Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12964 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12964 Anno 2014
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 23227-2008 proposto da:
JOVANOVIC

MLADEN,

JOVANOVIC

OBRENA,

JOVANOVIC

NEDELJKA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE
VENTUNO APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato
PIZZINO ENNIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FERLAN SERGIO;
– ricorrenti –

2014

contro

862

GOLLOB MARIA;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 09/06/2014

GOLLOB MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
TEULADA 52, presso lo studio dell’avvocato SCARPA
ANGELO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PULLANO CARMINE;
– ricorrente incidentale –

JOVANOVIC NEDELJKA,

JOVANOVIC OBRENA,

JOVANOVIC

MLADEN;
– intimati –

avverso la sentenza n. 112/2008 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 08/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/04/2014 dal Consigliere Dott. EMILIO
MIGLIUCCI;
udito

l’Avvocato

PIZZINO Ennio,

difensore

dei

ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento delle difese
già in atti;
udito l’Avvocato PULLANO Carmine, difensore della
resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso e
l’accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del
ricorso incidentale.

nonchè contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Mladen, Obrena e Nedeljka Jovanovic esponevano che : i coniugi Zivojin e Nedeljka
Jovanovic avevano concluso con Grazia Gollob contratto preliminare con il quale quest’
ultima aveva promesso loro di vendere l’immobile sito in Sistiana alla P.T. 2179 di

era stato interamente corrisposto il prezzo concordato di lire 410.000.000,
mentre era stato stabilito il termine di tre anni per la stipulazione del contratto definitivo,
atteso che gli acquirenti, in quanto cittadini stranieri, avevano necessità di autorizzazione
all’acquisto; che a seguito di incidente stradale mortale in luogo di Zivojin Jovanovic erano
subentrati come eredi i figli Mladen e Obrena Jovanovic; che la Gollob si era infine rifiutata
di aderire all’invito per la stipula del contratto definitivo
Ciò posto gli istanti evocavano in giudizio la Gollob avanti al tribunale di Trieste
per sentire emettere sentenza a norma dell’art. 2932 cod. civ.
Si costituiva la Gollob, la quale osservava che l’immobile era detenuto dagli attori già
dal mese di giugno 1997 e che era stata pattuita clausola risolutiva espressa in forza
della quale il contratto avrebbe perso efficacia qualora, nel triennio, gli acquirenti non
avessero ottenuto la cittadinanza italiana, ovvero per altra causa comunque non imputabile
alla promittente venditrice; che era stato altresì previsto che la venditrice in tal caso doveva
acquisire definitivamente la caparra di £ 40.000.000, ottenendo altresì la somma di £
2.60 0.0 00 per ciascun mese di occupazione. Pertanto, la convenuta chiedeva la
restituzione del bene nonché la definitiva acquisizione della caparra, insistendo infine per il
pagamento della somma mensile siccome prevista in contratto.
Il tribunale di Trieste accoglieva la domanda proposta dagli attori.
– Secondo il primo Giudice doveva escludersi che fosse stata prevista una clausola
risolutiva espressa, limitandosi quella pattuita a disciplinare le conseguenze restitutorie

Aurisina;

a carico dei promissari acquirenti in caso di risoluzione del contratto. Poteva semmai
trattarsi di penale mentre appariva condivisibile quanto sostenuto dagli
attori, ossia che detta clausola si limitasse ad apporre un termine da
considerarsi non essenziale.

decisione impugnata dalla convenuta, rigettava la domanda proposta dagli attori, dichiarava
la risoluzione del contratto de quo per inadempimento dei promissari acquirenti che
condannava al pagamento della soma di euro a titolo di ed euro 6.000, 00 a titolo di penale.
I Giudici ritenevano quanto segue:
– le parti avevano convenuto una clausola risolutiva espressa nel caso in cui nel triennio
successivo alla conclusione del preliminare non fosse avvenuta la stipulazione del definitivo
per la mancata concessione della cittadinanza italiana all’acquirente o per altra causa non
imputabile alla venditrice; in tal senso deponeva la intestazione “clausola risolutiva” di tale
parte del contratto, mentre se le parti avessero inteso prevedere gli effetti che sarebbero
derivanti dalla risoluzione di cui alle norme generali, tale clausola sarebbe stata inutile,
perché meramente ripetitiva della previsione di legge;
– la pattuizione concernente la ritenzione della caparra, come ritenuto dal tribunale
con statuizione non censurata, doveva qualificarsi come penale, tenuto conto che nella specie il
pagamento del prezzo era integralmente avvenuto già al momento della conclusione del
preliminare, e quindi non ricorreva la funzione di anticipato risarcimento propria della
caparra;
– sussisteva la colpa dell’obbligato richiesta dall’art. 1456 cod. civ., non avendo gli
acquirenti posto in essere alcuna attività per rispettare le cadenze contrattuali, attesa che il
coniuge e i figli di Nedeljka Jovanovic avevano la cittadinanza slovena che impediva l’acquisto
del bene de quo in Italia, essendo pertanto irrilevante che la Jovanovic avesse anche la
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Con sentenza dep. 1’8 maggio 2008 la Corte di appello di Trieste, in riforma della

cittadinanza serba;
– la risoluzione del contratto discendeva dall’esercizio del diritto potestativo di
avvalersi della clausola risolutiva compiuto dalla convenuta espressa, tenuto conto dei
differenti presupposti previsti dagli artt. 1456 e 1457 cod. civ.

