Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12972 del 27/05/2010

Cassazione civile sez. III, 27/05/2010, (ud. 12/04/2010, dep. 27/05/2010), n.12972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AXA ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante e Procuratore Speciale Dott. F.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio

dell’avvocato MASSANO MARIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CAGNES SERGIO MARIA giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ PORTUALE TRIESTE (OMISSIS) in persona del suo

Presidente Dott.ssa M.M., elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA ADRIANA 5, presso lo studio dell’avvocato DE MARTINO

SIMONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GHELARDI MARCELLO giusta

procura speciale del Dott. Notaio GIOVANNI PISAPIA in TRIESTE

28/10/2005, rep. n. 74269;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 543/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 28/5/2004, depositata il 28/08/2004,

R.G.N. 64/C/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2010 dal Consigliere Dott. AMBROSIO Annamaria;

udito l’Avvocato SIMONE DE MARTINO per delega dell’Avvocato MARCELLO

GHELARDI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FEDELI MASSIMO

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con sentenza in data 13-11-2002, il Tribunale di Trieste – per quanto ancora interessa in questa sede – accoglieva la domanda proposta dalla s.a. L’UNION DES ASSURANCES DE PARIS-I.A.R.D. (di seguito, brevemente, s.a. UAP) , in surroga della propria assicurata Socowa, nei confronti dell’AUTORITA’ PORTUALE di TRIESTE (gia’ ente autonomo, di seguito, brevemente, APT) per il risarcimento dei danni conseguenti alla distruzione di n. 2.490 balle di cotone di proprieta’ dell’assicurata a seguito di incendio verificatosi nei pressi del molo (OMISSIS) del porto di Trieste, dove detta merce era stata sistemata in conseguenza di un precedente analogo evento.

1.2. La decisione, gravata da impugnazione dell’APT, era riformata in parte qua dalla Corte di appello di Trieste, la quale con sentenza in data 28-8-2004 rigettava la domanda della s.a. UAP con compensazione delle spese di entrambi i gradi, ripartendo definitivamente l’onere delle spese di c.t.u. in ragione di due terzi a carico dell’appellante e di un terzo a carico della appellata.

1.2.1. In particolare la Corte di appello riteneva che la s.a. UAP fosse carente di legittimazione attiva in relazione alla dedotta responsabilita’ contrattuale dell’APT, in quanto l’assicurata Socowa – proprietaria delle balle di cotone – era estranea al rapporto di deposito intercorso tra la stessa AUTORITA’ PORTUALE e lo spedizioniere s.p.a. P.F..

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’AXA Assicurazioni s.p.a., quale incorporante per fusione di UAP Italiana s.p.a. (a sua volta gia’ avente causa della s.a. L’UNION DES ASSURANCES DE PARIS-IARD) , svolgendo tre motivi.

Ha resistito l’APT, depositando tempestivo controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1411, 1793 c.c. e degli artt. 81 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello – pur correttamente riconducendo il contratto intercorso tra lo spedizioniere s.p.a.

P.F. e l’APT agli schemi del deposito presso magazzini generali ex art. 1787 c.c. e riconoscendo, come fatto pacifico tra le parti, che le merci depositate erano dell’assicurata Socowa – abbia erroneamente e infondatamente escluso la legittimazione della compagnia di assicurazione ad agire in surroga della propria assicurazione. In particolare la ricorrente si duole che il giudice di appello abbia ritenuto inapplicabili alla fattispecie principi affermati da questa Corte con sentenza n. 9810 del 1997 in tema di handling e abbia escluso la configurabilita’ del contratto a favore di terzo o per conto di chi spetta, per non essere stata emessa la fede di deposito della merce; deduce – in contrario senso che Socowa era soggetto legittimato ad agire contrattualmente nei confronti del depositario, per essere stato conferito dalla Ralli Brothers – dante causa di Socowa – mandato allo spedizioniere Parisi, con l’indicazione di procedere all’emissione di polizze di carico all’ordine; anche le lettere di vettura emesse dallo spedizioniere in favore di Socowa e il carteggio della Parisi con l’Ente portuale confermerebbero che il deposito era stato stipulato in favore del soggetto indennizzato da UAP. 1.1.1. Il motivo si incentra sul punto della decisione che ha escluso la legittimazione della compagnia di assicurazione ad esercitare, in via di surroga, l’azione di responsabilita’ contrattuale nei confronti di APT, per la considerazione che “Socowa, soggetto indennizzato dalla societa’ assicuratrice appellata, non era parte del contratto di deposito, azionato in causa, perche’ documentalmente risulta che lo stesso venne confezionato tra l’ente Portuale e la s.p.a. Parisi, casa di spedizioni”. A tal riguardo i giudici di appello – pur riconoscendo la riferibilita’ della fattispecie concreta allo schema legale del deposito presso i magazzini generali, come tale tipico del deposito nell’interesse di terzi – hanno, tuttavia, messo in evidenza che, nello specifico, la “Parisi nell’effettuare il deposito presso l’Ente Porto di Trieste non dichiaro’ di effettuarlo per conto terzi, bensi’ specificamente a suo nome” all’uopo richiamando i documenti 30-36 di parte appellante (pag. 14 della sentenza) e rilevando che, nell’effettuare il deposito, la predetta Parisi non richiese l’emissione di fede di deposito o della polizza di pegno “sicche’ il rapporto venne instaurato in proprio dalla societa’ di spedizioni, ancorche’ nell’interesse dell’allora suo mandante, la Ralli Brothers” (pag.

