Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12942 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/05/2017, (ud. 23/02/2017, dep.23/05/2017),  n. 12942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4246/2013 proposto da:

CELIC S.r.l. in Liquidazione in persona del Liquidatore pro tempore

(c.f. (OMISSIS)) elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. CARO 62,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE CICCOTTI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati VIRGILIO GAITO, GIANCARLO

ZUCCACCIA;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.p.A., c.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO NUCCI, che la

rappresenta e difende;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3208/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato SIMONE CICCOTTI, difensore della ricorrente

principale, che si è riportato alle difese in atti;

udito l’Avvocato FRANCESCO NUCCI, difensore della controricorrente e

ricorrente incidentale, che si è riportato alle difese in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso e

per la condanna alle spese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 14 giugno 2012, ha rigettato l’appello proposto da Celic s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 5319 del 2008, e nei confronti di Telecom Italia s.p.a..

1.1. Il Tribunale aveva accolto l’opposizione di Telecom al decreto ingiuntivo con il quale le era stato ingiunto di pagare a Celic la somma di Euro 323.630,25 oltre interessi e spese, a titolo di maggiorazione sui lavori eseguiti a distanza di oltre 30 chilometri dalla sede dell’agenzia Telecom in (OMISSIS), revocato il decreto e rigettato le domande di Celic.

2. La Corte d’appello ha confermato la decisione del Tribunale, rilevando che effettivamente la pronuncia posta a base del provvedimento monitorio – sentenza del Tribunale di Roma n. 1481 del 24 gennaio 2000 – aveva contenuto di accertamento della portata degli accordi intercorsi tra le società nell’ambito del contratto di appalto, sui quali era insorta controversia.

In particolare, la sentenza aveva affermato che la prevista maggiorazione del 10% doveva intendersi riferita soltanto ai lavori a misura eseguiti a distanza di oltre 30 chilometri dalla sede dell’agenzia appaltatrice, senza accertare anche la mancata corresponsione della maggiorazione come dovuta, sicchè non vi era giudicato sull’inadempimento e la parte opposta non aveva fornito prova del mancato pagamento della maggiorazione.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Celic s.r.l. in liquidazione, sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso Telecom Italia s.p.a., che propone ricorso incidentale condizionato. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il Collegio rileva che non sussistono le condizioni per disporre la riunione del presente procedimento a quello introdotto con ricorso iscritto al R.G. n. 30276 del 2014, essendo diverse le sentenze oggetto di impugnazione.

2. Il ricorso principale è infondato.

2.1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2908, 2909 c.c. e art. 132 c.p.c. e si contesta l’interpretazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Roma n. 1481 del 2000, che costituiva l’antecedente logico-giuridico della ingiunzione di pagamento richiesta da Celic. Diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, la pronuncia indicata aveva accertato sia il contenuto della previsione contrattuale relativa alla maggiorazione del 10% in favore di Celic (per il lavori eseguiti ad oltre 30 chilometri di distanza dalla sede dell’agenzia appaltatrice), sia la mancata corresponsione delle maggiorazioni.

La domanda proposta nel 1992 da Celic aveva ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento di Telecom (all’epoca SIP) e la condanna della stessa al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio. Da ciò discendeva che la decisione del Tribunale, nella parte in cui aveva “accolto” la domanda di maggiorazione del 10%, configurava una pronuncia di condanna generica, come tale utilizzabile ai fini della prova scritta del credito azionato e della relativa ingiunzione di pagamento, il cui ammontare era desumibile da altri documenti prodotti a corredo del ricorso per Decreto Ingiuntivo (le fatture).

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 1218 c.c..

Si assume dalla società ricorrente che la Corte d’appello avrebbe applicato erroneamente i principi in tema di riparto dell’onere della prova, ritenendo che incombesse su Celic l’onere di dimostrare se le prestazioni di cui chiedeva il pagamento fossero in economia o a misura. Era pacifico, infatti, che il contratto prevedesse lavori a misura, facoltizzando Telecom a chiedere l’esecuzione dei lavori in economia, e poichè Telecom aveva eccepito di avere esercitato tale facoltà, su di essa incombeva il relativo onere probatorio. Sul punto la ricorrente riporta stralci delle dichiarazioni testimoniali (testi A. e C.) di conferma della previsione contrattuale dei lavori a misura e della incidenza irrisoria di eventuali lavori in economia, a dimostrazione che le fatture prodotte a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo riguardavano esclusivamente lavori a misura, sui quali era dovuta la maggiorazione del 10% in caso di esecuzione alla distanza indicata contrattualmente.

4. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e si contesta l’erronea applicazione dei principi in tema di responsabilità contrattuale operata dalla Corte territoriale. Anche accedendo alla interpretazione riduttiva del giudicato esterno, rimaneva vero che Celic aveva provato la fonte del proprio diritto e che spettava a Telecom dimostrare di avere adempiuto.

5. Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perchè connesse, sono infondate.

5.1. La valutazione espressa dalla Corte d’appello circa il contenuto del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Roma n. 1481 del 2000 non è decisiva, e di conseguenza non può esserlo la doglianza formulata sul punto dalla odierna ricorrente.

La Corte d’appello ha ritenuto, con autonoma ratio decidendi, che la documentazione prodotta a corredo della domanda di ingiunzione di Celic non fosse idonea a dimostrare l’entità del credito azionato. Tale rilievo rende ininfluente stabilire se il giudicato fosse di mero accertamento o, invece, di accertamento con condanna generica, come sostenuto dalla ricorrente, giacchè anche in questo caso la rilevata carenza probatoria osterebbe all’accoglimento del ricorso.

5.2 Quanto alle doglianze prospettate con il secondo e con il terzo motivo di ricorso, non si ravvisa l’erronea applicazione delle regole di riparto dell’onere della prova, denunciata anche in riferimento ai principi in tema di inadempimento contrattuale.

Non è dubitabile, anche assumendo come già accertato l’inadempimento contrattuale di Telecom, che l’onere di dimostrare l’entità del credito per le maggiorazioni gravasse su Celic e la Corte d’appello ha rilevato la carenza probatoria per la genericità dei dati ricavabili dalla documentazione (fatture) prodotta da Celic, che non consentiva di quantificare la pretesa.

Si tratta di giudizio basato sulla valutazione delle prove, istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (ex plurimis, Cass. 26/01/2015, n. 1414), e che nella specie risulta esente da vizi logico-giuridici.

5. Il rigetto del ricorso principale assorbe il ricorso incidentale condizionato. Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non ricorrono le condizioni per dare seguito alla richiesta del Sostituto Procuratore generale di condanna della ricorrente principale ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 4, applicabile ratione temporis.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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