Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12958 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12958 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 24529 — 2008 R.G. proposto da:
TARONDO SERGIO – c.f. TRNSRG37R23D286P – e BRAMATI FIORELLA – c.f.
BRMFLL39S60F704R – elettivamente domiciliati in Roma, al viale Vaticano, n. 46, presso lo
studio dell’avvocato Mauro Rufini che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale a
margine del ricorso.
RICORRENTI
contro
DI PIETRO CLAUDIO – c.f. DPTCLD52P221690Z – elettivamente domiciliato in Roma, al
viale Mazzini, n. 11, presso lo studio dell’avvocato Renato Tobia che unitamente all’avvocato
Antonio Labombarda li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al
controricorso.
CONTRORICORRENTE
Avverso la sentenza n. 1488 dei 13.5/22.5.2008 della corte d’appello di Milano,

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Data pubblicazione: 09/06/2014

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 27 marzo 2014 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Mauro Rufini per i ricorrenti,
Udito l’avvocato Renato Tobia per il controricorrente,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Rosario Russo,

altri,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto in data 2.12.1995 Sergio Tarondo e Fiorella Bramati citavano a comparire
innanzi al tribunale di Monza Claudio Di Pietro.
Esponevano che con atti del 5.12.1968 e del 6.2.1970 avevano acquistato da Alfonso
Bramati la proprietà di due immobili costruiti dal venditore su di un terreno riportato nel
N.C.T. del comune di Monza al fol. 63, part. 169; che Alfonso Bramati aveva acquistato il
terreno, all’epoca distinto con la part. 72531z, con atto del 27.7.1962 da Mario Sirtori previo
frazionamento dell’originaria part. 7253; che in tal ultimo atto si “prevedeva la realizzazione,
sul lato ovest, di una strada privata.., larga sei metri – metà compresa – …, con diritto sulla
stessa di passo pedonale carraio e di sottopasso di condotti” (così ricorso, pagg. 1 – 2), onde
consentire l’accesso, tra l’altro, alla part. 7253/z, poi divenuta part. 169; che nell’anno 1963
Alfonso Bramati aveva provveduto alla realizzazione della strada privata, denominandola via
“Fidia”; che con atto del 30.11.1961, atto ove del pari era contemplata, “sul rispettivo lato est,
la strada privata da realizzarsi della larghezza di sei metri — metà compresa — …” (così

ricorso, pag. 2), Sergio Pagliarini aveva acquistato da Mario Sirtori, previo frazionamento, il
terreno in origine distinto con la part. 72537v, poi divenuta part. 167, del fol. 63, posto di
fronte alla part. 169; che con atto del 12.1.1995 Sergio Pagliarini aveva trasferito a Claudio Di
Pietro, titolare dell’impresa edile “Pitagora”, l’appezzamento acquistato dal Sirtori; che,
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che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, in tal guisa assorbiti gli

medio tempore, “in forza dello spostamento, realizzato nel 1961, verso est dell’asse stradale di
viale Correggio…, la proprietà del Pagliarini aveva subito uno slittamento verso est in
direzione della proprietà Bramati, inglobando di fatto all’interno dei propri confini, i tre metri
(la c.d. “metà compresa”) che l’originario proprietario Sirtori aveva destinato al Paglierini
stesso per la realizzazione della strada privata”

(così ricorso, pagg. 2 — 3); che

Bramati – Tarondo interamente nella propria proprietà” (così ricorso, pag. 3); che, divenuto
proprietario, Claudio Di Pietro aveva intrapreso, nel sottosuolo, la costruzione di talune
autorimesse ed, in superficie, la costruzione di un fabbricato, spingendosi verso la proprietà di
essi attori; che, più esattamente, “i box invadevano la loro proprietà e… la palazzina non
manteneva i metri 6 dal confine previsti dal regolamento edilizio” (così ricorso, pag. 3).
Chiedevano all’adito tribunale di acclarare il confine della loro proprietà siccome
comprendente anche l’intera strada privata, di condannare Claudio Di Pietro alla demolizione
— rimozione a sue spese delle opere realizzate, nel sottosuolo, nell’esclusiva proprietà di essi
attori ed, in superficie, a distanza inferiore a sei metri dal confine, di dichiarare l’intervenuta
estinzione per prescrizione della servitù di passaggio pedonale e carraio e di sottopasso sulla
strada privata denomina “Fidia”.
Costituitosi, Claudio Di Pietro chiedeva rigettarsi le avverse domande ed accertarsi il
confine est della sua proprietà “come coincidente con l’asse della strada privata Fidia, nella
posizione assunta da quest’ultima in base alle quote risultanti dai tipi planimetrici allegati agli
atti di compravendita” (così ricorso, pag. 7) .
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 156/1999 il tribunale di Monza, alla stregua
del tipo planimetrico sottoscritto dalle parti del rogito Sirtori — Bramati del 27.7.1962,
acclarava che la proprietà degli attori si estendeva sino alla linea di mezzeria di via “Fidia” e
respingeva le domande tutte da costoro proposte.

