Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12943 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 12943 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BISOGNI GIACINTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

Ravaglia

&

C.

s.a.s.,

accomandatario Pieremilio

in persona del socio
Ravaglia,

elettivamente

domiciliato in Roma, via Giovanni Nicotera 24, presso
lo studio dell’avv.to Daniela Tiziana Trovato che la
rappresenta e difende, per procura speciale in margine
al ricorso;

– ricorrente nei confronti di

Brembo s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via

140

Orti della Farnesina 126, presso lo studio dell’avv.

2014
Giorgio Stella Richter che, unitamente all’avv. Pilade
E. Santini la rappresenta e difende, per procura

Data pubblicazione: 09/06/2014

speciale del 12 marzo 2007 n.117096 rep. notaio
Giovanni Vacirca di Bergamo allegata al controricorso;

controrícorrente

e

Rhiag s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via XX

che, unitamente agli avv.ti Mario Franzosi e Federica
Santonocito la rappresenta e difende, per procura
speciale a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 907/06 della Corte d’appello di
Brescia emessa il 26 aprile 2006 e depositata il 26
settembre 2006, R.G. n. 1585/2003;
sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto
procuratore generale dott. Immacolata Zeno che ha
concluso per l’inammissibilità o in subordine il
rigetto del ricorso;

Rilevato che:
1. la s.a.s. Ravaglia ha convenuto in giudizio
Brembo s.p.a. e Rhiag s.p.a. per ottenere la loro
condanna al risarcimento dei danni provocati con
atti di concorrenza sleale posti in essere dalle
convenute in suo pregiudizio.
2. Ha dedotto specificamente che, con contratto del
l aprile 1983, aveva ottenuto l’esclusiva per la
vendita su tutto il territorio della Toscana dei
2

Settembre 3, presso lo studio dell’avv. Bruno Sassani

prodotti inseriti nel catalogo Brembo e in
particolare dei dischi freno Brembo. In base a
tale contratto si era impegnata a limitare la
propria attività di vendita a tali prodotti e al
territorio toscano e a praticare i prezzi
risultanti dal listino e gli sconti solo se

successivi, Brembo s.p.a. avesse immesso sul
mercato altri dischi freno denominati Breco,
sostanzialmente interscambiabili con i dischi
Brembo, consentendo alla concessionaria Rhiag di
praticare prezzi sensibilmente inferiori rispetto
a quelli relativi al catalogo Brembo che la Rhiag
ben conosceva. Da ultimo Brembo s.p.a. aveva
comunicato che tutte le zone di concessione dei
prodotti Brembo erano affidate alla Rhiag e che
gli ex concessionari Brembo (fra cui Ravaglia &
C. s.a.s.) avrebbero ottenuto, in sostituzione,
la concessione per i prodotti con marchio Breco.
3. Brembo s.p.a. si è costituita e ha contestato le
deduzioni poste a fondamento della domanda
rilevando in particolare la preesistenza sia del
marchio Breco sia della concessione di vendita a
favore di Rhiag e smentendo la asserita vendita a
prezzi inferiori dei prodotti Breco. Ha
contestato in ogni caso che le circostanze in
questione integrassero ipotesi di concorrenza
sleale in danno di Ravaglia s.a.s. In via
riconvenzionale ha chiesto la condanna della

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concordati. Ha lamentato che, in tempi

società attrice al pagamento di lire 76.000.000
corrispondente all’utile non percepito in
conseguenza della mancata vendita da parte di
Ravaglia s.a.s. del numero minimo di pezzi cui si
era obbligata.
4. Si è costituita Rhiag eccependo l’incompetenza

fondamento della domanda proposta nei suoi
confronti. Ha dedotto di commercializzare dischi
Breco sin dal 1979 e, su parte del territorio
nazionale, anche dischi Brembo, ha negato di aver
venduto i dischi Breco a prezzo inferiore
rispetto ai dischi Brembo e ha contestato che
tale comportamento fosse comunque idoneo a
integrare ipotesi di concorrenza sleale ai danni
di Ravaglia s.a.s.
5. Il Tribunale di Bergamo con sentenza del 23
settembre 2003 ha accolto la domanda condannando
le società convenute al pagamento a titolo di
risarcimento danni della somma di 30.000.000 di
lire. Il giudice di prime cure ha ritenuto
provata la vendita dei dischi Breco a prezzi
inferiori a quelli Brembo con conseguente
deperimento del mercato di questi ultimi e ha
messo in relazione tale comportamento alla
successiva attribuzione in favore di Rhiag di una
unica concessione per i prodotti Brembo su tutto
il territorio nazionale.
6. La Corte di appello di Brescia ha ritenuto non

