Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12958 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. I, 26/06/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 26/06/2020), n.12958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12318/2019 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei

Consoli, 62 presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolinelli Lucia;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 09/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 da ACIERNO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di protezione

internazionale proposta da A.N., cittadino nigeriano.

Il ricorrente ha dichiarato di aver lasciato il suo paese perchè minacciato dallo zio che non voleva restituirgli il terreno di cui si era impossessato alla morte del padre del richiedente. Il tribunale ha ritenuto che tale vicenda abbia natura meramente privata e che il ricorrente avrebbe dovuto chiedere la protezione del suo paese.

In relazione alla situazione generale della Nigeria, ed in particolare della città di Benin City, le fonti consultate evidenziano che non ci sia una situazione di conflitto armato e un grado di violenza interna generalizzato e permanente. Deve pertanto escludersi che sia integrata prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

In relazione al rifugio politico il ricorrente non risulta affiliato politicamente nè appartiene ad una minoranza etnica o religiosa. Il timore persecutorio non è riconducibile alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra.

In relazione alla protezione sussidiaria non emergono elementi da cui desumere una grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente; non c’è una situazione di violenza indiscriminata.

In relazione alla protezione umanitaria il Tribunale il relazione al giudizio prognostico sull’elevata vulnerabilità derivata dallo sradicamento del ricorrente evidenzia che nel paese di provenienza non vengono segnalate gravi compromissioni dei diritti umani e dai documenti prodotti non si evince nessuno sforzo serio d’integrazione nel tessuto socio economico nazionale. Gli attestati prodotti (corsi si formazione, di lingua) sono insufficienti così come la promessa d’impiego o l’assunzione a tempi ridotti con salario al di sotto dell’assegno sociale, trattandosi di salario non sufficiente per una esistenza libera e dignitosa. Inoltre non può essere valutato favorevolmente un rapporto di lavoro instauratosi in epoca successiva all’instaurarsi del giudizio ed infine l’integrazione sociale allegata deriva dall’attuazione delle norme relative all’accoglienza e dai finanziamenti ad essa destinati.

In conclusione, pur in presenza di una condizione individuale di elevata vulnerabilità deve essere rigettata la domanda e disposto il rimpatrio forzato se nel paese di ritorno si registrano condizioni di vita che consentano l’esercizio di diritti minimi, potendo ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2 bis essere espulse anche persone fragili a determinate condizioni.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno. Il ricorrente ha depositato memoria oltre il termine previsto dalla legge. Tale deposito è, pertanto, inammissibile.

Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione delle norme che regolano la credibilità del richiedente protezione internazionale avendo il Tribunale fondato il proprio giudizio su soggettivistiche valutazioni.

Nel secondo motivo (ma la censura viene prospettato in modo unitario ancorchè articolato in diverse questioni) viene censurata la valutazione svolta dal Tribunale in relazione alla situazione oggettiva del paese.

Le censure non superano il vaglio di ammissibilità. La prima perchè il Tribunale non svolge una valutazione d’intrinseca non credibilità ma ritiene qualificabile come meramente privata la vicenda narrata. Ne consegue che non è colpita la ratio decidendi del provvedimento impugnato. La seconda perchè il Tribunale ha svolto un’approfondita indagine sulla situazione dell’area di provenienza del ricorrente all’interno della Nigeria, fondando il proprio giudizio su fonti plurali ed aggiornata. La censura mira a prospettare una valutazione di merito sostitutiva di quella insindacabilmente svolta nel provvedimento impugnato.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 sia in relazione alla mancata applicazione del principio di non refoulement sia in ordine alla mancata valutazione dell’effettivo grado d’integrazione raggiunto da porsi in comparazione con la situazione di privazione dei diritti umani nel paese di origine, per essere stato omesso l’esame della documentazione (contratto di locazione, contratti di lavoro e buste paga) prodotta.

Il motivo è fondato nei limiti che si espongono. La pronuncia impugnata non ha svolto, in concreto, sulla base delle allegazioni effettivamente fornite dalla parte ricorrente, l’esame sul grado d’integrazione del ricorrente. A pag. 10 del provvedimento impugnato, all’interno del par. 7.1 la valutazione di tale profilo viene svolta in modo del tutto avulso dalle predette allegazioni e dalla documentazione prodotta, relative alla titolarità di un contratto di locazione e alla produzione di contratto di lavoro e buste paga, recanti retribuzioni superiori al cd. assegno sociale cui si fa riferimento nella pronuncia. Ne consegue che le argomentazioni poste a base del difetto d’integrazione non sono pertinenti al caso di specie e non si fondano sulle allegazioni e produzioni in atti, regolarmente e tempestivamente ridepositate in questo giudizio, rispetto alle quali manca qualsiasi confronto nella pronuncia impugnata. Deve pertanto ritenersi integrato sia il vizio dell’omesso esame dei fatti decisivi, da valutare in sede di giudizio sull’integrazione, quali quelli allegati, sia quello relativo alla motivazione del tutto perplessa, non essendo rinvenibile una corrispondenza logica tra la prospettazione astratta dell’insufficienza degli elementi d’integrazione valutati e quelli effettivamente allegati.

In mancanza di esame dell’effettivo grado d’integrazione, la valutazione comparativa soffre della mancanza di uno degli elementi da valutare e si risolve anch’essa in un confronto astratto e non riconducibile al caso di specie. Alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 4455 del 2018 e S.U. 29450 del 2019), all’allegazione della parte relativa alla situazione attuale in Italia ed a quella che conseguirebbe al rientro, deve seguire un’indagine officiosa specificamente rivolta a verificare se, nel paese di origine, la situazione nella quale verrebbe a trovarsi il ricorrente, in relazione alla sua complessiva condizione soggettiva ed oggettiva, (età, salute, radici relazionali e parentali, condizione personale, appartenenza ad un gruppo sociale, grado d’integrazione sociale e lavorativa raggiunta, etc.) sia idonea a determinare non un mero peggioramento della migliore condizione di vita goduta nel nostro paese, ma una compressione radicale dei diritti umani correlati al profilo del richiedente, che lo privi della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il rispetto della dignità personale.

Ove l’integrazione sia lavorativa e sociale il giudizio prognostico deve riguardare questo specifico profilo, dovendosi verificare se vi sia una situazione, dettata da ragioni d’instabilità politica od altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente e di conseguente impossibilità, sempre in relazione alla situazione in cui versa la parte, di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere, anche in questa ipotesi, configurabile, la violazione dei diritti umani al di sotto del loro nucleo essenziale.

All’accoglimento del motivo segue la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio della causa al Tribunale di Ancona in diversa composizione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili il primo e secondo motivo. Accoglie il terzo. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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