Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12965 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12965 Anno 2015
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BIADENE Franco, BIADENE Anna Maria, DE MARTIN

ved.

BIADENE, BIADENE Antonio e BIADENE Maria, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Giuseppe Sbaiz, Eraclio Basso e Leone Pontecorvo, elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma,
via F. Crispi, n. 89;
– ricorrenti –

contro
BIADENE Giancarlo, BIADENE Silvia e CARRARETTO Anna, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del
controricorso, dagli Avv. Paola Maso e Mario Ettore Verino,

Data pubblicazione: 23/06/2015

elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma, via Lima, n. 15;
controricorrenti

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia in data

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 maggio 2015 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito l’Avv. Mario Ettore Varino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Salvato, che ha concluso per
l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. – Con atto notificato il 21 giugno-1 ° luglio 1989, Oscar Biadene conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di
Treviso i fratelli Giancarlo, Antonio, Vercellino e Maria Biadene per sentire dichiarare la simulazione dell’atto di vendita di azienda intervenuto fra Maria Baldasso, madre delle parti in causa, e Giancarlo Biadene, nonché per l’accoglimento
della domanda di divisione degli immobili tutti in comunione
fra le parti. Chiedeva altresì la resa del conto nei confronti
di Giancarlo e Vercellino Biadene, sostenendo che avevano goduto in via esclusiva di una parte dei beni in comunione.
Si costituivano in giudizio Antonio e Maria Biadene aderendo alle domande svolte da Oscar Biadene.

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2

26 gennaio 2009.

Si costituivano anche i convenuti Vercellino e Giancarlo
Biadene aderendo alla sola domanda di divisione dei beni e
chiedendo il rigetto di ogni ulteriore domanda proposta nei
loro confronti. Avanzavano poi riconvenzionale nei confronti

27.600.000 che assumevano data a titolo di mutuo.
Nelle more del giudizio Oscar Biadene decedeva e si costituivano in giudizio i suoi eredi, la moglie ~cella De Martin
e i figli Franco e Anna Maria Biadene.
In data 19 luglio 2001, tutte le parti in causa sottoscrivevano un atto notarile denominato “Cessione-Divisione”, con
il quale disciplinavano i loro rapporti successori (parzialmente, sostengono gli attori; interamente, sostengono i convenuti). All’esito di tale atto, gli attori e gli intervenuti in
adesione Antonio e Maria Biadene rinunciavano alle domande
proposte,

eccezion fatta per la resa di conto, in ordine alla

quale l’istruttore richiedeva un’integrazione peritale allo
scopo di aggiornare i dati dell’elaborato dal suo deposito sino al successivo momento della divisione stragiudiziale.
Decedeva poi Vercellino Biadene, da cui la nuova interruzione del giudizio (3 giugno 2004) e la costituzione in giudizio dei suoi eredi, la moglie Anna Carraretto e la figlia Silvia Biadene, il cui difensore eccepiva l’intervenuta transazione dell’intera lite in base all’accordo raggiunto davanti
al notaio.

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di Oscar Biadene per il pagamento della somma di lire

Il Tribunale di Treviso, con sentenza del 19 settembre
2005, dichiarava cessata la materia del contendere in forza
del richiamato atto notarile del 19 luglio 2001. Rilevava che
le parti erano addivenute ad una transazione su tutte le que-

essersi bene e giustamente divise e di non avere altro a pretendere dalla comunione per i rispettivi titoli” e di rilasciarsi pertanto “reciprocamente ampia e definitiva quietanza
di saldo”. Respingeva poi la domanda di restituzione della
somma di lire 27.600.000 proposta da Giancarlo e dagli eredi
di Vércellino, sul rilievo che la ricevuta prodotta era generica e le matrici degli assegni nulla provavano in ordine alla
causale del versamento.
2. – La decisione veniva impugnata da tutte le parti costituite: in via principale dagli eredi di Oscar Biadene, i
quali sostenevano che l’accordo divisionale aveva lasciato impregiudicate le questioni relative al rendiconto, circostanza
desumibile anche dal fatto che la richiesta (del giudice istruttore) di aggiornamento peritale del rendiconto era intervenuta successivamente all’epoca di stipulazione dell’accordo
medesimo. Depositavano per la prima volta in appello una
scrittura privata denominata “Controdichiarazione”, con identica data (19 luglio 2001) dell’atto notarile, ove si legge
che “Contrariamente a quanto stabilito al n. 4 dell’atto pubblico divisionale rogato in data odierna . . i comparenti e