15); hanno, altresi’, precisato, che sebbene l’art. 1777 c.c. consenta la consegna delle cose a soggetto diverso dal depositante, purche’ indicato da costui – nella specie “non risulta dimessa prova che la s.p.a. Parisi ebbe mai ad indicare la Socowa siccome soggetto designato alla riconsegna delle balle andate distrutte o danneggiate in occasione dell’incendio del (OMISSIS)” (pag. 16), traendone la conseguenza che la Socowa non era titolare dell’azione contrattuale nei confronti del depositante per il risarcimento del danno per la perdita delle cose depositate, con la evidente ricaduta che neanche la UAP poteva agire in surroga con l’azione contrattuale per il recupero dell’indennizzo versato alla propria assicurata.

1.2. Cio’ posto, il Collegio ritiene che le suesposte argomentazioni siano esaustive e corrette, atteso che sulla qualificazione del rapporto dedotto in giudizio come deposito presso i magazzini generali si e’ formato il giudicato (non essendo oggetto di specifici rilievi e, anzi, essendo ribadito dall’odierna ricorrente) e che l’individuazione del soggetto legittimato all’azione contrattuale nel depositante ovvero nel terzo (se e in quanto) indicato dallo stesso depositante (cfr. art. 1792 c.c.), a prescindere della proprieta’ del bene, e’ affermazione immediatamente consequenziale all’individuazione dell’ambito normativo di riferimento e all’applicazione della disciplina tipica del rapporto. Invero nel deposito nei magazzini generali, il cui fine precipuo e’ quello – proprio del deposito – della custodia, conservazione e restituzione delle merci, il rapporto tra i contraenti in materia di responsabilita’ per inadempimento e di colpa presunta ex recepto e’ disciplinato essenzialmente dalle norme generali sul deposito, come integrate e modificate dall’art. 1787 c.c. e segg. derivando da cio’ che il titolare dell’azione risarcitoria per la perdita, la distruzione o il deterioramento delle cose depositate nei confronti del depositario e’ – quale che sia il proprietario delle stesse cose – il depositante ovvero il terzo legittimato alla restituzione per essere intestatario (o possessore) della fede di deposito e della nota di pegno, giusta la speciale disciplina prevista dall’art. 1792 c.c. e segg.. E poiche’, nella specie, per quanto accertato in fatto dai giudici di merito, in termini non contestabili in questa sede, lo spedizioniere Parisi stipulo’ il contratto di deposito in proprio e non gia’ per conto terzi (ne’ venne rilasciata la fede di deposito), titolare del diritto alla restituzione e, correlativamente, dell’azione di responsabilita’ ex contractu era la stessa Parisi, risultando inconferente a tali effetti il dato relativo alla proprieta’ dei beni depositati.

Ne’ vale invocare, a sostegno della pretesa legittimazione della proprietaria (in quanto destinataria della merce) la sentenza di questa S.C. n. 9810 del 1997 (e altre) in tema di handling aeroportuale, secondo cui, per effetto della consegna, da parte del vettore aereo, delle cose trasportate all’impresa esercente, con l’obbligo di questa di custodirle e restituirle al destinatario, si perfeziona, tra i predetti soggetti, un contratto di deposito a favore del terzo destinatario, il quale, in caso di avaria della merce in fase di deposito, e’ dunque legittimato a proporre l’azione risarcitoria direttamente nei confronti dell’impresa esercente l’handling. Tale ordine concettuale muove dalla peculiarita’ del contratto di handling – contratto atipico, avente ad oggetto varie attivita’ di assistenza a terra, tra le quali la custodia e il deposito delle merci sbarcate – e dalla sua assimilabilita’ in parte qua alla fattispecie dell’affidamento della merce da parte del vettore marittimo all’impresa di sbarco (c.d. sbarco in amministrazione), con conseguente applicazione della disciplina prevista dall’art. 454 c.n., comma 2.