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conseguentemente “la strada privata (poi denominata via Fidia) veniva realizzata dal frontista

Interponevano appello gli attori soccombenti.
Riproponevano le precedenti istanze e deducevano, in subordine, di aver usucapito l’intera
porzione di terreno ove correva la strada privata “Fidia”.
Si costituiva e resisteva l’originario convenuto.
Con sentenza n. 1668/2001 la corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile ex art.
345 c.p.c. la domanda di usucapione e rigettava l’esperito gravame.
Gli appellanti spiegavano ricorso a questa Corte di legittimità.
Con sentenza n. 9499/2005 questa Corte disattendeva i primi due motivi, accoglieva il
terzo, reputava assorbiti il quarto ed il quinto; segnatamente rilevava che la domanda volta a
conseguire la declaratoria di acquisto per usucapione del diritto di proprietà, giacché afferente
ad un diritto “autodeterminato”, non era da considerare nuova.
Sergio Tarondo e Fiorella Bramati riassumevano il giudizio in sede di rinvio dinanzi alla
corte d’appello di Milano.
Si costituiva e resisteva Claudio Di Pietro
Con sentenza n. 1488 dei 13.5/22.5.2008 la corte d’appello di Milano respingeva le
domande esperite dal Tarondo e dalla Bramati e li condannava a rimborsare a controparte le
spese del giudizio d’appello, di cassazione e di rinvio.
A fondamento della statuizione il giudice del rinvio esplicitava, tra l’altro, che Alfonso
Bramati aveva, nel 1963, realizzato a sua cura e spese la strada privata “Fidia” utilizzando pur
una porzione della particella n. 167, poi divenuta di proprietà del Di Pietro; che, nondimeno,
“non può ritenersi pienamente provato che il Bramati agisse in buona fede e con l’animo di
proprietario anche di tale striscia, in quanto nell’atto 27.7.1962 si specificava che i beni
acquistati confinavano ad ovest con la e l’acquirente aveva sottoscritto il tipo planimetrico che indicava il confine ovest
della proprietà nella mezzeria della futura strada” (così sentenza impugnata, pag. 14); che
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”anche la realizzazione della strada è atto non univoco…, e l’averla costruita anche sull’altra
metà può essere ascritto a ragioni tecniche.., o ad altre ragioni diverse dall’animus rem sibi
habendi” (così sentenza impugnata, pag. 14); che le prove orali invocate dagli originari attori
non miravano in alcun modo a fornir dimostrazione di atti o comportamenti diretti “ad
escludere o a limitare il transito nei confronti degli altri aventi diritto e in particolare del

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso Sergio Tarondo e Fiorella Bramati,
chiedendone, sulla sorta di tre motivi, la cassazione; con ogni conseguente statuizione in
ordine alle spese di lite.
Claudio Di Pietro ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso, con
il favore delle spese del giudizio di legittimità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, 10 co., n. 3) e n. 4),
c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli arti. 99, 112, 115, 336 e 384 c.p.c. e degli artt.
1140, 1158, 1159 e 2907 c.c.; in relazione all’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c., il vizio di omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
All’uopo e peraltro adducono che il giudice del rinvio ha “erroneamente ritenuto le
deduzioni istruttorie fondate su circostanze nuove e quindi inammissibili, con ciò
contraddicendo quanto affermato dalla Cassazione” (così ricorso, pag. 19); che la mancata
ammissione dei mezzi istruttori si è tradotta in un vizio di motivazione della sentenza, giacché
loro tramite si ambiva “a dimostrare la ricorrenza di tutti i presupposti… decisivi per ottenere
una pronuncia di titolarità del diritto di proprietà sulla strada de qua” (così ricorso, pag. 20).
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c.,
il vizio di omessa e insufficiente motivazione in ordine alla domanda di demolizione per

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Paglierini e poi del Di Pietro” (così sentenza impugnata, pag. 15).

