Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1296 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti ed iscritti ai nn. 499-531-585/2013 proposti da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma,

alla Portoghesi, n. 12, è domiciliata; difesa via dei Portoghesi,

n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

s.a.s. Pianeta Moto di I.B. & C., in persona del l.r.p.t.,

B.E. ed B.I., quali soci, rappresentati e difesi

dall’avv. Umberto Gentile, elettivamente domiciliati in Roma, alla

via del Pozzetto n. 122, presso l’avv. Paolo Carbone;

– controricorrenti –

avverso le sentenze nn. 209, 210 e 211 della Commissione tributaria

regionale della Campania, pronunciate in data 16/4/2012, depositate

in data 4/5/2012 e non notificate.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 21 ottobre

2020 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

con distinti ricorsi, l’Agenzia delle entrate ricorre avverso la società s.a.s. Pianeta Moto di I.B. & C., in persona del l.r.p.t., B.E. ed B.I., per la cassazione delle sentenze nn. 209, 210 e 211 della Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito C.t.r.), pronunciate in data 16/4/2012, depositate in data 4/5/2012 e non notificate, che hanno rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia concernente l’impugnazione degli avvisi di accertamento, integrativi di un precedente accertamento definito con adesione sulla base del p.v.c. n. 299/08 dell’Ufficio di Piedimonte Matese, con i quali l’amministrazione finanziaria, per l’anno di imposta 2005, accertava un maggior reddito della società ed un maggior reddito di partecipazione dei soci, a seguito di indagini bancarie estese anche a questi ultimi;

con la sentenza n. 209, emessa nei confronti della società, la C.t.r. rigettava l’appello dell’Ufficio, rilevando che non vi erano elementi di novità idonei a legittimare l’accertamento integrativo, che la mancata risposta al questionario da parte dei contribuenti era giustificata da difficoltà oggettiva e che, comunque, questi ultimi avevano prodotto anche in fase giudiziale ampia documentazione volta a giustificare i movimenti bancari contestati;

con le sentenze nn. 210 e 211, emesse in pari data, la C.t.r. rigettava, invece, l’appello dell’Ufficio nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dell’accertamento nei confronti dei soci, sul presupposto del rigetto dell’appello avanzato nei confronti della società, dato che l’accertamento del reddito di partecipazione dei soci scaturiva dall’accertamento nei confronti della società;

a seguito del ricorso, la s.a.s. Pianeta Moto di I.B. & C., in persona del l.r.p.t., B.E. ed B.I. B.E. resistono con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

preliminarmente, deve disporsi la riunione dei procedimenti n. 531/2013 e 585/2013 R.G. al procedimento n. 499/2013;

invero, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, che “in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio”(Cass. Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008);

si è anche detto che “in tema di rettifica del reddito di una società di persone e di quello di partecipazione dei soci, le pronunce riguardanti la società ed i soci, adottate dallo stesso collegio in identica composizione, nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria, implicano la presunzione che si sia realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12375 del 15/06/2016);

pertanto, come è stato rilevato, “nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: 1) identità oggettiva quanto a “causa petendi” dei ricorsi; 2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; 3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; 4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perchè non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 29843 del 13/12/2017);

nel caso di specie, in cui le sentenze impugnate sono state emesse nella stessa udienza dal medesimo collegio e lasciano evincere che la trattazione unitaria è avvenuta anche in primo grado (oggetto di appello risultano essere le sentenze della C.t.p. di Caserta nn. 349, 350 e 351/15/11), la Corte deve disporre la riunione dei procedimenti al suo esame, in quanto si è realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale nei gradi di merito;

sempre preliminarmente va affermata l’ammissibilità dei ricorsi;

in particolare, la denunziata inesistenza della notificazione, avvenuta da parte di un Avvocato dello Stato diverso da quello munito di procura che ha sottoscritto il ricorso (circostanza verificabile per i ricorsi nn. 499 e 531/2013 R.G. nei confronti della società e di B.E.) non rileva ai fini della validità della notifica;

