Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1294 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. I, 20/01/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 20/01/2011), n.1294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12668/2009 proposto da:

N.F., + ALTRI OMESSI

tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

VALADIER 43, presso lo STUDIO LEGALE ROMANO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ROMANO GIOVANNI, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 346/07 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

4.2.08, depositato l’11/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. EDUARDO

VITTORIO SCARDACCIONE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che N.F. ed altri diciotto persone, con ricorso del 25 maggio 2009, hanno impugnato per cassazione – deducendo un articolato motivo di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Perugia depositato in data 11 aprile 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 9.750,00;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 35.000,00 per ciascun ricorrente – per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 5 aprile 2007 -, era fondata sui seguenti fatti: a) i ricorrenti erano stati sottoposti a procedimento penale, della pendenza del quale (fase delle indagini preliminari) avevano avuto notizia nell’agosto-settembre 1997; b) il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, con decreto del 20 marzo 2007, aveva disposto l’archiviazione del procedimento, in quanto i reati ipotizzati erano estinti per intervenuta prescrizione;

che la Corte d’Appello di Perugia, con il suddetto decreto impugnato:

a) dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del procedimento penale presupposto, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in sei anni e sei mesi (agosto-settembre 2000 – marzo 2007);

b) ha determinato l’indennizzo spettante a ciascun ricorrente nella misura di Euro 9.750,00, sulla base del parametro annuo di Euro 1.500,00 (Euro 1.500,00 x sei anni + 6/12 di Euro 1.500,00).

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il motivo di censura, vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la affermata decorrenza della durata complessiva del procedimento penale dalla data della conoscenza degli indagati circa la pendenza delle indagini preliminari a loro carico – agosto-settembre 1997 -, anzichè dalla data dell’effettivo inizio di dette indagini, iniziate nel 1994 con l’iscrizione degli stessi indagati nel registro delle notizie di reato; b) la omessa considerazione secondo cui la durata complessiva del procedimento penale de quo è pari a tredici anni circa, con la conseguenza che l’irragionevole durata dello stesso procedimento, detratto il periodo triennale di normale durata, è pari a circa dieci anni e non agli accertati sei anni e sei mesi;

che il ricorso non merita accoglimento;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nella valutazione della durata di un procedimento penale, il tempo occorso per le indagini preliminari può essere computato solo a partire dal momento in cui l’indagato abbia avuto la concreta notizia della sua pendenza, solo tale conoscenza costituendo la fonte d’ansia e di patema suscettibile di riparazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10310 del 2010, 27239 del 2009, 26201 del 2006 e 15087 del 2004);

che nella specie, essendo pacifico che i ricorrenti hanno avuto notizia dello svolgimento di indagini preliminari a loro carico nell’agosto-settembre 1997, i Giudici a quibus hanno fatto correttamente decorrere, da tale data la durata del procedimento penale in questione;

che i ricorrenti non adducono alcun nuovo argomento che possa indurre questa Corte a rimeditare il citato orientamento giurisprudenziale;

che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alle spese, che liquida in complessivi Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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