Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12969 del 09/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12969 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 3933-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), domiciliata elettivamente
in Roma, P.zza G. Mazzini n. 27, presso lo studio Trifirò & Partners
Avvocati, rappresentata e difesa dall’Avv. Salvatore Trifirò per delega a
margine del ricorso;

– ricorrente contro
MELI MARIA GRAZIA, domiciliata elettivamente in Roma, Via
Germanico n. 172, presso lo studio dell’Avv. Sergio Galleano che la
difende per procura a margine del controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 7661/2009 della Corte d’appello di Roma,
depositata in data 2.02.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
1.04.14 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone.
Ritenuto in fatto e diritto

1 . – Con sentenza del Tribunale di Roma era rigettata la domanda
di Meli Maria Grazia di dichiarare nullo il termine posto all’assunzione
alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., disposta in suo favore per il
periodo 1.04-31.05.99 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in
ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di

Data pubblicazione: 09/06/2014

1. Poste Italiane s.p.a. c. Meli Maria Grazia (r.g. 3933-11)

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sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territori() delle risorse umane”, ex
art. 8 del ccn1 26.11.94 come integrato) dall’accordo sindacale 25.9.97.
2.- Proposto appello da Meli, la Corte d’appello di Roma con
sentenza del 2.02.10 accoglieva l’impugnazione e dichiarava l’esistenza
del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La Corte rilevava che —
nell’ambito del sistema dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, che aveva
delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine
con la contrattazione collettiva — il contratto era stato stipulato in forza
dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato) dall’accordo
25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di
ristrutturazione dell’azienda. Considerato che la norma collettiva
consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al
30.4.98, riteneva che il termine fosse illegittimamente apposto.
Rigettava, invece, la richiesta di risarcimento avanzata dalla dipendente.
3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per
cassazione, cui Meli risponde con controricorso e ricorso incidentale.
4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha
depositato relazione, che è stata notificata ai difensori costituiti. La
controricorrente ha depositato memoria.
5.- I motivi della soc. Poste possono essere così riassunti:
5.1.- violazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, dell’art. 8
del ccril 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97, nonché degli
accordi successivi 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.88 e 18.1.01, in
connessione con l’art. 1362 c.c.; violazione dei canoni di ermeneutica
contrattuale (art. 1362 e segg. c.c.) in relazione all’interpretazione
accolta dal giudice di merito dell’art. 8 del ccn1 26.11.94 e dell’accordo
integrativo 25.9.97, nonché carenza di motivazione. In particolare, il
giudice non avrebbe considerato che gli accordi successivi a quello del
25.9.97 riconoscevano l’esistenza delle condizioni di fatto legittimanti il
ricorso al contratto al termine, senza limitare il ricorso a tale strumento
solo al periodo temporale indicato (primo e secondo motivo);
5.2.- omessa ed insufficiente motivazione in quanto il giudice di
merito non esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in
rapporto il contratto collettivo 1994, l’accordo sindacale 25.9.97 ed i
successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui
sarebbero subordinate le assunzioni a termine (terzo motivo).
6.- Con il ricorso incidentale Meli deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 112, 114 e 432 c.p.c. e 1218, 1219, 1227 c.c.,
nonché carenza di motivazione, contestando il rigetto della domanda
di risarcimento danni, ritenendo incongruo il criterio adottato dal
giudice di merito di circoscrivere il danno al triennio successivo alla
scadenza del termine indicata dalle parti. Sostiene, inoltre, parte

1. Poste Italiane s.p.a. c. Meli Maria Grazia (r.g. 3933-11)

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ricorrente l’inapplicabilità al caso di specie dei criteri di liquidazione del
danno previsti dall’art. 32 dellal. 4.11.10 n. 183.
7.- 1 tre motivi del ricorso principale sono infondati in forza
della giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene che l’art. 23 dellal.
28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità
di individuare — oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1
della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8 bis del dl. 29.1.83 n. 17, conv.
dalla 1. 15.3.83 n. 79 — nuove ipotesi di apposizione di un termine alla
durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in
bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati
all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe
a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno
individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui
all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene che, con
riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al
successivo accordo attuativo sottoscritto il 16.1.98, le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al
secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98) della situazione di fatto
integrante le esigen.ze eccezionali previste dal detto accordo integrativo.
Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale
situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad
assunzione di personale con contratto tempo e che l’esistenza di dette
esigenze costituisse presupposto della pattuizione negoziale; da ciò
deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati
dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In
altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto
originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente
stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla
possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente
al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel
contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in
data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurinús, Cass. 23.8.06 n. 18378).
8.- La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di
merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il
diritto del soggetto si era già perfezionato. _.‘mmesso che le parti
avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi
precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in
forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque
conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già
perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il

