Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12954 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12954 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

proprietà

sul ricorso proposto da:
LAUTERI Antonio (LTR NTN 44A02 E207M), rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dagli
Avvocati Francesco Troiani e Gaetano Troiani, elettivamente domiciliato in Roma, via Costantino Morin n. 45, presso
lo studio dell’Avvocato Alessandra Piana;
– ricorrente contro
CLEMENTI Elvira, rappresentata e difesa, per procura a
margine del controricorso, dall’Avvocato Sergio gabrielli,
elettivamente domiciliata in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina n. 47, presso lo studio dell’Avvocato Filippo
Lattanzi;

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Data pubblicazione: 09/06/2014

- controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 71
del 2008, depositata in data 2 febbraio 2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati Maria Troiani, per delega, e Sergio Gabrielli;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Lucio Capasso, che ha chiesto il rigetto
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Lauteri Antonio citava in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Fermo, Clementi Elvira, seconda moglie del padre
Lauteri Aldo, deceduto il 29 settembre 1999, alla quale
quest’ultimo aveva in vita trasferito, mediante vari atti
pubblici di compravendita, le distinte porzioni di un edificio in Grottammare, costruito su un area ricevuta in eredità dalla prima moglie Bruni Bruna, previa demolizione
del preesistente fabbricato.
L’attore precisava che, mediante i predetti atti pubblici (rogito Alleva dell’il febbraio 1961, rogito Marconi
del 25 luglio 1983 e rogito Farina dell’8 luglio 1997), la
Clementi si era trovata, alla morte del marito, proprietaria dell’intero malgrado non avesse contribuito in alcun

udienza dell’il febbraio 2014 dal Consigliere relatore

modo alle spese di costruzione e ristrutturazione, effettuate invece con i proventi lavorativi suoi e del padre.
Aggiungeva inoltre l’esponente che il padre gli aveva trasferito in permuta, come attestato dalla scrittura privata

ricompresa nella successiva vendita alla convenuta (rogito
Farina). Infine l’attore affermava che la convenuta, in
forza di procura generale, dal 1987 al 1998 aveva gestito
il proprio conto corrente bancario, sul quale confluivano
i suoi stipendi, e tale conto avrebbe dovuto presentare un
saldo attivo di lire 80 milioni, non rinvenuti.
Su tali premesse il Lauteri proponeva azione di rivendica relativamente alle porzioni immobiliari oggetto della
predetta scrittura privata di permuta, con connessa richiesta di corresponsione del corrispettivo del godimento,
nonché, previa dichiarazione di simulazione relativa delle
predette compravendite, azione di reintegrazione della sua
quota di legittima ex artt. 553 e seguenti cod. civ., di
collazione ex art. 737 cod. civ., e di divisione del compendio ereditario con riconoscimento dei suoi diritti in
merito, nella misura indicata dagli artt. 537 e 566 cod.
civ., oltre che azione di restituzione della somma di lire
80 milioni.
Costituitosi il contraddittorio, l’adito Tribunale,
con sentenza non definitiva del 28 agosto 2002, accoglieva

prodotta in giudizio, una porzione dell’immobile, tuttavia

parzialmente la domanda attribuendo all’attore 1/3
dell’immobile, in quanto, sebbene la scrittura privata
prodotta non potesse prevalere sull’atto pubblico successivo trascritto nei registri immobiliari, l’assenza di

l’assenza di reddito autonomo dell’acquirente deponevano
per il carattere simulato delle varie vendite, dissimulanti altrettante donazioni, e dunque all’attore andava riconosciuta quantomeno la sua quota di legittima (ex art.
542, primo comma, cod. civ.).
Il Tribunale respingeva poi le restanti domande, ritenendo infondata l’ulteriore pretesa di restituzione del
saldo attivo del conto bancario gestito dalla convenuta e
delle altre somme, trattandosi di “amministrazione dei beni familiari effettuata con il consenso degli interessati”, e infine compensava per metà le spese di lite, ponendone l’altra metà a carico della convenuta.
Contro questa decisione proponeva appello Elvira Clementi sostenendo che le presunzioni sulla base delle quali
era stata ritenuta la simulazione della donazione mancavano di gravità precisione e concordanza, e dunque non legittimavano la decisione.
Antonio Lauteri resisteva al gravame e proponeva a sua
volta appello incidentale, sostenendo sia la fondatezza
della propria domanda di rivendica, sia l’esistenza del