mancato rispetto delle distanze legali e di intervenuta estinzione per prescrizione della servitù
di passaggio.
All’uopo adducono che al riguardo la “motivazione della sentenza di rinvio.., si è limitata
a riprodurre le stesse statuizioni della sentenza d’appello cassata, senza articolare un proprio,
logico e coerente sviluppo logico — normativo che facesse buon governo della sentenza di

declaratoria di estinzione per prescrizione della servitù, la decisione del giudice del rinvio
“parte dal presupposto errato della novità delle richieste probatorie… ritenendole
preliminarmente inammissibili” (così ricorso, pag. 27).
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 385, 91 e 92 c.p.c.; in relazione all’art. 360, 1° co.,
n. 5), c.p.c., il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
All’uopo adducono che il giudice del rinvio “ha condannato i resistenti a rimborsare al Di
Pietro le spese di appello, cassazione e giudizio di rinvio” (così ricorso, pag. 28); che
nondimeno il giudice del rinvio non è esonerato “dall’obbligo di motivazione in ordine al
quantum ed al modus della ripartizione delle spese in relazione a quella fase o grado del
giudizio, nel quale il soccombente finale è risultato parzialmente o totalmente vittorioso, a
causa di errores in procedendo o in judicando commessi dal Giudice del merito, che lo hanno
visto costretto a impugnare la relativa decisione” (così ricorso, pag. 28).
Si reputa opportuno attendere alla disamina congiunta del primo e del secondo motivo di
ricorso.
Entrambi in ogni caso non meritano seguito.
Non possono che ribadirsi, ovviamente, i principi secondo cui la proprietà e gli altri diritti
reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti “autodeterminati”; secondo cui,
conseguentemente, nelle azioni ad essi relative la causa petendi si identifica con i diritti stessi
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annullamento” (così ricorso, pagg. 26 – 27); che, segnatamente, in ordine all’invocata

e non con il titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione, etc.) che ne costituisce la
fonte, la cui deduzione non ha la funzione di specificazione della domanda, ma è necessaria ai
soli fini della prova; secondo cui, ulteriormente, non dà luogo alla proposizione di una
domanda nuova in appello, preclusa dall’art. 345 c.p.c., la deduzione da parte dell’attore in
rivendicazione di avere acquistato la proprietà del bene controverso per usucapione (cfr. Cass.

Gli insegnamenti testé reiterati, tuttavia, non implicano che, limitatamente ai diritti
“autodeterminati”, si possa portar deroga al sistema delle preclusioni che regola
l’ammissibilità della prova in grado di appello, ammissibilità che resta comunque assoggettata
alla disciplina dell’art. 345 c.p.c., ove è vietata l’ammissione di nuovi mezzi di prova, salva la
valutazione, da parte del giudice, dell’eventuale indispensabilità degli stessi o dell’esistenza
delle condizioni per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella decadenza
relativa alla formulazione delle necessarie istanze istruttorie (cfr. Cass. 23.12.2010, n. 26009).
Alla luce di tale rilievo si dimostrano, da un lato, del tutto corrette le affermazioni di
inanunissibilità, quali operate dal giudice del rinvio, dei capitoli di prova di cui all’atto di
appello in data 20.5.1999 poi richiamati nell’atto di riassunzione del giudizio (cfr. sentenza

impugnata pagg. 15 e 17), dall’altro, del tutto ingiustificate la prospettazione dei ricorrenti reiterata e per il primo e per il secondo motivo di ricorso – secondo cui la corte milanese “non
avrebbe potuto motivare il rigetto della domanda.., sulla inammissibilità per novità delle
richieste istruttorie” (così ricorso, pag. 19) ed il corollario dell’asserito difetto di motivazione
che i medesimi Sergio Tarondo e Fiorella Bramati hanno inteso trarre.
E ciò tanto più, a tal ultimo riguardo, che la corte distrettuale ha puntualizzato che, in
ogni caso, quanto ai capitoli richiamati nell’atto di riassunzione, solo il capitolo n. 5 “sarebbe
pertinente, ma il suo tenore, e il tenore della fotografia sub doc. 13, depongono per la sua

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10.10.1997, n. 9851).

totale irrilevanza, concernendo una pretesa in ferro di due metri posta non sulla
strada privata.., quindi del tutto defilata” (così sentenza impugnata, pag. 15)
E’ innegabile, d’altro canto, che i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono
connotarsi, a pena di inammissibilità, alla stregua dei requisiti della specificità, completezza e
riferibilità alla decisione impugnata (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952).

incongruo il giudice del rinvio avrebbe incentrato “il proprio ragionamento sulla sussistenza o
meno del requisito della buona fede e del titolo idoneo, come se fosse chiamata a decidere su
una domanda di usucapione decennale” (così ricorso, pagg. 22 e 23; da tale assunto i

ricorrenti traggono il corollario secondo cui la corte sarebbe incorsa nella violazione del
principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato), per nulla si correla alla ratio
decidendi.
La corte milanese, al di là del riferimento alla buona fede, ha categoricamente escluso