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potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
9.- Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque
stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in
quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito
dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione
collettiva che consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Essendo
nella specie il contratto stipulato per “esigenze eccezionali ecc. …” per
il periodo 1.04-31.05.99, i tre motivi debbono essere rigettati.
9.- Quanto all’unico motivo del ricorso incidentale, deve
considerarsi lo ius superveniens contenuto nella legge 4.11.10 n. 183 (c.d.
collegato lavoro), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262
(suppl. ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10. La disposizione dell’art.
32, c. 5, di detta legge, prevede che “nei casi di conversione del
contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro
al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva
nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’art. 8 della 1. 15.7.66 n. 604”. Il successivo c. 7
prevede che tale disposizione trova applicazione anche ai giudizi
pendenti alla data della vigore della legge.
10.- Con la memoria depositata ex art. 380 bis, c. 3, c.p.c. la
controricorrente e ricorrente incidentale sostiene che la norma dell’art.
32 sarebbe inapplicabile in quanto contrastante con la direttiva 1JF
1999/70. A riprova richiama la sentenza della Corte di Giustizia
europea 12.12.13 in causa 362-12 (Carratù), la quale, pronunziando
circa i limiti di applicabilità della clausola 4, punto 1, dell’accordo
quadro CES, INICE e CEEP, perverrebbe alla conclusione che la
disciplina dell’art. 32 non potrebbe essere applicata dal giudice
nazionale in quanto costituirebbe un peggioramento del livello di tutela
precedentemente garantito dall’ordinamento interno.
Detta clausola 4.1, come noto, sotto la rubrica Principio di non
discrúnincrzione, prevede che “per quanto riguarda le condizioni di
impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati
in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato
comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro
a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”. Il
dispositivo della richiamata sentenza della Corte di Giustizia, per
quanto qui rileva, reca testualmente l’affermazione che “sebbene il
menzionato accordo quadro non osti a che gli Stati membri
introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto

Per questi motivi
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale, accoglie
l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello
di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma il 1 aprile 2014
Il Presidente

dall’accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4,
punto 1, di detto accordo quadro deve essere interpretata nel senso
che non impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta
in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e
quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a
tempo indeterminato”.
Da tale dispositivo non è dato pervenire alle conclusioni
proposte dalla parte ricorrente, la quale propone una lettura della
sentenza basata non sul principio di diritto puntualmente affermato,
ma su una valutazione logico-giuridica del complesso motivazionale.
11.- La richiamata disposizione dell’art. 32 è stata ritenuta
conforme alla Costituzione dalla sentenza della Corte costituzionale n.
303 del 2011 e per giurisprudenza ormai consolidata risulta applicabile
al giudizio di legittimità (Cass. 2.03.12 n. 3305 e 29.02.12 n. 3056). In
particolare, può essere applicata nel caso in esame, essendo questa
Corte investita al riguardo da censura attinente la quantificazione del
risarcimento, che è oggetto del ricorso incidentale e risponde ad un
preciso interesse della parte ricorrente, cui nella specie il giudice di
merito non ha riconosciuto alcuna forma di risarcimento.
E’, dunque, esistente la condizione che la giurisprudenza ritiene
necessaria per l’applicazione di detto art. 32, ovvero che sussista e sia
ammissibile un motivo di ricorso che investa, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta (cfr. fra le altre Cass.
4.01.12 n. 80 e 31.01.12 n. 1409).
12.- In conclusione, riuniti i due ricorsi, rigettato il principale ed
accolto l’incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, nei
limiti dell’accoglimento, con rinvio al giudice indicato in dispositivo,
che procederà alla liquidazione dell’indennità e provvederà alle spese
del giudizio di legittimità.

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