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giustificazione economica dei vari trasferimenti e

proprio diritto all’eredità ex artt. 537 e 566 cod. civ.,
non potendosi rinvenire nelle simulate donazioni una volontà testamentaria del defunto di lasciare la disponibile
a favore della donataria sottraendola al compendio eredi-

predetto conto bancario in quanto esso nulla aveva a che
fare con la gestione familiare. Lamentava inoltre che era
stata omessa ogni decisione sull’obbligo della Clementi di
pagare il corrispettivo del godimento dell’immobile
dall’apertura della successione.
Con sentenza del 24 gennaio 2008, n. 71, la Corte di
appello di Ancona accoglieva l’impugnazione della Clementi
respingendo quella incidentale del Lauteri, in quanto: a)
la domanda di rivendica dei beni non poteva essere accolta
perché la pretesa vantata dal Lauteri su di essi non era
stata trascritta e non poteva perciò essere opposta alla
controparte che invece aveva trascritto il proprio titolo;
b) il rogito ~coni del 4 gennaio 1985 era intercorso tra
la Clementi e terzi, e ad esso il de culus era rimasto estraneo, sicché esulava dall’ambito degli atti di donazione simulati che quest’ultimo avrebbe posto in essere; c)
le presunzioni utilizzate dal Tribunale per dichiarare la
simulazione degli atti non avevano effettivamente sufficiente carattere di gravità precisione e concordanza, avendo trascurato anzi gli elementi presuntivi che la e-

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tario, sia il proprio diritto al rimborso del denaro sul

scludevano; d) la richiesta del rendiconto della gestione
del conto corrente non era ammissibile in quanto non motivata.
Avverso tale sentenza Lauteri Antonio ha proposto ri-

ti Elvira resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2644 e
948 cod. civ., regolanti, rispettivamente, gli effetti
della trascrizione e l’azione di rivendicazione. La Corte
d’Appello, a detta del ricorrente, avrebbe errato nel risolvere il conflitto tra i due acquirenti dal medesimo
dante causa, ritenendo non opponibile alla Clementi la
scrittura privata di permuta con la quale si attribuivano
ad Antonio Lauteri le stesse unità immobiliari che sarebbero in seguito state trasferite alla prima con rogito notarile trascritto, sulla base del primo comma dell’art.
2644 cod. civ., a norma del quale gli atti soggetti a trascrizione non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo abbiano acquistato diritti sugli immobili in
base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione
degli atti medesimi.
L’errore, a detta del ricorrente, sarebbe da ricercarsi nel fatto che, avendo preso parte allo stesso contratto

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corso per cassazione sulla base di quattro motivi. Clemen-

di permuta, la Clementi non avrebbe dovuto essere considerata “terza”, ai sensi del primo comma del citato art.
2644 cod. civ.
1.1. Il motivo è infondato, in quanto la Corte

l’art. 2644 cod. civ., e il ragionamento dalla stessa effettuato appare anzi logico e compiutamente motivato.
Invero, posto che la Corte d’appello ha ritenuto provato che il de cuius ebbe a perfezionare un doppio trasferimento della proprietà del medesimo bene – circostanza,
questa, riconosciuta espressamente dallo stesso ricorrente
– correttamente la medesima Corte ha fatto applicazione
del rimedio che l’ordinamento espressamente appresta per
la risoluzione dei conflitti tra più acquirenti dallo
stesso dante causa rispetto al medesimo bene immobile: ovvero il primato dell’acquisto trascritto per primo, in base al principio prior in tempore potior in iure,

contenuto

nell’art. 2644 cod. civ.
Nel caso di specie, poiché la convenuta ha provveduto
a trascrivere il proprio titolo d’acquisto da parte del de
cuius,

mentre lo stesso attore, pur vantando un atto

d’acquisto anteriore nel tempo (su ammissione delle parti,
in quanto in effetti non datato), non aveva mai provveduto
alla trascrizione dello stesso, altra soluzione al contra-

d’Appello non ha violato né erroneamente interpretato

sto tra titoli non poteva essere data che quella adottata
dalla Corte d’appello.
Il primo motivo è dunque infondato.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta viola-

in relazione agli artt. 1414 e 769 cod. civ., concernenti
rispettivamente gli effetti della simulazione e la donazione. Il ricorrente critica la decisione nel merito della
Corte d’Appello, sostenendo che, le vendite relative agli
immobili in questione da parte del defunto padre alla Clementi, dissimulassero in realtà altrettante donazioni, e
che il giudice avrebbe erroneamente valutato gli elementi
probatori a sua disposizione.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che al ricorso in esame è applicabile, ratione temporis, l’art. 366-bis cod. proc. civ. (abrogato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, con effetto per i ricorsi
proposti avverso provvedimenti depositati dopo il 4 luglio
2009), il quale, nella formulazione dei motivi richiedeva,
a pena di inammissibilità, la formulazione di un quesito
di diritto, il ricorrente chiede alla Corte di «dichiarare
se nel caso ricorreva la donazione indiretta del Lauteri
Antonio alla moglie e se il giudice d’appello nel non rilevarlo ha omesso l’esame su un punto decisivo e ha errato
nell’applicazione di norme di diritto, art. 360, 1 0 comma

