Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12945 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/05/2017, (ud. 01/03/2017, dep.23/05/2017),  n. 12945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15666/2013 R.G. proposto da:

G.V.S.M.A. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente

domiciliata in Roma, alla Via Locchi, n. 6, presso lo studio

dell’avvocato Giancarlo Pizzi che congiuntamente e disgiuntamente

agli avvocati Bruno Finzi, Paolo Finzi e Aldo Finzi la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.A. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente

domiciliata in Biella, alla via Orfanotrofio, n. 20, presso lo

studio dell’avvocato Enrica Ramella Valet, che la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e

EQUITALIA SESTRI s.p.a. – Concessionaria del Servizio di Riscossione

dei Tributi per la Provincia di Vercelli;

– intimata –

avverso la sentenza n. 86/2013 della corte d’appello di Torino;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 1 marzo 2017 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato in data 5.5.2006 D.M.A., comproprietaria per la quota di 9/10 dell’immobile in (OMISSIS), citava a comparire innanzi al tribunale di Biella, G.V.S.M.A., comproprietaria della residua quota del medesimo cespite, ed “Equitalia Sestri” s.p.a., titolare di ipoteca iscritta, nei limiti della quota di 1/10, sul cespite dividendo.

Chiedeva che si facesse luogo allo scioglimento della comunione con attribuzione ad ella istante della proprietà dell’intero immobile e con determinazione della somma dovuta a conguaglio alla convenuta.

Si costituiva G.V.S.M.A..

Chiedeva, in via riconvenzionale, dichiararsi l’intervenuto acquisto per usucapione da parte sua dell’integrale proprietà dei due vani adibiti a ripostiglio posti al terzo piano dell’immobile; altresì, individuato esattamente il compendio da dividere, farsi luogo allo scioglimento della comunione con assegnazione a ciascun condividente di porzione proporzionale alla rispettiva quota.

Si costituiva “Equitalia Sestri” s.p.a..

Disposta c.t.u., l’ausiliario concludeva per la divisibilità in natura del cespite. Con sentenza n. 573/2009 il tribunale adito, reietta ogni altra domanda, faceva luogo allo scioglimento della comunione come da c.t.u..

Avverso tale sentenza proponeva appello D.M.A..

Resisteva G.V.; proponeva appello incidentale.

Si costituiva “Equitalia Sestri” s.p.a..

Con sentenza n. 86/2013 la corte d’appello di Torino accoglieva il gravame principale, rigettava il gravame incidentale e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, in ogni altra parte confermata, attribuiva la proprietà dell’intero immobile alla principale appellante ed al contempo le faceva onere di versare all’appellata la somma di Euro 10.200,00, quale valore della quota di 1/10 a costei spettante; compensava integralmente le spese del grado.

Esplicitava la corte che doveva opinarsi per la non comoda divisibilità dell’immobile in dipendenza del difetto di autonomia funzionale dei due lotti prefigurati dal consulente d’ufficio, “essendo entrambi serviti dalla stessa scala interna che si diparte dal piano terra restando all’interno del lotto A assegnato alla D.” (così sentenza d’appello, pag. 11).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso G.V.S.M.A.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

D.M.A. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

“Equitalia Sestri” s.p.a. non ha svolto difese.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 718 e 720 c.c., ed in particolare l’erronea interpretazione del criterio della “non comoda divisibilità”.

Deduce che la non comoda divisibilità si configura unicamente allorchè sia stata “rigorosamente accertata – sotto l’aspetto strutturale – l’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento” (così ricorso, pag. 12); che la corte di merito ha recepito acriticamente le conclusioni del consulente tecnico di parte avversa.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte distrettuale per nulla ha preso in considerazione le ulteriori possibilità di comoda divisione dell’immobile all’uopo prefigurate; che pertanto gli assunti della corte territoriale, circa l’invivibilità ed il sicuro deprezzamento, si dimostrano del tutto ingiustificati.

Deduce inoltre che non vi è alcuna necessità di costituire una servitù di passaggio, giacchè il diritto di utilizzare la scala interna le deriverebbe dall’operatività dell’art. 1117 c.c..

