Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12959 del 23/06/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 12959 Anno 2015
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 9080-2010 proposto da:
MORO

SERGIO

MROSRG42R20F132J,

CESCHI

LUCIANA

CSCLCN46A51B400L, BARBIERI MARCELLO BRBMCL35R24B886P,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. CHINOTTO l,
presso lo studio dell’avvocato ERMANNO PRASTARO,
rappresentati e difesi dall’avvocato WALTER ANDRIOLO;
– ricorrenti contro

PRANDO STEINMANN MARIA, elettivamente domiciliato, in
ROMA P.ZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAAZIONE,
rappresentatq,e difesq,dall’avvocato ANDREA APRILE;

Data pubblicazione: 23/06/2015

- controricorrente non chè contro

COLETTI MARIA LUISA;

intimata

avverso la sentenza n. 38/2009 della CORTE D’APPELLO

23/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/05/2015 dal Consigliere Dott. EMILIO
MIGLIUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso.

di TRENTO sezione distaccata di BOLZANO, depositata il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.- Maria Steinmann Prando conveniva in giudizio, innanzi al
tribunale di Bolzano, sezione distaccata di Merano, Sergio Moro,
Marcello Barbieri, Luciana Ceschí, Elio Poda e Maria Coletti per sentire

costituiva parte comune del fabbricato condominiale e che i convenuti
venissero condannati alla cessazione dell’uso abusivo della cosa
comune, al ripristino della originaria consistenza e destinazione
e al risarcimento del danno causato dall’impedimento dell’uso, da
liquidarsi anche in via equitativa.
I convenuti chiedevano il rigetto della domanda rilevando che, in
presenza di un edificio di più piani appartenenti a proprietari
diversi, l’appartenepza del sottotetto, non indicato nell’articolo 1117
cod. civ. tra le cose comuni dell’edificio, si determina in base al
titolo ed, in mancanza, in base alla funzione cui esso sia destinato in
concreto; nella specie, il vano occupato da essi convenuti era destinato
a servire da protezione dell’appartamento dell’ultimo piano e costituiva,
pertanto, una pertinenza dello stesso.
Con sentenza n. 17 del 2008 il tribunale rigettava la domanda.
Con sentenza dep. il 23 febbraio 2009 la Corte di appello di Trento sez.
dist. di Bolzano, in riforma della decisione impugnata dall’attrice,
accoglieva la domanda proposta da quest’ultima.
I Giudici ritenevano che il sottotetto era costituito da un vano
sovrastante ben cinque unità immobiliari comprese nell’ultimo piano dello
stabile, con

un’altezza,

nella

parte

centrale,

in

accertare che il sottotetto della p.ed. 2565 in P.T. 2922/11 C.C. Maia

corrispondenza del colmo del tetto, di circa metri 3, per cui era da
escludere che potesse assolvere alla sola funzione di camera
d’aria, destinata ad isolare e proteggere le unità abitative sottostanti
e di assumere la natura di pertinenza; il piano di divisione

sottotetto, ma unicamente in relazione al vano ascensore e al vano scala
e non in ordine al sottotetto quale vano di per se, per cui
l’appartenenza del sottotetto non poteva essere determinata in base al
titolo; dalle risultanze della CTU era emersa la destinazione
degli spazi in questione all’uso comune, tenuto conto che : aveva un
autonomo ingresso dalle Scali comuni che, sia pure angusto, ne consentiva
accesso da parte di una persona dotata di normali capacità motorie; i
muricci o tramezzi ivi esistenti avevano funzione statica di sostegno del
tetto e, perciò, ne costituivano parte della struttura ; all’interno era
ubicata una centralina: di amplificazione dell’antenna tv; il locale poteva
anche essere destinato a deposito e ripostiglio; irrilevante era la
circostanza che i convenuti avessero realizzato notevoli modifiche
strutturali; per effetto dei lavori effettuati, la parte del sottotetto
sovrastante la p.m 24 non era più accessibile per fini manutentivi e
ispettivi.
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione

Moro

Sergio, Barbieri Marcello, Ceschí Luciana, sulla base di due motivi
illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l’intimata.

