottobre 1998-31 gennaio 1999, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale
introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, con le
consequenziali pronunce.
La Corte d’appello di Ancona, per quel che qui interessa, precisa che:
a) in base alla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento
della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla
base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;
b) inoltre, nella suindicata ipotesi, grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per
mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro;
c) nella specie, la parte datoriale nulla ha provato né ha offerto di provare sul punto,
muovendo dall’assunto secondo cui solo il lasso di tempo intercorso tra la scadenza del contratto e
la proposizione della domanda giudiziale dovrebbe far presumere la volontà risolutiva tacita del
rapporto;
d) inoltre, l’avvenuta conclusione, da parte della lavoratrice, di altri contratti a tempo
determinato con la medesima parte datoriale si pone come elemento di giudizio contrario alla
sussistenza della volontà risolutiva,
e) pertanto va accolto il motivo di appello sul punto;
O quanto alle questioni poste a base delle domande, inquadrando il contratto di cui si tratta
nell’ambito del sistema di cui alla L. n, 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le OOSS a
individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva, deve essere
dichiarata la nullità della clausola di apposizione del termine, in quanto la relativa stipulazione del
contratto è avvenu4 dopo il 31 maggio 1998 — data di scadenza del periodo nel quale la normativa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

’ collettiva, di cui all’art. 8 CCNL 1994 e successive proroghe, consentiva l’assunzione a termine per
la causale dedotta nel contratto de quo — e prima della operatività dell’art. 25 del CCNL del 2001.
3.- Avverso questa sentenza la società Poste Italiane propone ricorso per cassazione con tre —
erroneamente indicati come quattro — motivi, resiste, con controricorso, la lavoratrice.
La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ., nella quale chiede
l’applicabilità dello jus superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,
commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Deve essere, in primo luogo, precisato che il Collegio ha autorizzato la motivazione
semplificata e che il presente ricorso è assoggettato ratione temporis alle prescrizioni di cui all’art.
art. 366-bis cod. proc. civ.
I

Sintesi dei motivi di ricorso

1.- Il ricorso è articolato in tre motivi (erroneamente indicati come quattro) nei quali la società
ricorrente:
1) sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione concernente
l’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso in relazione al tempo trascorso tra
la scadenza del contratto a termine dedotto in giudizio e la manifestazione della volontà della
lavoratrice di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto, senza adeguatamente specificare le
ragioni della statuizione adottata. Ed invero il rapporto di lavoro a tempo determinato, connotato da
illegittimità del termine, può, al pari di tutti i contratti, risolversi per mutuo consenso, anche in forza
di fatti e comportamenti concludenti; nel caso di specie la prolungata inerzia della lavoratrice, a
fronte della unicità del rapporto contrattuale intercorso, alla breve durata del medesimo ed alle
ulteriori circostanze delle quali la società datoriale ha, sin dal primo grado del giudizio, sollecitato
l’accertamento, hanno rilievo determinante al fine di far ritenere tali comportamenti come
espressione di un definitivo disinteresse a far valere la presunta nullità parziale del contratto e,
quindi, come tacito consenso alla definitiva risoluzione del rapporto. Tanto più che la risoluzione
per mutuo consenso non costituisce una eccezione in senso proprio, ma rappresenta un fatto
estintivo che può essere accertato anche d’ufficio (primo motivo);

z

2) contesta — anche come vizio di motivazione — l’assunto del giudice di merito secondo cui la
contrattazione collettiva adottata da Poste Italiane e dalle organizzazioni sindacali in attuazione
della L. n. 56 del 1987, art. 23 avrebbe legittimato la stipulazione di contratti a termine solo fino al
30 aprile 1998 (poi prorogato al 31 maggio 1998) e che, comunque le parti negoziali avessero
voluto effettivamente vincolare la loro capacità negoziale solo fino a questa data, sostenendo che la
contrattazione collettiva non si sia esaurita con l’accordo 25 settembre 1997 integrativo dell’art. 8
del CCNL 1998, ma si sia protratta anche successivamente in un continuum negoziale che avrebbe
legittimato anche le assunzioni per esigenze eccezionali successive alla suddetta data (secondo
motivo);
3) contesta l’affermazione della Corte territoriale relativa al riconoscimento del diritto della
lavoratrice a tutte le retribuzioni con decorrenza dalla messa in mora, effettuata senza chiedere
2

MOTIVI DELLA DECISIONE

all’interessato di allegare e provare il danno derivante dallo “scioglimento del rapporto fondato su
clausola risolutiva contrattuale nulla” e senza attribuire alcun rilievo alla richiesta di POSTE
ITALIANE volta ad ottenere ex art. 210 cod. proc. civ. l’esibizione della documentazione (libretti
di lavoro e buste paga) necessaria alla corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti
dalla lavoratrice per attività svolte alle dipendenze e/o nell’interesse di terzi (terzo motivo);
— Esame delle censure