Si premette che pur il primo motivo si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condividono quindi le prospettazioni della controricorrente secondo cui “le lagnanze della ricorrente (…) non sembrano concernere l’eventuale errata interpretazione (…) del concetto di non comoda divisibilità, quanto piuttosto (…) una pretesa erronea interpretazione dello stato di fatto dell’immobile (…). Le censure avversarie, oltre ad essere del tutto infondate, riguardano (…) aspetti esclusivamente fattuali”: così controricorso, pag. 4).

Occorre tener conto, da un lato, che G.V.S.M.A., pur con tale mezzo di impugnazione, censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte di Torino ha atteso (“dall’esame dell’elaborato peritale emerge (…) a chiare lettere la possibilità di formare 2 lotti, in considerazione della consistenza del fabbricato e delle quote di spettanza”: così ricorso, pag. 12).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499, secondo cui l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione).

Si giustifica dunque la disamina simultanea di ambedue i motivi.

Entrambi i motivi comunque sono destituiti di fondamento.

Si evidenzia previamente che i vizi motivazionali in tal guisa veicolati rilevano nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis al caso di specie (la sentenza della corte d’appello di Torino è stata depositata il 16.1.2013), cosicchè riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

In questi termini si impongono i seguenti rilievi.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (ha specificato, tra l’altro, che andavano recepite le perplessità espresse dal c.t.u., il quale, benchè avesse riconosciuto la possibilità tecnica di suddividere l’immobile in natura, aveva tuttavia, tra l’altro, “avvertito dell’esistenza di una diminuzione di valore rappresentata dalla servitù gravante sulla scala interna, per raggiungere attraverso il lotto A, il lotto 8, posto al secondo ed ultimo piano”: così sentenza d’appello, pag. 8; che al contempo neppure era “possibile creare un accesso autonomo all’unità dell’ultimo piano, senza penalizzare il resto del fabbricato”: così sentenza d’appello, pag. 13).

Per altro verso, che la corte territoriale ha indiscutibilmente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa ovvero la “comoda divisibilità” dell’immobile.

Del resto, la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“dall’esame dell’elaborato peritale emerge infatti a chiare lettere la possibilità di formare 2 lotti”: così ricorso, pag. 12; “per escludere la comoda divisibilità sotto il profilo economico – funzionale invece occorre un notevole deprezzamento del valore delle porzioni rispetto al valore dell’intero. Entrambi questi presupposti non sono stati in alcun modo provati dalla Sig.ra D.”: così ricorso, pag. 12).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Da un canto, che, in tema di scioglimento di una comunione avente ad oggetto un compendio immobiliare, l’accertamento del requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi dell’art. 720 c.c., è riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, coerente e completa (cfr. Cass. 21.5.2003, n. 7961).

Dall’altro, che il concetto di comoda divisibilità di un immobile, a cui fa riferimento l’art. 720 c.c., postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico – funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso (cfr. Cass. 30.7.2004, n. 14540).

In quest’ottica l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

E ciò viepiù se si tiene conto che la controricorrente ha rimarcato che “nè in primo grado, nè tantomeno nel giudizio di appello, sono state discusse tra le parti soluzioni divisionali diverse e alternative a quella cui ha fatto cenno il c.t.u. del Tribunale di Biella” (così controricorso, pag. 6); che “anche l’indicazione di ulteriori possibili soluzioni divisionali, che sarebbero state individuate da un nuovo tecnico della Sig.ra G.” (così controricorso, pag. 6), non è mai stata accennata “dalla stessa nemmeno lontanamente (…) nei due precedenti gradi di giudizio” (così controricorso, pag. 7).

I corrispondenti profili del ricorso pertanto sono a rigore inammissibili in quanto nuovi.

In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata alle spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

“Equitalia Sestri” s.p.a., non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso perciò nessuna statuizione va nei suoi confronti assunta circa le spese.

Si dà atto che il ricorso è stato spedito per la notifica in data 13.6.2013.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, G.V.S.M.A., a rimborsare alla controricorrente, D.M.A., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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