z

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stioni di lite avendo tra l’altro espressamente dichiarato “di

e

condividenti si danno reciprocamente atto che restano da concordare i conguagli discendenti dalla disparità di valore dei
singoli assegni . . i conguagli verranno convenuti in sede
di determinazione dei rendiconti conseguenti agli utili ri-

al possesso singolare dei beni comuni”. Chiedevano quindi la
condanna di Giancarlo e degli eredi di Vercellino a corrispondere le somme da loro dovute in conseguenza dell’uso e
dell’occupazione esclusiva dei beni comuni.
Proponevano appello incidentale adesivo anche Maria e Antonio Biadene, riproponendo identiche motivazioni e conclusioni.
Si costituivano ritualmente in giudizio Giancarlo Biadene e
gli eredi di Vercellino Biadene – Anna Carraretto ved. Biadene
e Silvia Biadene -, i quali resistevano all’impugnazione e, a
loro volta, impugnavano la decisione di primo grado là dove
aveva respinto la domanda di restituzione della somma mutuata.
3. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza resa púbblica mediante deposito in cancelleria il 26 gennaio 2009, ha
così provveduto: ha dichiarato inammissibile sia l’appello
principale proposto da Franco e Anna Maria Biadene e da

Mar-

cella De Martin ved. Biadene sia l’appello incidentale proposto da Antonio e Maria Biadene; ha accolto l’appello incidentale proposto da Giancarlo e Silvia Biadene e da Anna Carraretto ved. Biadene e ha condannato Franco e Anna Maria Biade-

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spettivamente ottenuti dagli odierni condividenti ed afferenti

ne e ~cella De Martin ved. Biadene in solido al pagamento
della somma di euro 14.254,21 (già lire 27.600.000), oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo, in favore di
Giancarlo Biadene, Silvia Biadene e Anna Carraretto ved. Bia-

3.1. – La Corte d’appello ha dichiarato inammissibili
l’appello principale e quello incidentale adesivo sul rilievo,
per un verso, che “sono stati gli eredi aventi interesse alla
continuazione della causa a non fare il benché minimo cenno,
nemmeno nelle scritture conclusionali, all’esistenza di un negozio dissimulato, come invece ben potevano fare, posto che la
controdichiarazione è coeva all’accordo divisionale prodotto
in causa senza opposizione di sorta”; e, per l’altro verso,
che la domanda fatta valere in sede di gravame “contiene il
necessario accertamento della simulazione del contenuto della
clausola notarile, ma – in quanto tale – costituisce una domanda del tutto nuova e quindi inammissibile”.
In ordine al gravame proposto da Giancarlo Biadene e dagli
eredi di ~cenino Biadene, la Corte territoriale ha sottolineato che la decisione di primo grado ha fatto mal governo del
principio dell’onere probatorio, in quanto a fronte di una dazione di denaro incontestata e documentata pari a lire
27.600.000, era Oscar Biadene (e per lui i suoi eredi) che avrebbe(ro) dovuto formulare una contestazione specifica, quan-

9/\,

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dene in solido; ha regolato le spese del giudizio.

to meno con l’indicazione (che comunque nemmeno si rinviene)
di quale titolo o circostanza precludesse la restituzione.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello
hanno proposto ricorso Franco Biadene, Anna Maria Biadene,

dene, con atto notificato il 16 febbraio 2010, sulla base di
tre motivi.
Gli intimati hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza i controricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
Considerato

in diritto

l. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 184 cod. proc. civ., nel testo previgente alla
novella di cui alla legge n. 353 del 1990, nonché omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. Con tale
motivo ci si duole che la Corte d’appello di Venezia abbia
confermato la decisione del Tribunale motivando che l’accordo
divisionale era stato prodotto in causa senza opposizioni di
sorta, contrariamente a quanto risultava invece dal verbale di
udienza di precisazione delle conclusioni del 23 dicembre
2004. Si deduce che il Tribunale di Treviso, motivando esclusivamente sulla base del rogito notarile del 19 luglio 2001 ed
accogliendo l’eccezione proposta dalla difesa dei convenuti,
ma ignorando l’opposizione immediatamente proposta dalla difesa degli attori, aveva dichiarato la cessazione della materia

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Marcella De Martin ved. Biadene, Antonio Biadene e Maria Bia-

del contendere. Agli attori – affermano i ricorrenti non rimaneva altra strada per riaprire il contraddittorio se non impugnare la sentenza del Tribunale producendo la dichiarazione
sottoscritta dalle parti contestualmente al rogito notarile

concordare i conguagli discendenti dalla disparità di valore
dei singoli assegni ed a seguito di determinazione dei rendiconti conseguenti gli utili rispettivamente ottenuti dai condividenti ed afferenti al possesso singolare dei beni comuni.
Il rogito notarile – si assume – non poteva essere utilizzato
ai fini della decisione; decidendo la controversia proprio ed
esclusivamente sull’interpretazione di un documento irritualmente acquisito al giudizio, il Tribunale avrebbe violato il
principio del contraddittorio e tale vizio sarebbe rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado.
Con il secondo mezzo (violazione dell’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ. per omessa e contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio) si lamenta, con
riguardo all’inciso in cui si sottolinea che l’accordo divisionale sarebbe stato prodotto in causa senza opposizione di
sorta, che la Corte non si sia fatta carico di leggere il verbale di udienza di precisazione delle conclusioni del 23 dicembre 2004, nella quale il documento era stato prodotto, e
che riporta la reiterata opposizione immediatamente proposta
con richiesta di estromissione dal giudizio.

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o,

nella quale si davano reciprocamente atto che restavano da

.11111~

2. – I motivi – da esaminare congiuntamente – sono inammissibili perché non rispettano la prescrizione di cui
all’art. 366-bis cod. proc. civ.
Alla stregua della letterale formulazione del citato art.
366-bis cod. proc. civ. – introdotto, con decorrenza dal 2
marzo 2006, dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e
abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall’art. 47 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4
luglio 2009 (cfr. art.58, camma 5, della legge n. 69 del 2009)
– questa Corte è ferma nel ritenere che «il quesito di diritto
imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo
all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una
decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica
della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile
alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
generale, e non può consistere in una :nera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di

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una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata» (Cass., n. 11535 del 2008; Cass., S.U., n. 2863 del

In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366bis cod. proc. civ. deve compendiare: «a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad
avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie» (Cass. n. 19769 del 2008) e «non può essere desunto
dal contenuto del motivo, poiché in un sistema processuale,
che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione
della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di
cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6
del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, consiste proprio
nell’Imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una
sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa,
funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità» (Cass., ord. n.
20409 del 2008).
Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., dunque, il
quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere

– 10 –

2009).

alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per

lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito
e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza
della propugnata petizione di principio o della censura così
come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass. n. 3530
del 2012).
Ove poi venga denunciato un vizio di motivazione, questa
Corte è altrettanto ferma nel ritenere che, a seguito della
novella del 2006, allorché il ricorrente denunci la sentenza
impugnata lamentando un vizio della motivazione,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso
in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass., S.U., n. 17838 del 2012). Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto) . che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze

ofyi,

mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola

in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 del 2007; Cass. n. 3094
del 2014). Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che l’indicazione del fatto controverso e delle ra-

corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di
questo, occorrendo a tal fine una parte, del motivo stesso,
che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (Cass., S.U., n. 5743 del 2015).
Nella specie, appare evidente la non rispondenza dei motivi di ricorso all’art. 366-bis cod. proc. civ., in quanto il
primo motivo, con il quale si deduce violazione di legge, è
del tutto carente della formulazione del quesito di diritto,
così come il primo ed il secondo motivo di ricorso, formulati
ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sono totalmente privi di
tale momento di sintesi, iniziale o finale, perché manca un
quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo indicante le
ragioni del dedotto vizio motivazionale.
3. – Il terzo mezzo è rubricato “violazione dell’art. 360
cod. proc. civ., erronea applicazione della disciplina applicabile; erronea applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
siccome modificato dalla legge n. 353 del 1990 anziché della
disciplina ex art. 36 legge n. 581 del 1950; violazione
dell’art. 90 della legge n. 353 del 1990; legittimità della
produzione della controdichiarazione in sede di appello; omes-

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gioni della non adeguatezza della motivazione sia esposta nel

ti

sa motivazione ex art. 360, n. 5, in relazione alla mancata
applicazione degli artt. 345 cod. proc. civ. in relazione agli
artt. 36 legge n. 581 del 1950 e 90 legge n. 353 del 1990”. Il
quesito che lo accompagna è “se, con riferimento agli artt.

581 del 1950 e 52 della legge n. 353 del 1990, nel caso in cui
il processo abbia avuto inizio nell’anno 1989, debbano applicarsi in grado e sede di appello le preclusioni istruttorie
previste dall’art. 345 cod. proc. civ. così come disciplinato
dall’art. 36 della legge n. 581 del 1950 e quindi se sia possibile la produzione di documentazione nuova, nella specie
consistente in una controdichiarazione”, e se “sia assente o
contraddittoria la motivazione della Corte d’appello di Venezia nel capo in cui ha deciso per l’inammissibilità della produzione della controdichiarazione, prodotta per la prima volta
con l’atto di appello, senza, neppure in presenza di specifica
contestazione sul punto, motivare in merito all’applicazione
dell’art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione posteriore
all’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990”.
3.1. – Il motivo è inammissibile perché non coglie la
ratio decidendi.
Tutta la censura parte dal presupposto che la Corte
d’appello di Venezia abbia ritenuto inammissibile la produzione della controdichiarazione per la prima volta in sede di appello e abbia applicato l’art. 345 cod. proc. civ. nella for-

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360, n. 3, cod. proc. civ., 345 cod. proc. civ., 36 legge n.

mulazione successiva all’entrata in vigore della legge n. 353
del 1990. Viceversa – si sostiene – la Corte d’appello avrebbe
dovuto applicare l’art. 345 cod. proc. civ. così come sostituito dall’art. 36 della legge n. 581 del 1950, la cui formu-

appello.
Ma non è questa la ragione che ha condotto la Corte
d’appello a dichiarare inammissibile l’appello principale proposto da Franco Biadene ed altri e quello incidentale proposto
da Antonio Biadene ed altra.
La

Corte

territoriale

si

è

basata,

non

sull’inammissibilità della produzione documentale, ma sul fate

to che, con essa, si è avanzata una domanda nuova in appello:
la richiesta di accertamento della simulazione del contenuto
della clausola notarile.
Il disallineamento della censura articolata con il motivo
rispetto alla ratio che sostiene la statuizione impugnata,
comporta l’inammissibilità della doglianza.
4.

Il ricorso è inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PER on:sTx MOTIVI
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e

condanna i

ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai contoricorrenti, che

– 14 –

liquida in com-

lazione consente, invece, la produzione di documenti nuovi in

plessivi euro 3.200, di cui euro 3.000 per compensi, oltre a
spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile

della

Corte suprema di Cassazione, il 21

p.

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