mensile di previsto in
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione Mladen Jovanovic, Obrena
Jovanovic e Nedeljka Jovanovic sulla base di quattro motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l’intimata proponendo ricorso incidentale affidato a un unico
motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE
1.1. – Il primo motivo denuncia che la vicenda non era stata esaminata sotto il profilo del
R.D. n. 499 del 1929 applicabile alla specie secondo cui il diritto di proprietà e gli altri diritti
reali sui beni immobili si non si acquistano per atto tra vivi se non con l’iscrizione del diritto
nel libro fondiario. Il termine per la stipula doveva riferirsi all’interesse dei promissari
acquirenti di vedere iscritto i loro nomi sui libri fondiari, mentre la promittente venditrice
null’altro poteva pretendere.
Formula, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il seguente quesito di diritto “Accertato che
la vicenda processuale di cui è causa non è stata esaminata alla luce- del R.D. 499/1929,
segnatamente dell’art.2, dichiararsi …. l’impugnata sentenza è viziata da violazione di norma di
diritto (art, 360 n.3 CPC). Voglia pertanto la Corte Ecc.ma affermare che i trasferimenti di beni
immobili per atto tra vivi nella provincia di Trieste devono essere regolati dall’art2 R.D.
499/1929”.
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– la penale era ridotta all’importo di euro 6000,00 mentre era liquidato l’importo

1.2.- Il motivo è inammissibile.
a) In primo luogo, ai sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n.
40 del 2006, ratione temporis applicabile, i motivi del ricorso per cassazione devono essere
accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 n.5 cod. proc. civ.,) dalla formulazione di un

civ.,e qualora il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere , a pena di inammissibilità, la chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la
renda inidonea a giustificare la decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360
n.1),2),3),4) cod. proc. civ., secondo il citato art. 366 bis, il motivo deve concludersi con la
separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara
sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata
in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in
modo univoco raccoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti,
ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa

implicitamente

desumersi

dall’esposizione del motivo di ricorso né che esso possa consistere o ricavarsi dalla
formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie,
perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui
all’art. 366 bis cod. proc. civ.,secondo cui è,invece, necessario che una parte specifica del
ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la
questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione
nomofilattica che la modifica di cui al decreto legislativo n. 40 del 2006,oltre all’effetto
deflattivo del carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in maniera
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esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma n.1),2),3),4) cod. proc.

esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto
esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato soprarichiamato. In tal modo il
legislatore si era proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per
violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono

verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di
legittimità,

in teso

come

giudizio

d’impugnazione

a

motivi

limitati.

In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era quella di assicurare pienamente
la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare
l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di
enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili. Pertanto, il quesito di diritto
di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris”

corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di

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adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume
corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. Ne consegue che il quesito
deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione
di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile —
come si è detto – di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (S.U.3519/2008).
Nella specie, il quesito è assolutamente generico, perché non viene compiuto alcun
riferimento ai termini della controversia e alla soluzione adottata dalla Corte;
b) la censura è comunque inconferente, perché non dimostra la rilevanza che la disciplina
dettata dalla legge tavolare avrebbe dovuto avere rispetto alla decisione, tenuto conto che i
Giudici di appello hanno dichiarato la risoluzione del contratto preliminare in virtù della
clausola pattuita dalle parti ai sensi dell’art. 1456 cod. civ. che la convenuta aveva fatto valere
in conseguenza della mancata stipula del contratto definitivo nel triennio.
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2.1. – Il secondo motivo deduce che la sentenza aveva applicato la clausola risolutiva senza
che potesse essere ravvisata alcuna colpa da parte degli acquirenti, tenuto conto della morte
di Zivojn Jovanovic e di quanto aveva dichiarato il notaio Bedeschi in merito alla doppia
cittadinanza della Jovanovic, che avrebbe consentito la stipulazione del definitivo.

Premesso che la doglianza è formulata, ai sensi del richiamato art. 360 n. 3 cod.proc.
civ.„ come violazione di legge con riferimento alle condizioni previste dall’art. 1456 cod. civ.,
la censura è infondata, atteso che la sentenza ha esaminato e accertato il requisito della colpa
imputabile agli acquirenti, evidenziando, da un canto, che nessuna attività era stata dai
medesimi posta in essere per rispettare le previsioni contrattuali e, dall’altro, la irrilevanza
della doppia cittadinanza di Nedeljka Jovanovic tenuto conto che il coniuge e, poi, i figli
avevano la cittadinanza slovena, che all’epoca impediva l’acquisto della proprietà.
In effetti, il ricorrente, pur denunciando la violazione di legge, in sostanza censura
l’accertamento di fatto – sulla esistenza in concreto della colpa — attraverso una lettura del
materiale probatorio difforme da quello compiuto di Giudici nell’ambito dell’indagine
riservata al giudice di merito che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se non per
vizio di motivazione che nella specie non è neppure specificamente formulato. Qui va
ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa, mentre il vizio di falsa applicazione delle legge riguarda
la sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nella ipotesi normativa: viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di
causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione
del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio
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2.2. Il motivo va disatteso.

