Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12943 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. I, 26/06/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 26/06/2020), n.12943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34919/2018 proposto da:

O.G., elettivamente domiciliato in Grottammare, via Ischia

I 40, presso lo studio dell’avvocato Cristina Perozzi, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 3/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2019 dal Cons. Dr. GIOVANNI LIBERATI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona ha respinto la richiesta di O.G., nato in Nigeria (Edo State), volta a ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine della protezione sussidiaria e in ulteriore subordine della protezione umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Ancona di cui al provvedimento notificato al ricorrente il 18 gennaio 2018.

Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, a causa della mancata allegazione della partecipazione del ricorrente ad attività politiche, o della sua appartenenza a una minoranza etnica o religiosa oggetto di persecuzione, o della possibile esposizione a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano.

Ha poi escluso la sussistenza dei presupposti anche per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in considerazione della inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, in quanto prive di dettagli su fatti essenziali e determinanti

l’espatrio, oltre che intrinsecamente incoerenti e

contraddittorie. E’ stata esclusa anche l’esistenza di una situazione di grave e individuale minaccia nella zona della Nigeria di provenienza del ricorrente.

Infine, ha escluso anche la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non ravvisando una condizione di elevata vulnerabilità del ricorrente conseguente al suo rimpatrio, non essendo segnalate nel paese di origine compromissioni all’esercizio dei diritti umani, nè aspetti sintomatici di una effettiva e seria integrazione del richiedente nel tessuto socio economico nazionale, non ricavabile dalla sola promessa di un impiego, peraltro condizionata a favorevoli occasioni di mercato e per una retribuzione di 458 Euro mensili, inferiore all’ammontare dell’assegno sociale. E’ stata esclusa anche la rilevanza della presenza in Italia della moglie e del figlio del richiedente.

2. Il ricorrente chiede la cassazione di tale decreto sulla base di tre motivi.

3. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il ricorso è articolato in tre motivi.

4.1. Ha premesso di essere di religione cristiana e di essersi fidanzato con una connazionale di religione musulmana, che era morta a seguito della assunzione di farmaci per provocare l’aborto, che aveva tentato temendo le reazioni dei propri familiari alla notizia della sua relazione con un cristiano; il padre della ragazza aveva quindi dichiarato pubblicamente di volere il ricorrente morto e sepolto con la figlia e aveva iniziato a cercarlo e a minacciarlo di morte, così determinando il suo allontanamento dalla Nigeria, anche per il timore di insufficiente protezione da parte delle locali forze di polizia, notoriamente anticristiane.

Tanto premesso, con un primo motivo si lamenta la mancata traduzione della decisione della Commissione territoriale e della sentenza di appello nella propria lingua.

4.2. In secondo luogo, lamenta l’insufficienza della motivazione riguardo al diniego della protezione sussidiaria, per essere il decreto impugnato mancante della necessaria effettiva considerazione delle condizioni del paese di provenienza del ricorrente.

4.3. Con un terzo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, nonostante la propria condizione di elevata vulnerabilità e la situazione di grave conflittualità esistente in Nigeria.

5. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata traduzione in lingua nota al ricorrente del provvedimento di rigetto della Commissione territoriale e del decreto del Tribunale di Ancona (impropriamente indicato come sentenza di appello), è inammissibile, sia perchè la questione della mancata traduzione del provvedimento della Commissione territoriale non era stata prospettata al Tribunale con il ricorso avverso tale provvedimento negativo e non può, dunque, essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità; sia perchè, quanto alla mancata traduzione del provvedimento di rigetto oggetto del ricorso, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non va interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale; inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 23760 del 24/09/2019, Rv. 655336).

6. Il secondo e il terzo motivo, mediante i quali è stata lamentata l’insufficienza della motivazione in ordine al diniego della protezione sussidiaria e della protezione per motivi umanitari, sono fondati.

Il Tribunale, nel disattendere integralmente l’impugnazione del ricorrente avverso il provvedimento negativo della locale Commissione territoriale, ha omesso di adeguatamente considerare quanto esposto dal ricorrente, a proposito del pericolo di danno grave cui sarebbe esposto in caso di ritorno in Nigeria, a causa della propria fede religiosa, stante il timore di persecuzione da parte della famiglia della propria ex fidanzata (la cui morte sarebbe da ricondurre, ad avviso dei suoi familiari, alla relazione con il ricorrente), tenuto conto della assenza di protezione da parte delle locali forze di polizia, in quanto notoriamente anticristiane.

Tale prospettazione, astrattamente idonea a consentire il riconoscimento di una forma di protezione internazionale, stante la denunciata possibile persecuzione del ricorrente per motivi collegati alla sua fede religiosa e la affermata mancanza di protezione da parte delle autorità locali, non è stata adeguatamente considerata dal Tribunale (vedi, per tutte: Cass. 12 settembre 2018, n. 22233; Cass. 8 novembre 2019, n. 28974; Cass. 21 ottobre 2019, n. 26823).

Nella motivazione del decreto impugnato vi è, infatti, una analisi delle disposizioni di legge in materia di protezione internazionale e degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità (sia in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato che alla protezione sussidiaria e a quella per motivi umanitari), nonchè della situazione della Nigeria e degli Stati del Delta del Niger, tra cui Edo State da cui proviene il ricorrente, disgiunte da una adeguata considerazione di quanto esposto dal ricorrente, in quanto in proposito il Tribunale si è limitato a evidenziare che i matrimoni tra persone di diverse fedi religiose non sono perseguiti in Nigeria, così omettendo di considerare le minacce che il ricorrente avrebbe ricevuto e quanto dallo stesso esposto circa la mancanza di protezione da parte delle locali forze di polizia (v. pag. 6 del decreto).

Nel decreto, inoltre, non è stato correttamente considerato quanto esposto dal ricorrente a proposito della presenza in Italia del proprio figlio naturale, giacchè al riguardo il Tribunale ha rilevato la necessità del possesso del permesso di soggiorno da parte del richiedente, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, omettendo di adeguatamente considerare la situazione di vulnerabilità che deriva per il ricorrente dalla presenza del figlio minore (nato nel 2018) in Italia.

Al riguardo ritiene il Collegio di condividere il principio secondo cui “Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra i soggetti vulnerabili di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis, del, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. b, n. 1, rientrano espressamente anche i “genitori singoli con figli minori”, sicchè, accertata la relativa situazione di fatto, essi hanno diritto di accedere alla detta protezione” (Sez. 1, Ordinanza n. 18540 del 10/07/2019,Rv. 654660 – 02); ne consegue che anche in relazione a tale aspetto la motivazione del decreto impugnato risulta insufficiente, essendo improprio il richiamo a quanto stabilito dall’art. 28 t.u. immigrazione, avendo il ricorrente prospettato una situazione di vulnerabilità conseguente alla presenza in Italia del proprio figlio e della propria futura moglie, non adeguatamente considerata dal Tribunale.

7. In accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso il decreto impugnato deve, dunque, essere cassato, con rinvio al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, per nuovo esame, tenendo conto di quanto effettivamente esposto dal ricorrente e della situazione di fatto dallo stesso prospettata, alla luce del principio richiamato in ordine ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie gli altri motivi, cassa il provvedimento impugnato, in relazione ai motivi accolti, e rinvia anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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