Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12944 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/05/2017, (ud. 23/02/2017, dep.23/05/2017),  n. 12944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21730-2013 proposto da:

M.P. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI STEFANI’;

contro

L.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

APUANIA 12, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE MUCCIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO COLUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1282/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo e per l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato in data 23 luglio 1993 M.P. esponeva che agli inizi del 1993 aveva commissionato a L.R., titolare della Tipografia A.G.A., la stampa del volume “Rignano – Sensazioni Intime” dell’autore P.R., versando sul corrispettivo pattuito di Lire 15.000.000 un acconto di Lire 5.000.000; lamentava che l’opera era stata realizzata con difetti talmente gravi da renderla completamente inidonea allo scopo a cui era destinata, “… che era quello di propagandare le composizioni dell’autore e raggiungere una più vasta notorietà”.

Tanto premesso, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bari, L.R., chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento della tipografia, con la conseguente condanna di quest’ultima alla restituzione della somma incamerata a titolo di acconto ed al risarcimento del danno da lucro cessante, nella misura di Lire 10.000.000, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Si costituiva in giudizio la convenuta, contestando la fondatezza della domanda e chiedendone il rigetto. Assumeva di avere realizzato l’opera a regola d’arte, conformemente alla bozza corretta dall’editore e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al pagamento della somma di Lire 10.000.000, pari al saldo del corrispettivo concordato, nonchè al risarcimento dei danni.

Istruita la causa, con l’espletamento delle prove orali (interrogatori formali e prove testimoniali) e di una consulenza tecnica d’ufficio, l’adito Tribunale, con sentenza n. 145 del 2008, rigettava la domanda principale e, in accoglimento della spiegata riconvenzionale, condannava il M. al pagamento, in favore della L., della somma di Euro 4.389,88, a titolo di saldo del corrispettivo dovuto.

Avverso tale pronuncia proponeva appello M.P., con atto di citazione notificato il 17 marzo 2009, chiedendo che, in totale riforma dell’impugnata sentenza e previa sospensione dell’efficacia esecutiva della stessa, fosse accolta la domanda, così come proposta con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, con la conseguente condanna della convenuta alla restituzione di quanto eventualmente percepito in forza dell’impugnata sentenza ed alla rifusione delle spere relative al doppio grado di giudizio.

La Corte d’Appello di Bari, con sentenza dell’11.12.2012, ha rigettato l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni: premesso che nel caso di specie doveva trovare applicazione la norma, dettata in tema di appalto, di cui al secondo comma dell’art. 1668 c.c. (espressamente richiamata dall’art. 2226 c.c., comma 3), i vizi riscontrati (alcuni errori di ortografia, la disomogeneità dei caratteri tipografici di qualche nota, la mancanza delle ultime tre parole di una poesia e la insufficiente risoluzione cromatica di alcune riproduzioni fotografiche), ancorchè gravi, non erano tali da compromettere in modo assoluto ed irrimediabile la destinazione dell’opera (libro di poesie); data la funzione essenzialmente divulgativa e pubblicitaria del volume, si trattava di difetti che un normale lettore non avrebbe esitato ad attribuire ad imperizia e superficialità del tipografo, e non certo a carenze dell’editore e, men che mai, dell’autore.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.P., sulla base di due motivi. L.R. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo il ricorrente denuncia la errata interpretazione dell’art. 1168 c.c., (recte, art. 1668), comma 2, e art. 2226 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la corte d’appello considerato che la stampa di un volume di scritti e poesie, essendo un’opera d’arte, si rivolge ad una platea attenta ed esigente, quale quella dei critici d’arte e degli intenditori (con la conseguenza che il profilo finale sarebbe dovuto essere particolarmente qualificato) e le considerazioni finali espresse dal c.t.u., secondo cui “il volume realizzato non poteva pienamente corrispondere alle attese dell’autore”.

1.1. = Il motivo è inammissibile.

Invero, in primo luogo, nessuna effettiva censura sul piano della individuazione o dell’applicazione di una norma di diritto sostanziale è stata formulata, atteso che il ricorrente non ha contestato l’inquadramento giuridico operato dalla Corte locale nel senso di ritenere applicabile l’art. 1668 c.c., comma 2, peraltro richiamato dal terzo comma dell’art. 2226 c.c..

In secondo luogo, essendo stata la sentenza impugnata depositata l’11.12.2012, il ricorrente avrebbe dovuto far riferimento al novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012). Orbene, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

In definitiva, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ciò debitamente premesso, nel caso di specie, a ben vedere, il M. si limita a sollecitare una differente lettura delle risultanze processuali, ivi comprese le conclusioni rassegnate dal c.t.u..

1.1.a) Invero, la Corte barese non ha omesso di considerare che si trattava di un’opera artistica e creativa (qualificandola come raccolta di poesie ed immagini), ma, anzi, proprio sulla base di tale inquadramento, ha escluso (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) che la presenza di alcuni innegabili difformità, per quanto gravi, potesse compromettere in modo assoluto la destinazione dell’opera e la sua funzione essenzialmente divulgativa e pubblicitaria. In tal guisa ragionando, la Corte Territoriale ha fatto corretta applicazione del principio generale, a tenore del quale, ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera, si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa. Pertanto, la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidano in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre, se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dall’art. 1668 c.c., comma 1, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore. A tal fine, la valutazione delle difformità o dei vizi deve avvenire in base a criteri obiettivi, ossia, considerando la destinazione che l’opera riceverebbe dalla generalità delle persone, mentre deve essere compiuta con criteri subiettivi quando la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento siano dedotti in contratto (cfr. Cassazione civile, sez. 6^, 18/05/2012, n. 7942, richiamata dalle parti ed in sentenza). In mancanza della prova che in contratto le parti avessero concordato un determinato rendimento dell’opera, inevitabilmente la valutazione delle difformità doveva avvenire sulla base di criteri obiettivi.

In definitiva, si rivela congrua sul piano logico – formale e corretta dal punto di vista giuridico la valutazione finale espressa dalla Corte d’Appello (cfr. pag. 6 della sentenza), secondo cui “l’opera, nel suo complesso, nonostante la scarsa qualità tipografica dell’edizione, dovuta alla presenza delle accertate anomalie, realizzasse pienamente la sua funzione divulgativa e celebrativa, consentendo tranquillamente di apprezzare, in tutto il loro spessore, le qualità letterarie e la forza poetica dell’autore”.

1.1.b). Senza dire che la sentenza qui impugnata soggiace ratione temporis alla previsione contenuta ora nell’ultimo comma dell’art. 348 – ter c.p.c., a mente della quale “La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 – bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado”. In base al quarto comma, “Quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4)”.

L’art. 348 – ter c.p.c. è stato inserito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv., con modif., in L. 7 agosto 2012, n. 134, e si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso (vale a dire, a decorrere dal 12.8.2012, considerato che, in base alla L. n. 134 del 2012, art. 1, comma 2, “La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”, avvenuta l’11.8.2012 – G.U. n. 187). Pertanto, avendo la corte d’appello confermato in toto la decisione di primo grado, era preclusa qualsiasi censura sul piano della motivazione.

2.= Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la corte locale accolto l’avversa domanda riconvenzionale di condanna al pagamento del residuo prezzo, nonostante la L. non avesse completato il lavoro commissionatole, stante la conclamata ed irrimediabile esistenza dei difetti denunciati, nonchè la mancata consegna delle copie stampate.

2.1.= Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni già esposte nel paragrafo che precede, da intendersi qui richiamate.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato a rimborsare parte controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% ed accessori come per legge, dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Civile Seconda di questa Corte di Cassazione, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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