Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12939 del 22/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 22/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 22/06/2016), n.12939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1381-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

MONDOPLASTICO SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

LUCISANO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARIA SONIA VULCANO, GIUSEPPE ZIZZO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2621/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO del 01/04/2014, depositata il 20/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. VIARIO CIGNA.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale, rigettando l’appello dell’Ufficio e dichiarando inammissibile quello incidentale del contribuente, ha confermato la decisione di primo grado con la quale la CTP aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Ufficio alla richiesta di rimborso della tassa sulle concessioni governative pagata per l’anno 2008 per utenze telefoniche ad esso intestate; la CTR, in particolare, ha evidenziato che il nuovo codice delle Telecomunicazioni (D.Lgs. n. 259 del 2003), in applicazione della normativa comunitaria, aveva introdotto il principio della liberalizzazione della fornitura dei servizi di telecomunicazioni, abrogando il precedente ordinamento a carattere concessorio; di conseguenza, doveva ritenersi abrogato il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318 che prevedeva la licenza governativa di esercizio per le stazioni radiomobili, con ciò venendo meno il presupposto stesso per l’applicazione della tassa di concessione governativa (tributo che lo Stato impone ai beneficiari di determinati provvedimenti amministrativi, quali autorizzazioni, concessioni e licenze).

Il contribuente resiste.

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e falsa applicazione di specifiche disposizioni di legge, sostiene che, nonostante il su menzionato codice delle telecomunicazioni abbia liberalizzato il settore abbandonando il regime concessorio, la fornitura di servizi di comunicazione elettronica resta comunque soggetta ad una disciplina autorizzatoria.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha, invero, chiarito che “in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione del D.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, art. 318 ad opera del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218 non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui all’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, in quanto la relativa previsione è riprodotta nel D.Lgs. n. 259 cit., art. 160. Va, infatti, esclusa – come anche desumibile dalla norma interpretativa introdotta con il D.L. 24 gennaio 2014, n. 4, art. 2, comma 4, conv. con modif. in L. 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione –

una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari” e “radio-trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al D.Lgs. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicchè il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 normativa, tanto più che, ai sensi dell’art. 219 medesimo D.Lgs., dalla liberalizzazione del sistema delle comunicazioni non possono derivare “nuovi o maggiori oneri per lo Stato”, e, dunque, neppure una riduzione degli introiti anteriormente percepiti. Nè, in ogni caso, l’applicabilità di siffatta tassa si pone in contrasto con la disciplina comunitaria attesa l’esplicita esclusione di ogni incompatibilità affermata dalla Corte di giustizia (CGCE, 12 dicembre 2013 in C-335/2013)” (Cass. sez. unite 9560/2014); in senso conforme, Cass. 26386/2014, che, nel ribadire la natura interpretativa e la conseguente retroattività della L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4, ha confermato anche la compatibilità delle dette disposizioni con la disciplina comunitaria di settore e la manifesta infondatezza di dubbi di costituzionalità.

Da ultimo la Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 17 settembre 2015, causa C-416/14, ha ritenuto che la disciplina UE va interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un’autorizzazione generale o a una licenza nonchè al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sè la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo; in tale contesto, è stato poi aggiunto che l’art. 20 della direttiva 2002/22/CE, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE, e l’art. 8 della direttiva 1999/5/CEE vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui è stato oggetto. Inoltre, secondo la Corte, il quadro comunitario, unitamente all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, va interpretato nel senso che non osta a un trattamento differenziato degli utenti di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, a seconda che essi sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili, in base al quale solo i primi sono assoggettati a una normativa nazionale come quella che istituisce la tassa di concessione governativa.

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, in accoglimento del ricorso, va cassata l’impugnata sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

In considerazione del solo recente intervento delle sezioni unite e della stessa Corte di Giustizia, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2016

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