Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12965 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 30/06/2020), n.12965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5370-2018 proposto da:

R.M., B.A., B.S. elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI 32, presso lo

studio dell’avvocato ANNA CHILESE, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BARBARA BAROLAT MASSOLE giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIO CESARE

CORDARA 15, presso lo studio dell’avvocato MAURO FELICETTI, che la

rappresenta e difende in virtù di procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 6063/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate da entrambe le parti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Be.Al. conveniva in giudizio C.N. dinanzi al Tribunale di Roma al fine di procedere allo scioglimento della comunione esistente tra le parti, ed in pari quote, su alcuni beni immobili siti in (OMISSIS), meglio descritti in citazione ed oggetto di un precedente atto di acquisto per notar P. di Roma del (OMISSIS).

Nella resistenza del convenuto e disposta la chiamata in causa della società concessionaria per la riscossione, il giudice adito con la sentenza n. 11767/2009 assegnava in proprietà esclusiva a Be.Al. i settori 1 e 2, come individuati nella CTU ed al C. i settori 3, 4 e 5.

Disponeva che il settore 6 restasse in comunione tra le parti, e per l’effetto dichiarava il C. tenuto a pagare a titolo di conguaglio la somma di Euro 60.901,00 a B., e quest’ultimo a pagare al C., sempre a titolo di conguaglio la somma di Euro 562.634,00.

Infine poneva le spese di CTU a carico delle parti, compensando le altre spese di lite.

Be.Al. ha proposto appello avverso tale sentenza, e stante il decesso dell’appellato C., si costituiva la sua erede B.E..

Nel corso del giudizio decedeva anche Be.Al., cui subentravano R.M., B.A. e B.S..

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 6063 del 29/9/2017, ad integrazione del dispositivo della sentenza gravata, precisava che in favore di B.E. era disposto anche il trasferimento in proprietà esclusiva del settore 7, confermando per il resto quanto statuito dal tribunale.

In primo luogo disattendeva il motivo di appello con il quale si deduceva che tra i beni in comunione rientrassero anche quelli di cui al settore 8, osservando che si trattava di un locale di circa 28 mq., annesso ad un appartamento di esclusiva proprietà del C., e che era stato unificato catastalmente a tale immobile, dando origine al subalterno 13, venendo in tal modo acquistato in maniera esclusiva dall’appellato.

Effettivamente però risultava omessa l’attribuzione in favore del C. della proprietà esclusiva del settore 7, come comprovato anche dal fatto che fosse stata disposta la condanna del beneficiario al versamento del conguaglio, ma si trattava di una mera omissione materiale alla quale poteva porsi rimedio in appello.

Quindi reputata condivisibile la decisione di mantenere in comunione il settore 6, in quanto funzionale all’accesso alle due porzioni materiali assegnate ai condividenti, disattendeva anche il motivo di appello con il quale si contestava la concreta scelta della composizione dei lotti, anche alla luce della dedotta eccessiva onerosità dei conguagli.

In tal senso, i giudici di appello ritenevano che la formazione dei lotti rispondesse alle peculiari caratteristiche dei beni comuni, e che la sproporzione di valore era compensata dall’assegnazione al C. del settore 7.

Infine, in relazione alla stima dei beni, che l’appellante riteneva essere in parte erronea, in quanto non si era tenuto conto di alcune spese che le parti avrebbero dovuto sopportare, la Corte distrettuale riteneva che di tale circostanza si era tenuto conto ai fini della stima complessiva, non palesandosi quindi giustificata la richiesta di rinnovo della CTU.

Avverso tale sentenza propongono ricorso R.M., B.A. e B.S. sulla base di tre motivi. B.E. resiste con controricorso.

L’altra intimata non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, anche in violazione dell’art. 112 c.p.c., la sentenza di appello abbia fatto proprie le conclusioni del CTU, omettendo di esaminare la richiesta di rinnovazione dell’elaborato peritale, al fine di adeguare il valore del bene, favorendo in tal modo l’ulteriore eccessività del conguaglio. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 727 e 728 c.c., in quanto è stata confermata una divisione dei beni in natura con la formazione di quote decisamente sproporzionate.

Infatti, a fronte di una massa stimata per l’intero in Euro 2.472.662,80, e con una quota ideale spettante ad ognuno dei condividenti originari di Euro 1.236.331,40, ai ricorrenti è stata assegnata una quota di valore pari ad Euro 1.558.512,00 con la previsione di un conguaglio a loro carico di ben Euro 562.634,00, di importo percentuale pari al 46% della quota di loro spettanza.

In tal modo il conguaglio ha perso la sua funzione di strumento di perequazione delle contenute differenze di valore delle quote in natura, ma ha fatto sì che così sia stata formata una quota costituita in prevalenza da denaro, senza rispettare il principio di omogeneità delle quote in natura.

Il terzo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione dei documenti offerti in produzione in primo grado, quanto all’accertamento della proprietà comune del bene di cui al settore 8, emergendo invece dalla documentazione (relazione notarile e atto di vendita del (OMISSIS)) che il locale de quo non era ricompreso tra quelli acquistati dal C..

Ritiene il Collegio che debba darsi priorità alla disamina del secondo motivo di ricorso che è fondato.

Come si ricava in maniera univoca dagli atti di causa, tenuto conto del valore complessivo della massa e del novero dei beni per i quali si è reputato preferibile conservare la comunione (attesa la funzione di alcuni cespiti siccome volta a garantire l’accesso alle porzioni destinate ad essere attribuite in proprietà esclusiva), e pur tenendo conto del diverso conguaglio posto a carico del C., la divisione in natura approvata dal Tribunale, ed in sostanza condivisa dalla Corte d’Appello, prevede la formazione di due quote in natura di valore, quanto alla loro composizione in immobili, significativamente sproporzionata.

Infatti, i beni attribuiti a Be.Al., e per esso ai suoi eredi, eccedono significativamente il valore della quota ideale, essendosi imposto, al fine di assicurare il ragguaglio del valore delle quote, un conguaglio in denaro di oltre cinquecentomila Euro, a fronte di una quota ideale (comprensiva peraltro anche dei beni per i quali è stata conservata la comunione) di poco più di un milione e duecentomila Euro.

Rileva il Collegio che effettivamente sussista la dedotta violazione delle norme di cui alla rubrica del motivo, essendo stata nella sostanza elusa la regola codicistica dell’omogeneità delle quote, di cui sono espressione le norme in esame, suscettibili di trovare applicazione anche alle divisioni non ereditarie, alla luce della previsione di cui all’art. 1116 c.c., (attesa la carenza in parte qua di disposizioni in tema di comunione ordinaria di beni che espressamente confliggano con quelle dettate per la comunione ereditaria).

Ed, infatti questa Corte ha reiteratamente affermato che proprio la ridotta entità del conguaglio deve essere un criterio ispiratore della scelta più appropriata del giudice in materia di divisione.

In tal senso si veda Cass. n. 7961/2003 secondo cui, proprio ai fini della valutazione della comoda divisibilità del bene comune, ai sensi dell’art. 720, c.c., si è ritenuta ostativa alla divisione in natura l’elevata misura dei conguagli altrimenti dovuti fra le quote da attribuire, affermandosi quindi un principio suscettibile di trovare applicazione anche al caso in esame, dovendosi per l’appunto limitare al massimo la misura dei conguagli, assicurando che la quota sia prevalentemente formata in natura, riservando al conguaglio la funzione di perequare le contenute differenze di valore tra le quote stesse, posto che una quota formata in prevalenza da denaro a titolo di conguaglio sortirebbe l’effetto sostanziale di assicurare la cessione di una quota in natura (e precisamente del beneficiario del conguaglio) a favore del soggetto tenuto a versarlo, negando, sempre nella sostanza, il conseguimento dell’obiettivo della divisione in natura (Cass. n. 726/2018).

La soluzione alla quale sono pervenuti i giudici di merito, pur tenendo conto della discrezionalità di cui deve godere il giudice nella formazione delle quote, si pone in evidente violazione dei suddetti criteri normativi, determinando, in ragione della palese sperequazione dei conguagli, una modalità di divisione del tutto in contrasto con il canone dell’omogeneità, assicurando in tal modo al titolare della quota prevalentemente composta da immobili un acquisto in denaro della quota spettante alla controparte, ovvero, come nel caso in esame in cui a dolersi è il beneficiario della quota composta in prevalenza da beni in natura, imponendo ad uno dei condividenti di rendersi acquirente della quota spettante alla controparte.

Il motivo deve essere accolto e per l’effetto la sentenza deve essere cassata, spettando al giudice di merito verificare se, alla luce della composizione dei beni in comune, sia possibile pervenire alla formazione di un diverso progetto di divisone, che si conformi alle dette regole, ovvero, nel caso in cui ciò sia impossibile, se debba altrimenti pervenirsi alla declaratoria di non comoda divisibilità della massa.

L’accoglimento del secondo motivo determina poi evidentemente l’assorbimento del primo motivo dovendosi fin sede di rinvio, valutare anche l’eventuale incidenza, nei limiti in cui se ne ravvisi la sussistenza, del decorso del tempo sulla stima dei beni, tenuto conto delle variazioni del mercato immobiliare nelle more intervenute.

Deve invece essere disatteso il terzo motivo di ricorso.

Ed, invero, ricordato che, stante l’applicabilità alla fattispecie della novellata previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”, sicchè il fatto storico costituito dalla natura comune o meno del bene, alla luce dei titoli di provenienza è stato oggetto di disamina da parte del giudice di merito, la censura non si confronta con il reale tenore della decisione gravata.

In merito al bene di cui al settore 8, secondo l’elencazione compiuta nella CTU, la Corte di merito ha rilevato che in epoca, evidentemente, anteriore all’acquisto da parte del C. dell’appartamento di cui all’interno 1, il locale de quo, della superficie di circa mq. 28, era stato accorpato al primo, dando vita ad un’unità catastale riportata al subalterno n. 13, che era stata acquistata dal C..

Trattandosi quindi di vicenda che ha preceduto lo stesso acquisto da parte del C., risulta evidente che la mancata indicazione nel titolo di provenienza anche della vecchia indicazione catastale del locale de quo, o la sua autonoma individuazione non appaiano decisive ai fini della fondatezza della tesi dei ricorrenti, posto che era sufficiente la mera menzione degli elementi identificativi del bene, quale risultante dall’avvenuta annessione.

Pertanto, accolto il secondo motivo, assorbito il primo e rigettato il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, rigetta il terzo ed assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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