invero, come è stato detto, “è legittima la notifica del ricorso per cassazione effettuata da un avvocato dello Stato diverso da quello che ha sottoscritto il ricorso, atteso che la ripartizione del lavoro tra avvocati e procuratori dello Stato, i quali non necessitano di mandato e sono tra di loro fungibili e sostituibili in caso d’impedimento, è attività meramente interna” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21985 del 28/10/2015);

a norma del R.D. n. 1161 del 1933, art. 1 l’avvocato dello Stato, quando ricorrono le condizioni per l’esercizio della sua attività, la esercita senza necessità di mandato, in base all’assegnazione degli affari;

la L. n. 103 del 1979, art. 19 espressamente prevede la possibilità di una sostituzione nella trattazione degli affari assegnati, che potremmo definire ordinaria, per il caso di assenza, impedimento o giustificata ragione, che rientra nell’ambito della organizzazione interna dell’Ufficio e non è soggetta a particolari obblighi di forma, diversamente da quella dovuta a “gravi motivi” da adottarsi con provvedimento motivato;

parimenti infondata è l’eccezione di inesistenza della notificazione del ricorso in cassazione, avvenuta nel domicilio eletto presso il difensore del primo grado, stante la contumacia delle società e soci nei giudizi di appello;

le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui ” in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 c.p.c.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione” (Cass.Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016);

secondo le Sezioni unite, infatti, la previsione di ultrattività dell’indicazione della residenza (o della sede) e dell’elezione di domicilio non può non riflettersi sull’individuazione del luogo di notificazione del ricorso per cassazione;

ne consegue che, in deroga alla regola ordinaria, il ricorso è validamente notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, anche nel caso in cui il soggetto destinatario della notificazione non si sia costituito nel giudizio di appello (oppure, pur costituitosi, non abbia effettuato alcuna indicazione) (Cass. nn. 10055 del 2000, 2882 e 15523 del 2009, 20200 del 2010, 1972 del 2015);

passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo dei ricorsi R.G. n. 499 e 585 del 2013, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 295 c.p.c. ed, in subordine, la violazione dell’art. 40 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe dovuto sospendere le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento del reddito di partecipazione dei soci, per attendere l’esito definitivo del giudizio nei confronti della società;

il motivo è infondato, in quanto, come si è visto, ricorre, per le società di persone ed i soci, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, che impone il simultaneus processus o, quanto meno, la trattazione unitaria, per cui non è invocabile la disciplina dettata per la sospensione del processo nel caso di cause legate da rapporto di pregiudizialità;

con il secondo motivo dei ricorsi nn. 499 e 585/2013 R.G. (nei confronti dei soci), coincidenti con il primo motivo del ricorso n. 531/2013 (nei confronti della società), la ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 e l’omessa o comunque insufficiente motivazione in relazione a fatti rilevanti e decisivi, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;

secondo la ricorrente, la C.T.R. non ha tenuto conto, senza spiegarne il motivo, di alcuni dati, risultanti dagli atti, che erano invece rilevanti e decisivi per confermare il fatto controverso della novità degli elementi che giustificavano il supplemento di accertamento per l’anno di imposta 2005, svolto in relazione ai conti bancari dei soci;

come più volte precisato dall’Ufficio, l’accertamento integrativo faceva riferimento alle indagini bancarie sui conti correnti dei soci, che non erano stati oggetto del precedente accertamento parziale e le cui movimentazioni risultavano comunque riferibili alla società;

in particolare (punto A del secondo/primo motivo), la ricorrente ritiene sussistente il presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, idonei a legittimare l’accertamento suppletivo, ed afferma che gli esiti del controllo dei conti correnti bancari dei soci non era conosciuto dall’Ufficio all’epoca della prima verifica, confluita nel p.v.c. n. 299/2008;

inoltre (punto B del secondo/primo motivo), la sentenza avrebbe trascurato il fatto, pure risultante dal nuovo accertamento (pag. 3 ult. 2 righe e pag. 4 righe 1-14) e visibilmente incontestato (come emerge dal relativo motivo di ricorso sopra riportato), che l’avviso si era basato anche su conti correnti bancari (elencati in ricorso) non esibiti ai funzionari verificatori all’epoca della prima verifica e sufficienti, se solo fossero stati valutati dal Giudice di merito, a rendere indiscutibile la legittimità del supplemento accertativo;