Senonche’, nella fattispecie, non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 454 c.n., tant’e’ che l’affidamento in deposito presso i magazzini generali non avvenne da parte del vettore marittimo, bensi’ dello spedizioniere; ne consegue l’eccentricita’ delle deduzioni in ricorso in ordine all’applicabilita’ di principi elaborati in materia di contratto atipico di handling rispetto alla ratio decidendi che, correttamente, individua l’ambito normativo di riferimento nella disciplina tipica contenuta nel codice civile.

1.3. Quanto alla documentazione richiamata nell’ultima parte del motivo di ricorso e segnatamente, la polizza di carico, le lettere di vettura e il carteggio tra le parti (cui la controricorrente oppone:

che le polizze di carico vennero emesse ex art. 458 c.n. dal comandante della nave o dall’agente raccomandatario del vettore marittimo e non gia’ dalla Parisi; che le lettere di vettura vennero emesse dal vettore stradale e che la PARISI vi figurava come mittente; che nel carteggio con l’APT non venne mai “speso” il nome di Socowa) , si osserva che le deduzioni della ricorrente, del tutto carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, si rivelano inidonee a smentire la lettura delle risultanze di causa, quale effettuata dal giudice di appello, puntualmente pervenendo ad escludere che Socowa fosse legittimata ad agire ex recepto per i danni conseguenti all’incendio delle balle di cotone.

In particolare si palesa inconferente il richiamo da parte ricorrente all’intervenuta emissione della polizza di carico all’ordine, posto che tale documento previsto dall’art. 460 c.n. e’ rilasciato dal comandante della nave, ovvero dal vettore o in suo luogo dal raccomandatario e si riferisce al contratto di trasporto marittimo;

essa riguarda, dunque, il rapporto tra vettore marittimo e destinatario della merce trasportata, laddove nella specie e’ stato dedotto in giudizio, non gia’ il contratto di trasporto marittimo, ma quello di deposito stipulato tra lo spedizioniere e l’ente gestore dei magazzini portuali.

Piu’ in generale occorre dire che i richiami extratestuali di parte ricorrente, del tutto incontrollabili come tali in questa sede, non consentono a questa Corte di verificare la “decisivita’” della documentazione in parola. Viene, infatti, in rilievo, il principio di diritto, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte anche in riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 (che ha codificato il principio nell’art. 366 c.p.c., n. 6) secondo cui, ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 concernente la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, o di un vizio integrante error in procedendo ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma), occorre non solo ritrascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisivita’, ma anche specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. 25/08/2006, n. 18506). Siffatte indicazioni, in funzione dell’autosufficienza, si giustificavano al lume della previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, vecchio n. 4, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilita’ la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1.

In definitiva questo Collegio deve limitarsi ad osservare che la valutazione delle risultanze probatorie, quali emergenti dalla sentenza impugnata, si basa su un percorso argomentativo coerente e privo di vizi logici; il tessuto motivazionale della sentenza impugnata non presenta evidenti aporie di ragionamento che, sole, possono indurre a ritenere sussistente il vizio di assenza, contraddittorieta’ o illogicita’ di motivazione; ne’ le deduzioni della ricorrente, pur corredate da copiosi richiami giurisprudenziali, rivelano alcun errore nell’interpretazione della normativa rilevante in materia.

Il motivo va, dunque, rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c. e degli artt. 81 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata. Al riguardo parte ricorrente deduce che la propria legittimazione ad agire derivava dall’applicazione dei principi in tema di mandato senza rappresentanza, secondo cui il mandante, sostituendosi al mandatario, puo’ esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, osservando a tal riguardo che la Parisi era possessore di polizza di carico all’ordine.

2.1. Il motivo costituisce reiterazione di argomenti difensivi, adeguatamente esaminati e disattesi dai giudici di appello, allorche’ hanno evidenziato, da un lato, la prevalenza della disciplina tipica del deposito rispetto a quella del mandato (“posto che e’ ben possibile al mandatario indicare al depositante il soggetto suo dominus, come quello cui consegnare legittimamene il bene”, cfr. pag.