2

materiale, iscritto nel libro fondiario, conteneva un accenno al

moTrvI

DELLA DECISIONE

1.1.- Il primo motivo denuncia la eccepita acquiescenza

dell’attrice ai

lavori effettuati nel sottotetto ad opera dei ricorrenti, lavori dei

informato di avvalersi del diritto di pertinenza del sottotetto senza
che la medesima avesse mai sollevato rilievi neanche nell’ assemblea
condominiale straordinaria tenutasi il 25-8-19991.
1.2.- Il motivo è infondato.
Indipendentemente

da ogni considerazione

sul carattere

concludente o meno• del comportamento tenuto dall’ attrice, quel che
rileva ed è decisivo è che la (eventuale) rinuncia al diritto di
comproprietà del sototetto non avrebbe potuto fondarsi su

facta

concludéntia ma varebbe dovuto rivestire la forma scritta ad substantiam
ai sensi dell’art. 1350 n. 5 cod. civ., che impone l’osservanza
della forma scritta,

a pena di nullità, per gli atti di rinuncia a

diritti reali, assoluti o limitati, su beni immobili. D’altra parte,
privo di alcuna valenza è il comportamento che per un lasso di tempo
considerevole (14 anni) sarebbe stato tenuto dall’attrice – la dedotta

acquiescenza

ovvero l’inerzia manifestata alla realizzazione dei

lavori da parte dei convenuti, di cui sarebbe stata informata – atteso
che non avrebbe potuto comportare alcun pregiudizio e tanto meno – come
preteso dai ricorrenti secondo quanto precisato con la memoria
illustrativa – la rinuncia al diritto di chiedere il ripristino dei
luoghi, diritto che evidentemente rientra nel contenuto e, quindi, nelle
3

quali la medesima aveva avuto conoscenza laddove i convenuti avevano

facoltà del diritto di (com)proprietà: esclusivamente la perdita del
diritto per l’eventuale acquisto per effetto di intervenuta usucapione
da parte dei comproprietari – che per il periodo di tempo necessario
posseduto in via esclusiva e in contrasto con i poteri

spettanti ex art. 1102 cod. civ. al comunista

avrebbe potuto

determinare anche il venir meno delle condizioni per l’azione proposta
dall’attrice a tutela dei beni comuni.
2.1. – Il secondo motivo censura la sentenza che, nell’escludere la
natura di pertinenza delle sottostanti unità immobiliari del sottotetto,
aveva fatto riferimento al potenziale utilizzo per soddisfare esigenze
comuni criticandone la nozione al riguardo accolta; evidenzia come dagli
accertamenti e dalle conclusioni del consulente tecnico di ufficio

abbiano

era da escludersi • che il sottotetto avesse caratteristiche i s)
(dimensioni, struttura,

destinazione, modalità di accesso) che ne

consentissero la fruizione da parte dei singoli condomini.
Formula i seguenti quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.
a) “laddove la

proprietà

di un sottotetto non sia individuabile

attraverso 11 titolo e qualora dalle prove assunte nel corso del giudizio
(vedasí nel caso di specie la consulenza tecnica
primo grado)

di ufficio assunta in

emergano elementi_ oggettivi atti a dimostrare che 11

sottotetto non è fruibile dalla comunità condominiale neppure in via
potenziale, il sottotetto stesso deve essere considerato quale pertinenza
delle unità immobiliari sulle quali insiste”;
b)” qualora nel corso di un procedimento vi sia la prova che un soggetto
nulla opponeva in relazione all’occupazione del sottotetto da parte dei
4

condomini proprietari degli appartamenti siti all’ultimo piano dello
stabile, la condotta di detto soggetto costituisce acquiescenza rispetto
all’occupazione stessa con conseguente rinuncia al diritto di chiedere
il ripristino del sottotetto stesso allo status quo ante”.
c)” laddove la proprietà di un sottotetto non sia individuabile

attraverso 11 titolo, e qualora dalle prove assunte nel corso del
giudizio (vedasi consulenza tecnica di ufficio assunta in primo
grado) emergano elementi oggettivi atti a dimostrare che il sottotetto
non è fruibile dalla comunità condominiale neppure in via potenziale, il
sottotetto stesso deve essere considerato quale pertinenza delle unità
immobiliari sulle quali insiste”.
2.2. – Il motivo è inammissibile per le seguenti considerazioni.
A). Ai sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6
del d.lgs. n. 40 del 2006, ratione temporis applicabile, i motivi del
ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di
inammissibilità (art. 375 n.5 cod. proc. civ.,) dalla formulazione di un

esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma
n.1),2),3),4) cod. proc. civ.,e qualora

il vizio sia denunciato anche

ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere , a pena di inammissibilità, la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai
5

sensi dell’art. 360 n.1),2),3),4) cod. proc. civ., secondo il citato
art. 366 bis, il motivo deve concludersi con la

separata e specifica

formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una
chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del
giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta

– negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco
l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può,
infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa
implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso né che
esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di
diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie,
perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.,secondo cui
è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata
ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la
questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere
nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al
decreto legislativo n. 40 del 2006,oltre all’effetto deflattivo del
carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in
maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. l,
comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del
decreto delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era
proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di
ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo
schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione
6

del quesito di

diritto risponde all’esigenza di verificare la

corrispondenza delle ‘ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del
giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi
limitati.
In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era

ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare l’interesse
del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma
anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi
simili. Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod.
proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della “regula
adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il
ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in
sostituzione del primo. Ne consegue che il quesito

deve costituire la

chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in
condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris
che sia, in quanto tale, suscettibile -come si è detto –

di ricevere

applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame
del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata

(S.U.3519/2008).

Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di
diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma n.1),2),3),4) cod.
proc. civ., nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la relativa censura deve contenere,
un momento di sintesi
indicato in

una parte

(omologo del quesito di diritto),separatamente
del ricorso a ciò specificamente deputata e

7

quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del

distinta dall’esposizione del motivo,che ne circoscriva puntualmente i
limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valgtazione della sua ammissibilità ( S.U.20603/07).In
tal caso,l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del
fatto

controverso con la precisazione del

vizio del procedimento

logico-giuridico che,incidendo nella erronea ricostruzione del fatto,sia
stato determinante della decisione impugnata. Pertanto,non è sufficiente
che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi
dalla sua esposizione. La norma aveva evidentemente la finalità di
consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle
attribuzioni conferite dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.al giudice di
legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logicogiuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del
provvedimento impugnato,non essendo compito del giudice di legittimità
quello di controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione
attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che
non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è
anche giudice del fatto. Si era, così, inteso precludere l’esame di
ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di
Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile
riesame del merito della causa.
Ciò posto – e premesso che il quesito indicato sub b)

si

riferisce alla questione posta con il primo motivo di cui si è già
detto –

il motivo in esame non è conforme alle prescrizioni di cui

all’art. 366 bis, posto che le doglianze alle quali fanno riferimento i

8

quesiti su/ a) e c) hanno a oggetto

accertamenti di fatto (le

caratteristiche e la funzione del sottotetto) sindacabili in sede di
legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all’art.
360 n. 5, per cui i ricorrenti avrebbero dovuto piuttosto formulare il
momento di sintesi, indicando i fatti controversi ovvero le

concrete

fossero gli elementi di prova emersi) e dimostrando il vizio dell’iter
logico giuridico causalmente determinante della decisione, consistito
” quesiti”

nel mancato o erroneo esame di elementi decisivi : i

sono

assolutamente generici, in quanto non contenengono alcun riferimento
agli elementi probatori emersi, alla fattispecie concreta e all’iter
motivazionale della ‘sentenza impugnata, dando per acclarata la
ricostruzione in fatto formulata dai ricorrenti e che avrebbe dovuto
essere dimostrata, ovvero la natura di pertinenza delle unità
immobiliari sottostanti il sottetto.
B. Le doglianze si risolvono nella censura dell’apprezzamento che
i Giudici hanno compiuto delle circostanze di fatto acquisite
dall’indagine svolta dal consulente tecnico pervenendo, nell’ambito
della prudente valutazione riservata al giudice di merito, a
conclusioni difformi da quelle del consulente; è appena il caso di
ricordare che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 n 5 cod.
proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al
del giudice che deve essere verificato in base al
contenuto

del

provvedimento

ragionamento

solo

esame del

Impugnato e non può risolversi nella

denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali

circostanze emerse dalle risultanze istruttorie (precisando quali

compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il
ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi
dell’art. 360 n. 5 citato, la ( dedotta ) erroneità della decisione non
può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente
formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio,

riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di
legittimità della Cassazione.
Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste in
solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in
favore della resistente delle spese relative alla presente fase che
liquida in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00
per onorari di avvocato oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 maggio 2015
Il Cons. estensore

Il Presidente

atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA