Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1297 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 22/01/2020), n.1297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 12356/2013 proposto da:

N.N. (C.F. (OMISSIS)), rapp.to e difeso per procura a margine

del ricorso dall’avv. Lucio Modesto Maria Rossi, con il quale

elettivamente domicilia in Roma alla v. E.Q. Visconti n. 20, presso

lo studio dell’avv. Angelo Petrone;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 298/32/12 depositata il 9 novembre 2012 della

Commissione tributaria regionale di Napoli;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 10 ottobre 2019 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Immacolata Zeno che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Lucio Modesto Maria Rossi per la ricorrente e l’avv.

Eugenio De Bonis per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 298/32/12 la Commissione tributaria regionale di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello proposto dell’Ufficio nei confronti di N.N., rideterminava il reddito di quest’ultimo, accertabile sinteticamente per l’anno 2004, in Euro 52.097.

La Commissione osservava che l’esame comparato tra investimenti ritenuti non giustificati dall’Ufficio e redditi posseduti mostrava la compatibilità dei secondi rispetto ai primi, posto che gli incrementi ritenuti non rilevanti ai fini dell’accertamento erano riconducibili non a redditi reinvestiti ma a mutui bancari o risparmi provenienti dal passato; osservava, inoltre, che dal reddito accertato sinteticamente dell’Ufficio, pari ad Euro 119.510, andavano defalcate varie voci e precisamente: Euro 22.600, quale quota parte del reddito accertato in funzione delle spese incrementative del patrimonio, ritenute non giustificate dall’Ufficio ma che, invece, la posizione reddituale personale consentiva; quattro delle cinque unità immobiliari, per le quali non era ragionevole presumere che si trattasse di abitazioni tenute a disposizione del ricorrente, come invece supposto dall’Agenzia delle entrate; un’auto consegnata per la rottamazione; Euro 31.237,44, corrispondenti ad interessi percepiti sulle obbligazioni “(OMISSIS)”, per la parte di competenza del ricorrente, reddito soggetto alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Sicchè, conclusivamente, il reddito per l’anno di imposta 2004 andava definitivamente fissato in Euro 52.097, pari alla differenza tra quanto accertato sinteticamente dall’ufficio e le somme sopra indicate.

Avverso tale sentenza N.N. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole dell’illegittimità della sentenza per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nonchè per omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto, pur essendo stato documentato il possesso da parte del coniuge di considerevoli redditi, l’Ufficio non ne aveva tenuto conto ai fini della determinazione del reddito evaso, nonostante la necessità della valutazione e considerazione di tutti i redditi posseduti dagli altri componenti del nucleo familiare trovasse pieno riscontro non solo nelle disposizioni emanate dallo stesso Ministero (circ. n. 7/14962 del 30.4.77 e n. 101 del 30.4.99), ma anche nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 17202/2006 e n. 26871/2009). Inoltre la CTR, pur dando atto che il contribuente non doveva necessariamente badare in proprio alle esigenze della famiglia, stante la robusta posizione reddituale del coniuge, procedeva alla ricostruzione dell’ammontare dei redditi personali del solo N., senza considerare quella del coniuge, pari ad Euro 55.125 corrispondenti alla somma di Euro 23.885 dichiarata ed Euro 31.237,50 pari agli interessi prodotti dalle obbligazioni “(OMISSIS)” per la parte di competenza del coniuge.

Con il secondo motivo, proposto in via gradata, lamenta la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 c.p.c., e l’omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la sentenza impugnata completamente omesso di esaminare la questione relativa al complesso dei redditi posseduti dal nucleo familiare (addirittura superiori a quello accertato sinteticamente dall’ufficio) che, se fosse stata presa in considerazione, avrebbe condotto ad una diversa decisione.

I motivi possono essere congiuntamente esaminati e sono infondati.

Il dato normativo che consente di ricostruire la fattispecie in oggetto è costituito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), che prevede che ai fini della dimostrazione dell’erroneità dell’accertamento sintetico sono idonee solo le prove che siano rivolte a dimostrare che il maggior reddito sia costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta e che l’entità di tali redditi e “la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

Sicchè la questione di causa non attiene tanto alla rilevanza del reddito familiare, quanto semmai all’idoneità della prova volta a dimostrare che il ricorrente è rimasto sollevato dall’onere pecuniario delle spese sostenute in virtù del contributo di redditi (esenti o già assoggettati a prelievo tributario) del coniuge ed elargiti in suo favore.

Venendo quindi in rilievo la necessità di documentare il possesso di tali redditi da parte del contribuente per la durata di tempo sufficiente a far presumere che egli li abbia impiegati come provvista per le spese, e perciò di dare prova documentale di tale circostanza, non può condividersi la tesi del ricorrente secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare un fatto decisivo, cioè l’ammontare del reddito del coniuge, mancando in ogni caso la prova fondamentale (e documentale) che di tali disponibilità il ricorrente sia effettivamente ed interamente entrato in possesso.

Deve pertanto condividersi il principio di diritto, già affermato da Cass. n. 1332/2016, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento”.

Tali considerazioni impongono il rigetto del ricorso; le spese della presente fase di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; pone le spese della presente fase di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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