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zione e falsa applicazione, nonché vizio di motivazione,

n. 3 e n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1414 e 769

Il quesito di diritto, così come formulato nel ricorso, si risolve di fatto in un mero interpello in ordine

svolgimento del motivo, in contrasto con il principio espresso in diverse pronunce dalla giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui, «ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc.
civ., il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e
l’enunciazione del principio giuridico generale – non può
essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato
nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado
di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una
semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel
mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così
come illustrata nello svolgimento del motivo» (Cass. n.
3530 del 2012).
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione, essendo del tutto carente
la indicazione del fatto controverso e la esposizione del-

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alla fondatezza della censura così come illustrata nello

le ragioni per le quali si ritiene che la motivazione della sentenza impugnata sia omessa. In realtà, la censura in
esame sotto il profilo del vizio di motivazione, si risolve nella richiesta di rivalutazione delle risultanze docu-

scrittura senza data riportata a pag. 6), adeguatamente
considerate e apprezzate dalla Corte d’appello, senza che
il ricorrente evidenzi vizi logici, incongruenze o lacune
nelle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata
3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denuncia «violazione dell’art. 360, l ° comma n. 5
c.p.c. insufficiente ed inadeguata motivazione della sentenza in relazione agli artt. 1414, 769, 2729 c.c.», è inammissibile, in quanto totalmente privo del quesito di
sintesi richiesto dall’art. 366-bis, secondo comma, cod.
proc. civ. Manca, infatti, un’espressa indicazione di sintesi, in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, la quale ha puntualizzato che è da ritenersi
inammissibile, alla stregua del secondo comma dell’art.
366-bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ., la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale

mentali, peraltro non trascritte (ad eccezione della

impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo
specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza ri-

In realtà, la doglianza che il ricorrente prospetta si
risolve di fatto in una inammissibile censura della valutazione che il giudice d’appello ha compiuto in merito agli elementi probatori sottopostigli, compito che non
rientra tra le competenze di questa Corte. Invero, «il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità
non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra
le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti
ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno
o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge» (Cass. n. 27197 del
2011; Cass. n. 24679 del 2013).

spetto alla decisione (Cass. n. 12514 del 2013).

4. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 566,
581, 601, 737 cod. civ., sostanzialmente dolendosi della
erronea interpretazione di tali norme da parte del giudice

proprietà degli immobili in questione solo per quanto corrispondente alla quota di legittima, ravvisando nelle donazioni simulate la volontà del de cuius di voler attribuire la quota disponibile alla moglie.
A conclusione del motivo il ricorrente formula il seguente quesito di diritto. «Si chiede alla Corte di dire
se a norma degli artt. 566, 581, 601 e 737 c.c. in mancanza di disposizione testamentaria ed impugnati per simulazione di donazione atti compiuti dal de cuius e quindi
chiestane la collazione nel compendio ereditario si possa
ordinarla soltanto nei limiti della quota di legittima pur
se il legittimario ha chiesto anche la quota ereditaria ex
art. 566 c.c. dovendosi ritenere che la disponibile va attribuita al donatario come volontà testamentaria del de
cuius espressa con la donazione».
4.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, la Corte d’appello ha ritenuto infondati il
primo e il quarto motivo di appello incidentale, con i
quali il Lauteri chiedeva, rispettivamente, di essere ritenuto titolare della quota ereditaria pari alla metà e

di merito, avendo la Corte d’appello riconosciutogli la

non solo ad un terzo dell’edificio oggetto di causa, e lamentava l’omessa pronuncia del Tribunale sulla domanda di
condanna della Clementi al pagamento del corrispettivo del
godimento esclusivo dell’intero immobile a far data

fatto per effetto della reiezione delle domande di accertamento della simulazione delle vendite, rilevando che le
domande del Lauteri avevano tutte come presupposto indefettibile l’esistenza di atti di donazione dissimulati,
suscettibili di riduzione per lesione della quota di legittima, sicché la infondatezza delle stesse discendeva
dalla infondatezza del loro presupposto.
Orbene, la medesima situazione si rinviene in questa
sede, in quanto, una volta dichiarati inammissibili i motivi di ricorso aventi ad oggetto la pretesa dissimulazione delle donazioni, viene meno il presupposto perché possa
essere esaminato il quarto motivo, che postula
l’accoglimento delle censure concernenti, appunto, la pretesa dissimulazione delle donazioni.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato,
con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione
del principio della soccombenza, al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

dall’apertura della successione di Aldo Lauteri. E ciò ha

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.000,00 per compensi, oltre ad
euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge.

Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione,
in data 11 febbraio 2014.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

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