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territoriale del Tribunale adito e contestando il

provate le circostanze poste a base della domanda
risarcitoria e ha ritenuto del tutto illogica la
tesi di una finalizzazione della condotta ai
danni della Ravaglia s.a.s. Ha pertanto riformato
la sentenza del Tribunale di Bergamo respingendo
la domanda della Ravaglia s.a.s. mentre ha

riconvenzionale di Brembo s.p.a. non ritenendo
provata l’obbligazione di Ravaglia s.a.s. a
vendere una quantità minima di prodotti.
7. Ricorre per cassazione Ravaglia & C. s.a.s.
affidandosi a quattro motivi di impugnazione.
8. Si difendono con separati controricorsi Bembo
s.p.a. e Rhiag s.p.a.
Ritenuto che
9. Con il primo motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 81
c.p.c.

La ricorrente lamenta contesta la

decisione della Corte di appello che non ha
ritenuto legittimata la società a chiedere in
proprio danni che sostiene di essere stati patiti
dal socio accomandatario.
10. Il

motivo

è

inammissibile per mancata

formulazione del quesito di diritto richiesto
dall’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione
temporis alla controversia.
11.Con il secondo motivo di ricorso si deduce falsa
applicazione e insufficiente motivazione
dell’art. 2598

c.c.

comma 3, in relazione agli

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confermato il rigetto della domanda

articoli

2220

c.c.

e

116

c.p.c.

nonché

insufficiente motivazione. La ricorrente formula
il seguente quesito di diritto: può il giudice
trarre argomenti di prova ex art. 116 c.p.c.
dalla mancata esibizione, a seguito di suo
ordine, di documenti che – sebbene risalenti ad

come previsto dall’art. 2220 c.c. – siano stati
oggetto di istanza di esibizione avanzata dalla
parte in sede istruttoria, prima dello spirare
del suddetto termine. Non può invocare, a propria
esimente, la parte cui l’ordine è stato rivolto,
l’applicazione del disposto dell’art. 2220 c.c.
allorquando, dagli atti di causa, si evinca a
quale documento l’istanza di esibizione abbia
fatto riferimento, attesa anche la sua finalità
probatoria, caratterizzandosi quale contegno
contrario ai criteri di correttezza e buona fede.
12. Il motivo è inammissibile come può evincersi
dalla lettura del quesito che manifestamente non
è risolutivo ai fini della decisione. La Corte di
appello ha spiegato con dovizia di argomenti per
quali motivi non può ritenersi che la mancata
esibizione in assenza di ordine da parte del
giudice sia suscettibile di fondare argomenti di
prova così come ha rilevato che l’istanza di
esibizione reiterata dalla difesa della Ravaglia
nel verbale del 14 giugno 2001 era in realtà una
nuova istanza perché si riferiva a un diverso

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epoca precedente al termine di dieci anni, così

contratto risalente al 1983 e relativo alla
Lombardia e alla Sicilia. Per altro verso la
Corte di appello ha dimostrato analiticamente
perché gli argomenti di convincimento desunti dal
primo giudice dalla mancata esibizione fossero
basati su considerazioni del tutto opinabili e

13.Con il terzo motivo di ricorso si deduce falsa
applicazione dell’art. 2598 c.c. nonché
insufficiente motivazione. La ricorrente pone
alla Corte il seguente quesito di diritto:
ricorre la fattispecie di concorrenza sleale ai
sensi dell’art. 2598 comma 3 c.c. ove, una o più
aziende abbiano posto in essere atti contrari
alle regole di correttezza e lealtà in contrasto
con l’etica che impronta le relazioni
commerciali, in quanto tesi a realizzare il
fenomeno dello sviamento della clientela
prescindendo da qualsivoglia vantaggio cui la
condotta era finalizzata. Del pari, è sufficiente
la mera idoneità, degli atti sleali, a produrre
un danno in capo al soggetto passivo al fine di
ritenere operante il dettato del medesimo
articolo di legge.
14. Il motivo è inammissibile perché non coglie la
ratio

decidendi

consistita nel rilevare la

mancanza di prova sia di una condotta
qualificabile come concorrenza sleale sia di un
pregiudizio subito dalla ricorrente.