2.1.- In base al principio più volte dettato da questa Corte — anche con riguardo a controversie
analoghe alla presente — che il Collegio intende qui riaffermare: “nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul
presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché
possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata —
sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali ulteriori circostanze significative — una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo; la valutrwione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto” (vedi, per tutte: Cass. 10 gennaio 2011, n. 330; Cass. 10
novembre 2008, n. 26935; Cass. 28 settembre 2007, n. 20390; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23554;
Cass. 11 dicembre 2001,n. 15621).
Peraltro, come pure è stato precisato: “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione
per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (vedi: Cass. 10
gennaio 2011, n. 330 cit.; Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070).
Orbene, sul punto la Corte d’appello ha escluso che il periodo di tempo che la lavoratrice ha
lasciato trascorrere prima di chiedere la riammissione in servizio possa essere, di per sé,
interpretato, in difetto di dati obiettivi — che la datrice di lavoro, che ne era onerata, non ha nella
specie dedotto e provato — come accettazione della estromissione dal lavoro.
La suddetta motivazione, conforme ai principi sopra richiamati, è immune da censure anche
con riferimento alla ipotizzata violazione dell’art. 1372 cod. civ., commi 1 e 2.
3.- Anche il secondo non è fondato.
3.1.- Deve essere ricordato che in base ad un consolidato orientamento di questa Corte — cui il
Collegio intende dare continuità — per i contratti successivi al 30 giugno 1997 (cioè al periodo di
applicazione del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9 convertito dalla L. 28 novembre 1996, n. 608) e
anteriori al CCNL del 11 gennaio 2001 (nonché al nuovo regime previsto dal D.Lgs. n. 368 del
2001) vanno applicati i principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali, sulla
scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione
collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare
3

2.- Il primo motivo non è fondato.

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con
accordi integrativi del contratto collettivo), la relativa inosservanza determina la nullità della
clausola di apposizione del termine (vedi, per tutte: Cass. 23 agosto 2006, n. 18383; Cass. 14 aprile
2005, n. 7745; Cass. 14 febbraio 2004, n. 2866), per cui, come ripetutamente affermato da questa
Corte, deve ritenersi che “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rhnodulazione degli assetti occupazionali
in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998, sicché deve escludersi la legittimità delle
assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (vedi, fra le altre: Cass. 1 ottobre
2007, n. 20608; Cass. 27 marzo 2008, n. 7979; Cass. 27 luglio 2010, n. 17550 cit.). Peraltro, tale
limite temporale (del 30 aprile 1998) non riguarda i contratti stipulati ex art. 8 CCNL 1994 per
“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” (per i quali vedi, fra le
altre: Cass. 2 marzo 2007, n. 4933; Cass. 7 marzo 2008, n. 6204; Cass. 28 marzo 2008, n. 8122),
mentre, per quanto riguarda la proroga di trenta giorni prevista dall’accordo 27 aprile 1998, per i
contratti in scadenza al 30 aprile 1998, la giurisprudenza costante di questa Corte ne ha affermato la
legittimità, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva, delle esigenze contingenti ed
imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di
ristrutturazione (vedi, fra le altre: Cass. 24 settembre 2007, n. 19696).
3.2.- Pertanto correttamente — e con congrua e logica motivazione — la Corte d’appello ha
dichiarato la nullità del termine apposto per esigenze eccezionali ecc. al contratto in oggetto,
stipulato in data 7 ottobre 1998 (in quanto intervenuto dopo il 30 aprile 1998), riconoscendo alla
lavoratrice il diritto a tutte le retribuzioni con decorrenza dalla messa in mora, essendo questo il
momento in cui la Corte anconetana ha considerato manifestata univocamente la volontà della
offerta della prestazione lavorativa, conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza di
legittimità.
4.- Il terzo motivo — attinente, come si è detto, alla detraibilità dell’aliunde perceptuin dal
danno da risarcire in conseguenza dell’accertata nullità del termine e della conversione del contratto
a tempo indeterminato — si conclude con la formulazione del seguente quesito ex art. 366-bis cod.
proc. civ. (come si è detto, applicabile nella specie, ratione temporis): “dica la Corte se, nel caso di
oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la
4

l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
lavoratori ed. efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed
esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e
le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine” (vedi, fra le altre: Cass. 27
luglio 2010, n. 17550; Cass. 8 luglio-2009, n. 15981; Cass. 4 agosto 2008, n. 21063, nonché Cass.
20 aprile 2006, n. 9245; Cass. 7 marzo 2005, n. 4862; Cass. 26 luglio 2004, n. 14011).

In applicazione del principio secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato in
maniera specifica e deve essere pertinente rispetto alla fattispecie cui la censura si riferisce la
censura (vedi, per tutte: Cass. SU 5 gennaio 2007, n. 36; Cass. SU 5 febbraio 2008, n. 2658) è
evidente che il quesito come sopra formulato dalla società appare del tutto astratto, senza alcun
riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato, per
cui deve ritenersi inesistente e quindi si valuta inammissibile il relativo motivo, ai sensi dell’art.
366-bis cod. proc. civ., secondo quanto già affermato in nnaloghe controversie (vedi, per tutte: Cass.
16 dicembre 2011, n. 27210).
5.- All’inammissibilità delle censure riguardanti le conseguenze economiche della nullità del
termine, consegue l’ininfluenza per il presente giudizio dello jus superveniens, rappresentato dalla
L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, (sul quale vedi: Corte cost. n. 303 del 2011).
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo jus superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (vedi,
per tutte: Cass. 28 giugno 2,012, n. 10899; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1411; Cass. 8 maggio 2006, n.
10547; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente,
il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria (vedi, fra le tante: Cass. 28 giugno 2012,n. 10899; Cass. 31
gennaio 2012, n. 1411; Cass. 4 gennaio 2011 n. 80 cit.). Orbene, per quel che si è detto, tale
condizione non sussiste nella fattispecie.

III — Conclusioni
6- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3500,00
(tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Cos deciso in Roma, nella camera.di consiglio della Sezione lavoro, il 17 marzo 2015.

prova a supporto delle proprie domande o eccezioni – e segnatamente per la prova dell’aliunde
perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario,
ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della
certezza processuale”.

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