Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1297 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2746/2013 proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’avv. Gaetano Mazza,

elettivamente domiciliato in Roma, al viale delle Milizie n. 4,

presso l’avv. Marco Federici;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 274 della Commissione tributaria regionale

della Campania, pronunciata in data 25 maggio 2012, depositata in

data 31 maggio 2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 21 ottobre

2020 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.G. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 274 della Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito C.t.r.), pronunciata in data 25/5/2012, depositata in data 31/5/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento, con il quale si accertava nei suoi confronti un maggior reddito imponibile per l’anno 2005, per la distribuzione di utili extracontabili accertati in capo alla società Project casa s.r.l., di cui era socio con una quota del 20%;

con la sentenza impugnata la C.t.r. riteneva che non fosse motivo di nullità dell’avviso di accertamento la mancata allegazione del p.v.c., se conoscibile, e che fosse applicabile la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio, trattandosi di società a ristretta base;

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione;

secondo il ricorrente, la sentenza impugnata erroneamente ritiene che non vi sia l’obbligo di allegazione del p.v.c., cui l’avviso di accertamento fa riferimento, nel caso in cui l’atto sia conosciuto o conoscibile da parte del contribuente;

il motivo è infondato e va rigettato;

questa Corte ha già avuto modo di precisare che “in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15327 del 04/07/2014; vedi anche, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 29968 del 19/11/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 32127 del 12/12/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29002 del 05/12/2017);

in particolare, la Corte ha anche chiarito che “in tema di imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii per relationem a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato, giacchè il socio, ex art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14275 del 04/06/2018);

nel caso di specie, in cui l’accertamento nei confronti del socio fa riferimento al p.v.c. notificato alla società, correttamente il giudice di appello ha ritenuto che non vi fosse l’obbligo di allegazione del p.v.c., conosciuto o conoscibile da parte del contribuente;

con il secondo motivo, il ricorrente denunzia nuovamente la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c., D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

nell’illustrazione del motivo, passando dal piano motivazionale a quello probatorio, il ricorrente denunzia sia “l’omissione dell’obbligo di motivazione” dell’avviso di accertamento, sia “l’assoluto difetto di produzione documentale dei fatti generatori del maggior imponibile”;

con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 115 e 166 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, l’accertamento sarebbe illegittimo nell’ipotizzare l’attribuzione dei maggiori ricavi extracontabili ai soci, in particolare per il fatto che il ricorrente non aveva aderito al regime di trasparenza fiscale delle società a ristretta base;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono infondati;

costituisce ius receptum il principio secondo cui, in presenza di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti;

come è stato detto, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria; tale presunzione – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013; vedi anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25468 del 18/12/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 386 del 13/01/2016);

la presunzione si basa sulla ristrettezza dell’assetto societario, la quale implica, normalmente, un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, nonchè un elevato grado, da parte loro, di compartecipazione e di conoscenza degli affari sociali, indipendentemente dall’eventuale opzione per il regime di trasparenza, restando, comunque, salva la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (tra molte, Cass. nn. 6780 del 2003, 18640 del 2008, 5076 del 2011, 18032 del 2013, 24572 del 2014);

per quanto fin qui detto, il ricorso va rigettato;

il ricorrente va condannato al pagamento delle spese in favore della controricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4,100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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