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priva di rilevanza ai fini del decidere.

15.Con il quarto motivo di ricorso si deduce falsa
applicazione e insufficiente motivazione
dell’art. 2598 c.c. comma 3, in relazione
all’art. 2727-2729 c.c. nonché insufficiente
motivazione sotto altro aspetto in relazione
all’art. 360 comma 1 n.5 c.p.c. La ricorrente

può il giudice di merito ritenere raggiunta la
prova di fatti nell’ipotesi in cui ricorrano le
presunzioni di cui agli artt. 2727-2729 qualora
il suo convincimento, valutata la condotta
processuale della parte, discenda da un elemento
indiziario anche esclusivo, ma preciso e grave,
ben rinvenibile nel mancato ottemperamento ad un
ordine del giudice, di esibizione di documenti,
dai quali potrebbero essere desunti elementi
inequivocabili di prova del fatto lamentato.
16. Il motivo è inammissibile per le ragioni già
esposte con riferimento al secondo e terzo motivo
di ricorso. VI è da aggiungere che la Corte di
appello ha fornito una motivazione completa e
stringente sul difetto di prova relativo alla
vendita in regime di concorrenza sleale da parte
della Rhiag nonché sull’illogicità, oltre che
sulla non dimostrazione, della politica di
mercato immaginata dalla società ricorrente, e
ritenuta attendibile dal primo giudice. Tale
strategia sarebbe consistita nell’accordo delle
società controricorrenti finalizzato a mettere in

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pone alla Corte il seguente quesito di diritto:

ginocchio i concessionari Brembo con una politica
di ribasso dei prezzi Breco salvo poi a offrire
ai concessionari Brembo ridotti malamente da tale
politica la concessione dei prodotti Breco e alla
Rhiag la concessione dei prodotti Brembo. La
macchinosità oltre che la incomprensibilità di

appello dell’infondatezza della domanda proposta
dalla Ravaglia ed è su questa persuasione e sulle
ragioni che l’hanno sostenuta che avrebbe dovuto
incentrarsi il ricorso.
17.Infine con il quinto motivo di ricorso la
ricorrente impugna la decisione sulle spese
rilevando il contrasto fra la compensazione delle
spese del primo grado in ragione della reciproca
soccombenza (della Brembo quanto alla domanda
riconvenzionale e della Rhiag quanto
all’eccezione di incompetenza).
18.11 motivo è anch’esso inammissibile perché
investe la regolamentazione delle spese e come
costantemente affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, in materia di disciplina delle spese
processuali, la denunzia della violazione
dell’art. 91 cod. proc. civ, attesa la natura
processuale del vizio, consente di verificare
anche in sede di legittimità, mediante l’esame
degli atti del processo, il rispetto del
principio della soccombenza, in ragione del
quale, al di fuori dell’ipotesi di compensazione

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una tale strategia ha persuaso la Corte di

per reciproca soccombenza o per giusti motivi, la
parte totalmente vittoriosa non può essere
condannata neppure parzialmente al pagamento
delle spese di giudizio (cfr. ex

multis Cass.

civ. sezione II, n. 3083 del 13 febbraio 2006).
Nella specie la Corte di appello ha motivato la

reciproca soccombenza e la condanna della
Ravaglia al pagamento delle spese del giudizio di
appello in considerazione della sua soccombenza
che ha comunque ritenuto prevalente sul rigetto
della riconvenzionale della Brembo, in realtà non
riproposta con l’atto di appello come si evince
dalle conclusioni riportate nel testo della
sentenza, e sull’eccezione di incompetenza
reiterata dalla Rhiag. La pronuncia sul punto si
presenta pertanto non suscettibile del sindacato
Cass. civ. sezione I n.

di legittimità (cfr.

14542 del 4 luglio 2011

secondo cui la

liquidazione delle spese processuali rientra nei
poteri discrezionali del giudice del merito,
potendo essere denunziate in sede di legittimità
solo violazioni del criterio della soccombenza o
liquidazioni che non rispettino le tariffe
professionali, con obbligo, in tal caso, di
indicare le singole voci contestate, in modo da
consentire il controllo di legittimità senza
necessità di ulteriori indagini).

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compensazione delle spese del primo grado con la

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio liquidate, quanto alla Brembo s.p.a. in 5.200
euro di cui 200 per spese e alla Rhiag in 8.200 euro di
cui 200 per spese.

20 gennaio 2014.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del

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