(siccome emerge dai passaggi salienti della motivazione in precedenza riprodotti) che
Alfonso Bramati, dapprima, ed i ricorrenti dipoi (i “signori Tarondo/Bramati… proseguirono

la relazione di fatto con la porzione in parola con le medesime caratteristiche oggettive e
soggettive, positive e negative, del loro dante causa”: così sentenza impugnata, pag. 15),
abbiano agito con l’ animus rem sibi habendi. E, disconosciuto qualsivoglia fondamento alla
domanda di usucapione, ha più che coerentemente, con motivazione esaustiva ex se, denegato
ogni seguito alla domanda di demolizione spiegata dagli originari attori, “in quanto
pacificamente il Di Pietro, nel sottosuolo, ha realizzato dei box senza invadere la proprietà dei
signori Tarondo/Bramati, spingendosi legittimamente fino alla mezzeria della stessa…, in
superficie, ha edificato la palazzina a distanza dal confine con il mappale 169… superiore ai
mt 6 previsti dal piano regolatore” (così sentenza impugnata, pagg. 16— 17).

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Su tale scorta si rimarca che l’assunto dei ricorrenti, secondo cui in modo del tutto

E’ innegabile, d’altronde, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non è
tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le
argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle
vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo
convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni,

Cass. 10.5.2000, n. 6023).
Su tale scorta si stempera significativamente la valenza della prospettazione di parte
ricorrente secondo cui il giudice del rinvio non avrebbe per nulla tenuto conto del rogito del
12.1.1995, rogito ove alcun riferimento si rinviene al trasferimento della metà della strada
privata “Fidia” dal Pagliarini al Di Pietro.
La corte distrettuale ha viceversa ancorato il suo dictum a motivazione ampia, articolata,
congrua e coerente.
E ciò tanto più che ha avuto cura di puntualizzare che dalla medesima allegazione
documentale dei ricorrenti è dato evincere un elemento di valutazione eloquentemente
contrario alla loro prospettazione.
La corte, invero, ha precisato che “fin da quando fu completata la costruzione da parte del
Bramati della casa iniziata nel 1963, il Bramati stesso provvide a recingere la sua proprietà
collocando la recinzione in fregio al ciglio est della strada privata quindi escludendo la stessa
dal suo diretto dominio, inibendosi così di goderne in modo pregnante ed esclusivo” (così

sentenza impugnata, pag. 15).
E’ indubitabile, per altro verso, che la servitù di passaggio non è servitù negativa, di
guisa che, ai fini della decorrenza del termine di sua prescrizione, nel segno della prima parte
del 2° co. dell’art. 1073 c.c., rileva il mero fatto della cessazione del suo esercizio.

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implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr.

Sicché l’affermazione del giudice del rinvio, secondo cui, in relazione all’invocata
declaratoria di estinzione per prescrizione della servitù di passaggio, i capitoli di prova “non
risultano idonei a suffragare la domanda, in quanto, per affermare la prescrizione di una
servitù di passaggio, non è sufficiente dimostrare il non uso da parte degli aventi diritto, ma
occorre provare che si verificò un fatto o fu compiuto un atto impeditivo dell’esercizio” (così

Nondimeno la corte milanese ha affermato che, “nella fattispecie, è pacifico che alla strada
privata si accedeva e si accede liberamente da nord a sud e nei capitoli non si deduce che il
Bramati o i signori Tarondo/Bramati abbiano apposto sbarramenti, cancelli o formulato divieti
con cartelli o altro” (così sentenza impugnata, pag. 17).
Ebbene, alla luce di tal ultime pregnanti ed univoche risultanze questa Corte di legittimità
reputa — ed in tal guisa si avvale della prerogativa che l’ult. co. dell’art. 384 c.p.c. le accorda —
che possa correttamente presumersi che l’avente diritto non abbia per nulla cessato di
esercitare ed utilizzare la servitù il passaggio (cfr. Cass. 5.7.1990, n. 7084, secondo cui nella

prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e
quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente
che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente
possibile, secondo un criterio di normalità).
Inammissibile è il terzo motivo di ricorso.
La corte distrettuale ha condannato i ricorrenti a rifondere a controparte le spese del
giudizio di appello, di cassazione e di rinvio in aderenza al criterio di cui alla prima parte del
l° co. dell’art. 91 c.p.c. (“il giudice… condanna la parte soccombente…’).
In questi termini è sufficiente il rinvio all’insegnamento di questo giudice del diritto,
secondo cui è insindacabile in sede di legittimità la statuizione sulle spese adottata dal giudice
di merito, ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, le abbia poste a carico del
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sentenza impugnata, pag. 17), non è a rigore corretta, secundum ius.

soccombente, anche disattendendo l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione (cfr.
Cass. 10.6.1997, n. 51 74) .
Il rigetto del ricorso giustifica la solidale condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente
le spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

PER QUESTI MOTIVI

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