16) e, dall’altro, che “non vi e’ in atti alcuna prova che gia’ il (OMISSIS) la Socowa avesse stipulato contratto di mandato o di spedizione con la Parisi, con incarico anche di gestire per suo conto il rapporto contrattuale di deposito della merce, poi distrutta dal fuoco”.

2.2. A fronte di tali argomentate ragioni della decisione, parte ricorrente si limita a richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali, anche in tema di emissione di polizza di carico (relativamente al rapporto spedizioniere/vettore marittimo, che qui – come si e’ detto -non rileva), senza nulla opporre al fondamentale rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, che non vi e’ prova che il soggetto indennizzato dalla UAP (Socowa) fosse il mandante della depositante (Parisi), con la conseguenza che detto soggetto (e in via di surroga la UAP) non potevano esercitare nei confronti della APT i diritti derivanti dal contratto di deposito.

Si rammenta che il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 06/08/2008, n. 21153).

Nella specie la ricorrente, lungi dal censurare l’interpretazione che il giudice del merito ha dato delle disposizioni richiamate nelle rubrica del motivo, si limita, in realta’, a lamentare che l’esito della lite sia stato sfavorevole alle proprie aspettative, per essere state le risultanze di causa valutate in modo difforme dalla propria, soggettiva, interpretazione di quelle stesse risultanze. La denuncia, dunque, esula totalmente dalla previsione di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. e il motivo di ricorso va rigettato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2727, c.c. in relazione all’art. 315 c.p.c. insufficiente o contraddittoria motivazione anche con riferimento alle risultanza della c.t.u.. Al riguardo parte ricorrente deduce che, nella denegata ipotesi che venisse esclusa la legittimazione della compagnia di assicurazione ad agire in via di surroga con l’azione contrattuale, la domanda dovrebbe essere, comunque, accolta in relazione al disposto dell’art. 2043 c.c. posto che con l’originaria citazione era stata esercitata anche l’azione extracontrattuale e che dalla c.t.u. risultava esclusa l’ipotesi dell’autocombustione e la praticabilita’ di tutte le altre ipotesi, dolose, colpose e accidentali.

3.1. Il motivo riguarda il punto della decisione che – pur rilevata la tardivita’ della domanda proposta dalla compagnia di assicurazione ai sensi dell’art. 2043 c.c. quando era ormai chiusa la fase della trattazione – ha, tuttavia, esaminato il merito della domanda stessa, in considerazione del fatto che non risultava chiara la tempestiva opposizione della controparte alla prospettazione della nuova causa petendi. L’azione di responsabilita’ extra-contrattuale non e’ stata, comunque, ritenuta accoglibile per la carenza degli elementi fondanti la pretesa risarcitoria: cio’ in quanto non era stato possibile individuare la causa dell’incendio e, in particolare, perche’ non era stato possibile scartare l’ipotesi dell’autocombustione: genesi, quest’ultima, indicata dai VV.FF. e non esclusa dal c.t.u., ancorche’ ritenuta poco probabile.

3.2. Queste le argomentate ragioni della decisione, il contenuto del motivo, si infrange – al pari del precedente sulla considerazione del carattere surrettizio del richiamo al vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione, laddove, nella sostanza, l’oggetto delle censure si risolve nella richiesta di rivisitazione del merito della vicenda, posto che con esso, lungi dal prospettarsi l’erronea interpretazione dei principi che regolano l’onere della prova in materia di responsabilita’ extracontrattuale ovvero un vizio rilevante della sentenza gravata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 ci si limita ad invocare una diversa lettura delle risultanze probatorie, pretendendo di ridiscutere le opzioni assunte dal Giudice di appello non condivise e per cio’ solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altra alternativa, ma non esclusiva di quella adottata nella decisione impugnata. Le deduzioni della ricorrente non rivelano, infatti, alcun contrasto disarticolante tra il ragionamento seguito dai giudici di appello e le risultanze probatorie, posto che – come emerge anche dai (peraltro parziali) richiami alla relazione di c.t.u. contenuti nel motivo di ricorso – le cause dell’incendio non vennero affatto individuate dal consulente; ridondando la relativa incertezza in danno della parte attrice ex art. 2043 c.c. In conclusione il ricorso va rigettato.

Avuto riguardo alla natura delle principali questioni trattate, si ravvisano i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2010

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