Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12967 del 14/06/2011

Cassazione civile sez. III, 14/06/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 14/06/2011), n.12967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VESPASIANO 17-A, presso lo studio dell’avvocato INCANNO’

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato SIRACUSA GIOVANNI con

studio in 98051 BARCELLONA P.G.(ME), VIA TENENTE GENOVESE 26 giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MA.FR.;

– intimato –

sul ricorso 2045-2006 proposto da:

MA.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO

142 C, presso lo studio dell’avvocato PRUDENTE SIMONA, rappresentato

e difeso dall’avvocato SORBELLO GAETANO con studio in 98100 MESSINA,

VIA T. CANNIZZARO 87 giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 400/2004 della CORTE D’APPELLO di MESSINA –

SEZIONE SPECIALIZZATA AGRARIA, emessa il 28/10/2004, depositata il

03/12/2004, R.G.N. 104/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con sentenza 22 novembre 2001 dichiarava cessato il rapporto agrario intercorrente tra il concedente Ma.Fr. e la colona M.G. a 10 novembre 1993 e condannava questa ultima a rilasciare il fondo di (OMISSIS), di ettari 2,12 al termine dell’annata agraria in corso. Condannava il Ma. a corrispondere alla M. la somma di L. 5.760.000, a titolo di differenza sugli utili ricavati dal fondo concesso, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 37, comma 1. La sentenza di primo grado era impugnata da entrambe le parti: da Ma.Fr., con appello principale, nel quale lo stesso chiedeva che fosse dichiarata la cessazione del rapporto agrario al 10 novembre 1989 e che nulla era da lui dovuto alla M., in relazione all’intercorso rapporto di colonia.

La M., costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’appello principale proponendo appello incidentale, con il quale chiedeva la condanna del Ma. al pagamento delle maggiorazioni di legge sulle quote dei prodotti venduti, come richiesto con ricorso del 9 novembre 1990, deducendo di essere subentrata nel rapporto agrario al proprio padre, sin dall’anno 1972.

Con sentenza 28 ottobre – 3 dicembre 2004 la Corte di appello di Messina, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal Ma., condannava quest’ultimo al pagamento del minor importo di Euro 1.735,00 oltre rivalutazione ed interessi in favore della M. (sul rilievo che la maggiore quota non poteva essere riconosciuta oltre il periodo di detenzione legittima del fondo).

I giudici di appello ritenevano che, nel caso di specie, dovesse applicarsi, la durata decennale del contratto, considerato che il fondo non costituiva unità produttiva sufficiente ai sensi dell’art. 31 della legge: in presenza della condizione ostativa della conversione del contratto associativo in affitto, prevista dalla L. n. 203 del 1982, art. 31, comma 1, (nella specie pacificamente ricorrente) il contratto – ad avviso della Corte territoriale – deve avere la durata di dieci anni, sia nella ipotesi sia stata chiesta la conversione dal concessionario, sia nella ipotesi contraria.

Gli stessi giudici escludevano poi, sulla base del materiale probatorio acquisito, che il rapporto agrario potesse essere retrodatato al 1969/70, concludendo che la maggiore quota di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 37 doveva essere liquidata alla M. dal 1986 al 10 novembre 1993 e non anche fino all’annata agraria 1997/98 come richiesto dalla M..

Avverso tale decisione la M. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi.

Resiste il M. con controricorso e ricorso incidentale (indicato come tardivo).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.

Con il primo motivo la ricorrente principale – sotto un primo profilo – deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 756 del 1964, art. 4 e 10 così come interpretata dalla L. n. 188 del 1969, della L. n. 203 del 1982, artt. 2, 37 e 58 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

I giudici di appello di Messina – sezione specializzata agraria, avevano erroneamente ritenuto che i diritti colonici vantati dalla M. sul fondo Ma. decorressero dal 1986, anzichè dal 1972, data effettiva di instaurazione del rapporto associativo.

Tutte le prove testimoniali e documentali raccolte confermavano tale deduzione.

In via subordinata, rileva la ricorrente principale, non era dato comprendere per quale motivo il primo giudice non avesse fatto decorrere la data di inizio del rapporto – quanto meno – dal 1983, secondo le dichiarazioni rese dallo stesso concedente.

Il motivo è privo di fondamento.

Correttamente i giudici di appello hanno fatto decorrere l’inizio del rapporto di lavoro della M. dall’anno 1983, osservando che nel periodo precedente la stessa aveva operato nel fondo come aiuto del padre, poi deceduto (Cass. 18 luglio 2002 n. 10408 e 13 giugno 2006 n. 13645). Infondato è il secondo profilo del primo motivo del ricorso principale con il quale si deduce che la maggior quota di prodotti ed utili di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 37, comma 1 doveva essere riconosciuta alla colona solo fino alla scadenza legale del contratto associativo, anzichè fino alla data dell’effettivo rilascio del fondo (1997/1998).

Utili e prodotti, infatti, devono essere riconosciuti limitatamente al periodo di validità del contratto o della proroga di legge, e non oltre. Con la conseguenza che dopo tale data il rapporto in questione non rientrava più nel campo di applicazione del regime transitorio previsto dall’art. 37, comma 1 citato.

Sotto altro profilo, la prosecuzione di fatto del rapporto al termine della durata stabilita dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 34 non determina il venir meno del diritto del concedente di chiedere la declaratoria di avvenuta cessazione del contratto perchè l’art. 45 della stessa legge esclude la possibilità1 di una tacita rinnovazione – tanto che non è imposto alcun onere di disdetta -, che si risolverebbe nell’instaurazione di un nuovo rapporto contrattuale, in contrasto con il divieto di nuovi contratti associativi (Cass. 21 gennaio 2000 n. 683). Il secondo motivo del ricorso principale riguarda la compensazione integrale delle spese di causa del giudizio di primo grado e la condanna della stessa M. al pagamento della metà delle spese del secondo grado.