di motivazione che nella specie è insussistente e che peraltro non è stato dedotto secondo il
paradigma di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., atteso che il vizio deducibile ai sensi della
norma citata deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve
essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può

compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti
pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la ( dedotta ) erroneità della decisione
non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo
a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito
degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della
Cassazione
3.1.- Il terzo motivo denuncia l’errata applicazione dell’ipotesi di cui all’art. 1457 cod. civ.
quando la ritardata stipula del contratto non avrebbe in alcun modo determinato il venir
meno dell’utilità economica per la venditrice.
3.2.- Il motivo è infondato.
Occorre premettere che le ipotesi previste rispettivamente dagli artt. 1456 cod. civ.
(clausola risolutiva espressa) e 1457 (termine essenziale per una delle parti), ancorché
riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri
e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte
interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella
prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita
dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini
senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione.
Orbene, la sentenza, dopo avere correttamente precisato i differenti presupposti previsti
rispettivamente dagli artt.1456 e 1457 cod. civ. , ha ritenuto che nella specie, a stregua del L(
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risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali

pattuizioni contrattuali, le parti avevano previsto la clausola risolutiva espressa nel caso in
cui non vi fosse addivenuti alla stipula del contratto nel termine di un triennio; la risoluzione
del preliminare era, perciò, l’effetto derivante dalla dichiarazione della venditrice di
avvalersi della clausola in presenza dell’inadempimento con essa dedotto.

essenzialità del termine.
4.1.- 11 quarto motivo deduce che la Corte di appello aveva ignorato la postilla con la quale il
titolo indicato in contratto in base al quale era dovuta la somma di lire 2.6000.000 (locazione)

)

era stato sostituito con la dizione rimborso spese : pertanto, erroneamente i Giudici avevano
ritenuto dovuta la somma mensilmente e non una tantum.
4.2.- Il motivo è inammissibile.
a) In primo luogo, non risulta — in base alla sentenza impugnata – che la questione sia
stata mai dedotta nel giudizio di merito per cui, involgendo accertamenti di fatto, è
inammissibile in sede di legittimità: sarebbe stato onere dei ricorrenti dimostrare di averla
tempestivamente e ritualmente formulato indicando l’atto in cui sarebbe stata proposta.
b) Peraltro, la censura si risolve nella denuncia dell’erronea interpretazione di una
clausola contrattuale. Al riguardo, va ricordato che

l’interpretazione

del contratto,

consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in
un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in
cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione che, come si è detto, nella specie non
sussiste o per violazione delle regole ermeneutiche, che nelle specie non è stata neppure
specificamente dedotta, atteso che la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica
esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il
quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la
puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal
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11 motivo è pertanto del tutto inconferente posto che la decisione non si è fondata sulla

giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato
interpretativo raggiunto dal giudice che — come nella specie – si sostanzi nella mera
contrapposizione di una differente interpretazione.
Il ricorso principale va rigettato.

1.1. L’unico motivo denuncia che la sentenza, pur avendo accolto le domande riconvenzionali
proposte dalla convenuta, aveva omesso di pronunciarsi su quella di condanna alla
restituzione dell’immobile promesso in vendita, che peraltro era conseguenza della
risoluzione contrattuale.
1.2.- Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
Infatti, lo stesso è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica (il 5-11-2008) oltre
il termine di sessanta giorni dalla notificazione (20-6-2008) della decisione impugnata,
dovendo qui ricordarsi che nel caso di notificazione della sentenza il termine breve per
impugnare decorre sia per il notificante che per il destinatario della notificazione. Né
potrebbe sostenersi l’ammissibilità della impugnazione tardiva, ai sensi dell’art. 334 cod.
proc. civ., atteso che il ricorso incidentale è stato proposto avverso il capo della sentenza che
aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di restituzione del bene oggetto del contratto
del quale era stata dichiarata la risoluzione. Orbene, l’impugnazione incidentale tardiva è
sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione
principale metta in discussione l’assetto giuridico derivante dalla sentenza cui la parte non
impugnante aveva prestato acquiescenza, facendo così sorgere l’interesse ad impugnare: nella
specie, peraltro, l’interesse ad impugnare la statuizione circa la mancata restituzione
dell’immobile de quo non nasceva dalla impugnazione principale ma direttamente dalla
decisione impugnata che non aveva integralmente accolto la domanda provvedendo sui
provvedimenti consequenziali alla risoluzione.
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RICORSO INCIDENTALE

In considerazione della reciproca soccombenza, le spese relative alla presente fase vanno
compensate.

P.Q.M.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 aprile 2014
Il Cons. estensore

Il residente

Rigetta il ricorso principale dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa spese

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