con il terzo motivo dei ricorsi nn. 499 e 585/2013 R.G. (nei confronti dei soci), coincidenti con il secondo motivo del ricorso n. 531/2013 (nei confronti della società), la ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4 o, in subordine, la motivazione illogica e quindi insufficiente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5;

secondo la ricorrente, anche indipendentemente dall’ispezione dei conti correnti bancari nuovi e diversi (in tutto o in parte dei soci), la motivazione della sentenza risulta apparente ed inidonea a palesare l’iter logico giuridico posto a base della decisione impugnata, richiamandosi a fatti che non hanno un significato obiettivo tale da giustificare le conclusioni che se ne traggono;

la sentenza negherebbe credito all’assunto dell’A.F., per cui l’esito del controllo dei conti correnti non era conosciuto dall’Ufficio all’epoca della verifica generale (pag. 3 righe 23-24 avviso), recependo in modo passivo ed apodittico le tesi avversarie miranti a far apparire che la prima verifica svolta abbia incluso anche i controlli D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32;

insomma, anche a ritenere che la prima verifica avesse dato atto che quanto contabilizzato trovasse riscontro nei documenti bancari (tale, al più, può essere il significato di frasi come “le contropartite contabili hanno trovato regolare appostazione ed idonea giustificazione nella contabilità di esercizio”, di cui all’invocata pag. 4 del p.v.c.), ugualmente essa non avrebbe esaminato affatto che cos’altro ci fosse in questi, nulla dicendo sulla possibile presenza, accanto ai proventi contabilizzati, di altri che non lo erano;

a conferma di ciò la ricorrente deduce che nel p.v.c. si legge che “resta da valutare, con ulteriori elementi acquisibili dall’Ufficio impositore, se ed in quale misura le operazioni in parola possano essere… correlabili a componenti positivi non transitati nel conto economico. Con ogni probabilità sarà opportuno operare un’integrazione dell’atto istruttorio per mezzo di indagini bancarie” (pag. 7 “righe 16-19);

conclude, quindi la ricorrente nel senso che nessun effetto può avere l’avvenuto controllo della contabilità in base ai documenti bancari al fine di far ritenere già avvenuto anche il distinto e ben più vasto (nonchè, in certo senso, inverso) controllo generale delle movimentazioni bancarie;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono ammissibili e fondati;

come è stato definitivamente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, “in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/201);

nel caso di specie, le singole doglianze contenute nelle censure cumulative sono agevolmente e chiaramente individuabili e possono essere esaminate separatamente, senza incorrere nella denunziata inammissibilità;

parimenti va disattesa l’eccezione d’improcedibilità per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto la ricorrente risulta aver prodotto, in allegato, tutti gli atti sui quali il ricorso si fonda (p.v.c., avviso di accertamento, atti dei precedenti gradi di giudizio e sentenza impugnata);

infine, anche la doglianza relativa al carattere di novità delle argomentazioni contenute nei motivi di ricorso non è accoglibile, in quanto, “nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 31224 del 29/12/2017);

nel merito, la doglianza relativa all’omessa motivazione è fondata e va accolta;

in linea di principio giova premettere che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il presupposto per l’integrazione o modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, è costituito, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3, dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, sicchè gli accertamenti integrativi non possono essere fondati sugli stessi elementi di fatto del precedente o dei precedenti accertamenti, e la conoscenza dei nuovi elementi deve essere avvenuta in epoca successiva a quella in cui l’accertamento originario è stato notificato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria, annullando e sostituendo un altro avviso precedentemente notificato, aveva rettificato il valore di cessione di un immobile sulla base della sopravvenuta conoscenza di una perizia estimativa dello stesso, depositata in data successiva alla notifica del primo atto impositivo)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26279 del 20/12/2016; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 27565 del 30/10/2018);

il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, vigente ratione temporis, prevedeva che “fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte”;