Il motivo deve essere rigettato.

I giudici di appello hanno fatto corretta applicazione dei principi in materia di soccombenza e di regolamento delle spese di lite. La Corte territoriale, infatti, ha esaminato il motivo di appello proposto dalla M., rigettandolo con la motivazione che “l’appello principale è stato accolto in parte mentre l’appello incidentale è stato totalmente rigettato”.

Deve ora procedersi all’esame del ricorso incidentale, che è stato definito “tardivo” dallo stesso Ma.. E’ appena il caso di ricordare che il ricorso incidentale è inammissibile, se proposto entro il termine di cui all’art. 371 cod. proc. civ., anche qualora non risulti rispettato il termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., configurandosi in tal caso come impugnazione incidentale tardiva, ai sensi dell’art. 334 c.p.c. (Cass. 2 luglio 2007 n. 14969). Sta di fatto, comunque, che il ricorso incidentale del Ma. non può definirsi “tardivo”. Esso risulta -innanzitutto – proposto nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso:il ricorso principale è stato notificato in data 30 novembre 2005, il ricorso incidentale il 5 gennaio 2006 (e dunque entro quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale, art. 371 c.p.c.).

Tuttavia, dato atto che la decisione non impugnata è stata pubblicata in data 3 dicembre 2004 e che il ricorso incidentale è stato notificato in data 5 gennaio 2006, lo stesso non può dirsi tardivo, in considerazione della sospensione feriale dei termini (dal 1 agosto al 15 settembre 2005).

Può pertanto procedersi all’esame delle questioni proposte con il ricorso incidentale:

1) il primo motivo riguarda la violazione di norme di legge (L. n. 203 del 1982, art. 34, comma 1, lett. a) e b)) e vizi della motivazione: senza motivazione i giudici di appello avevano ritenuto applicabile la L. del 1982, art. 34, comma 1, lett. b) che presuppone la preventiva richiesta di conversione del contratto di colonia in contratto di affitto (nel caso di specie non proposta dalla parte).

Il termine di scadenza legale del contratto doveva essere individuato in sei anni (anzichè in dieci) con la conseguenza che il rapporto doveva intendersi cessato al 10 novembre 1989 senza necessità di alcuna disdetta da parte del proprietario.

Il ricorrente incidentale osserva che nel caso di specie non poteva trovare applicazione la durata indicata dall’art. 34, lett. B, la quale presuppone la preventiva richiesta di conversione da parte del concessionario. Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile. Lo stesso, infatti, non coglie la “ratio decidendi” espressa dalla sentenza impugnata, la quale ha sottolineato che nel caso di specie doveva trovare applicazione la disposizione di cui alla L. del 1982, art. 34, lett. A considerato che la unità produttiva non poteva considerarsi sufficiente, ai sensi dell’art. 31 della stessa legge e dunque non poteva ritenersi la durata decennale del contratto.

Correttamente, dunque, la Corte di appello ha sottolineato che i contratti associativi di cui all’art. 25 della legge non convertiti in affitto hanno la ulteriore durata di dieci anni, ai sensi dell’art. 34, lett. b) della legge stessa, nel caso in cui la conversione non vi sia stata o non vi sia stata la richiesta di conversione del concessionario e la stessa non possa comunque aver luogo per mancanza della unità produttiva sufficiente, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 31.

In questo modo, i giudici di appello hanno mostrato di conoscere e condividere la giurisprudenza di questa Corte, per la quale la norma in questione non può dirsi abrogata per effetto della L. 14 febbraio 1990, n. 29. Sarebbe, del resto, aberrante ritenere che il legislatore abbia attribuito valore determinante per la durata del contratto ad una richiesta che non può in alcun caso essere accolta.

I contratti associativi agrari – secondo tale giurisprudenza – hanno durata decennale, indipendentemente dalla circostanza che il concessionario ne abbia richiesto o meno la conversione, nella ipotesi in cui gli stessi non potessero essere convertiti in affitto, per insufficienza del fondo a costituire una unità produttiva idonea ai sensi dell’art. 31 della citata legge (Cass. 15 aprile 1996 n. 3536, 19 dicembre 1996 n. 11366, 15 gennaio 2002 n. 374, 26 febbraio 2003 n. 2887).

Considerato che nel caso di specie era pacifico che il fondo in parola non costituisse unità produttiva idonea, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 31 (nè lo era stato nel quadriennio successivo alla data di entrata in vigore della stessa legge) i giudici di appello hanno confermato la decisione del primo giudice, in ordine alla scadenza del contratto in questione al 10 novembre 1993.

2) Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia violazione di norme di legge (art. 432 c.p.c. e L. n. 203 del 1982, art. 27) nonchè vizi della motivazione censurando la sentenza di appello nella parte in cui la stessa aveva condiviso la liquidazione equitativa della somma dovuta dal Ma., operata dal primo giudice (limitando il periodo di riferimento al 10 novembre 1993) senza tener conto delle spese sostenute dal proprietario, risultanti dai documenti prodotti.

Le censure formulate dal ricorrente incidentale sono prive di fondamento.

I giudici di appello hanno richiamato i criteri utilizzati ai fini della determinazione del prodotto lordo vendibile medio, indicato in L. 8.000.000 annue, riducendo la somma dovuta a titolo di maggior quota in relazione al periodo di durata del contratto.

Conclusivamente i due ricorsi devono essere rigettati, disponendosi la compensazione integrale delle spese, per la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa integralmente le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella in Camera di Consiglio, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2011

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