l’Ufficio erariale, dunque, non può emettere un secondo avviso di accertamento o di rettifica, se non in base a nuovi elementi di fatto dei quali sia venuto a conoscenza in epoca successiva all’emissione dell’atto che si voglia integrare, e l’inesistenza dell’elemento della novità è sanzionata con la previsione di nullità dell’atto di integrazione;

inoltre, la norma esige che nel secondo avviso notificato (con integrazioni o modificazioni) siano indicati non solo i nuovi elementi, di cui è venuta a conoscenza l’Amministrazione, ma anche gli atti e i fatti attraverso i quali questi siano stati acquisiti, allo scopo di consentire un controllo sulla effettiva posteriorità dei fatti che hanno permesso all’Amministrazione di acquisire i nuovi elementi, idonei a giustificare la diversa pretesa fiscale;

nel caso in esame, è pacifico che la ricorrente, nell’avviso integrativo, avesse fatto specifico riferimento ai conti correnti (per lo più riconducibili ai soci), emersi in sede di indagini bancarie successive alla precedente verifica;

quindi, secondo la prospettazione dell’Ufficio, l’avviso di accertamento sarebbe stato legittimamente emesso sulla base della sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi;

la C.t.r. ha ritenuto che la prima verifica avesse avuto ad oggetto i conti correnti bancari riferibili alla società, elencati alla pag.4 del p.v.c. n. 299/2008, ed esaminati attraverso i riscontri incrociati con la contabilità;

il giudice di appello ha, quindi, escluso la sussistenza dei nuovi elementi idonei a giustificare l’accertamento integrativo, ma non ha adeguatamente motivato in ordine al proprio convincimento, omettendo di esaminare i conti correnti indicati nell’avviso integrativo, al fine di verificarne la corrispondenza con quelli menzionati nel precedente p.v.c. e l’idoneità degli stessi a giustificare l’integrazione dell’accertamento;

la circostanza che la precedente verifica facesse riferimento all’avvenuto riscontro positivo tra operazioni indicate in contabilità e movimentazioni bancarie non vale, infatti, ad escludere la possibilità di operazioni non contabilizzate confluite su conti correnti bancari diversi, intestati ai soci, sebbene comunque riferibili alla società;

con il quarto motivo dei ricorsi nn. 499 e 585/2013 R.G. (nei confronti dei soci), coincidenti con il terzo motivo del ricorso n. 531/2013 (nei confronti della società), la ricorrente, la ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 e l’omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;

secondo la ricorrente, la richiesta di proroga della data di comparizione, formulata dalla società contribuente, non poteva rendere irrilevante la mancata risposta al questionario ed illegittimo l’accertamento conseguente;

infatti non risulta che la società, neppure in seguito, abbia mai prodotto documenti idonei a giustificare i movimenti bancari contestati, nonostante l’instaurazione di un secondo contraddittorio a fini di adesione, con invito contenuto nel p.v. del 1/2/2011 (esso pure allegato al p.v.c. e con esso qui riprodotto: p.v.c. visibilmente protocollato in tale data benchè nel testo l’anno sia erroneamente scritto “2010”, anche perchè contenente il riferimento all’avviso notificato il 28.8.10);

la contraria affermazione della sentenza è assolutamente generica, non precisando a quali documenti si riferisca e che cosa attestassero, non avendo provveduto, nè la società, nè i soci, alla prova contraria della quale erano onerati;

anche tale motivo risulta fondato, sotto il profilo del vizio motivazionale, poichè, come più volte affermato da questa Corte (vedi da ultimo Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14762 del 30/05/2019) ” in tema di valutazione delle prove ed in particolare di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti”;

nel caso di specie, dunque, il mero riferimento alla documentazione prodotta in giudizio, contenuto nella sentenza impugnata, non è sufficiente a spiegare le ragioni poste a base della decisione adottata;

pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, le sentenze impugnate vanno cassate con rinvio alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte, riuniti i ricorsi nn. 531 e 585 al ricorso 499/2013 R.G. e rigettato il primo motivo dei ricorsi 499 e 585/2013, accoglie gli altri motivi nei sensi di cui in motivazione; cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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