Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12936 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 13/05/2021), n.12936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1043-2020 proposto da:

A.T.H., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1093/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/05/2019 R.G.N. 631/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza n. 1093/2019 la Corte di appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno, in riforma dell’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, ha rigettato la domanda di A.T.H., cittadino (OMISSIS), diretta al riconoscimento del permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. Per quanto ancora qui rileva, la Corte di appello, premesso che l’appellato non aveva proposto appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria (con conseguente acquiescenza alla decisione di rigetto, così passata in giudicato), ha affermato, in sintesi, che:

a) il richiedente ha dichiarato che nel suo Paese svolgeva l’attività di pescatore e che un giorno alcuni uomini lo avevano costretto a portare alcune persone in Italia; la vicenda ha esclusivo rilievo penalistico; la minaccia deriva da un numero limitato di soggetti;

b) la narrazione del ricorrente non appare veritiera, in quanto non sufficientemente circostanziata con riferimento a luoghi, persone, tempi e dinamiche degli eventi narrati; non sono stati forniti altri elementi essenziali, da cui potere evincere la veridicità dei fatti narrati; non sono state fornite informazioni in merito al processo volto a punire i colpevoli e, più in generale, all’intervento delle Autorità, non avendo il ricorrente chiarito le ragioni per le quali rinunciò a difendere la sua posizione;

c) per il riconoscimento della protezione umanitaria occorre ravvisare una situazione di vulnerabilità, i cui presupposti devono essere allegati dal ricorrente, non essendo sufficiente il solo inserimento sociale e lavorativo in Italia;

d) nè l'(OMISSIS) costituisce un contesto politico e ambientale idoneo a determinare concretamente una significativa compromissione dei diritti fondamentali della persona; dopo i numerosi rivolgimenti politici e sociali succedutisi nel passato, “si assiste più di recente ad un relativo e progressivo miglioramento delle condizioni di vita, nonostante permangano criticità in alcune aree e un generico rischio di attentati (cfr. (OMISSIS))”;

e) nel caso di specie, il timore prospettato dal richiedente, ossia la paura di essere ucciso da alcuni uomini, appaiono circoscritti alla sfera del diritto penale ordinario.

3. Per la cassazione di tale sentenza A.T.H. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

5. Il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 sulla valutazione della credibilità, per avere la sentenza condiviso il giudizio in precedenza espresso dalla Commissione territoriale senza dare conto di quanto dichiarato dal ricorrente nel corso della audizione in primo grado, sulla cui base il Tribunale aveva accolto la domanda di protezione umanitaria, ritenendo sussistente la credibilità e l’integrazione sociale e lavorativa del richiedente.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.L. n. 13 del 2017, conv. in L. n. 46 del 2017, recante modifiche al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, poichè la sentenza impugnata si è limitata a citare il sito “(OMISSIS)”, peraltro in modo incompleto e senza riferimenti cronologici, senza compiere alcuna indagine riguardo al mancato rispetto dei diritti umani in (OMISSIS) ed escludendo il pericolo d’incolumità in caso di rimpatrio, sebbene il ricorrente avesse espresso il timore di essere ucciso o arrestato. Si deduce che, secondo varie fonti accreditate, in (OMISSIS) avvengono arresti e detenzioni arbitrari, in esito a processi gravemente iniqui.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 142 del 2015, artt. 17 e 18 secondo cui nell’applicazione delle misure di accoglienza previste dallo stesso decreto assume carattere di priorità il superiore interesse del minore in modo da assicurare condizioni di vita adeguate. Si deduce che la Corte di appello ha ignorato tale norma, atteso che il ricorrente era minorenne al momento delle richieste avanzate alle Autorità italiane.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, nonchè violazione dell’art. 2 Cost. e artt. 3 e 8 CEDU. Si deduce che è del tutto mancata la necessaria valutazione comparativa per verificare gli effetti del provvedimento di rimpatrio sotto il profilo della compressione dei diritti umani sotto la soglia dell’intollerabilità, come pure è mancata la valutazione della situazione di vulnerabilità soggettiva; è mancato il bilanciamento tra la situazione che vivrebbe il ricorrente in caso di rimpatrio e la condizione di integrazione acquisita in Italia (il ricorrente ha conseguito titoli di studio, svolge attività lavorativa e parla correttamente l’italiano).

5. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

6. In primo luogo, la sentenza non consente di far comprendere quali fossero le dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso dell’audizione svolta in primo grado, sulla cui base risulta che il Tribunale accolse la domanda di protezione umanitaria, all’evidenza sul presupposto della ritenuta credibilità della narrazione, oltre che sul dato della avvenuta integrazione in Italia del richiedente. La Corte di appello ha sostituito il proprio conclusivo giudizio con una motivazione di sintesi, a tratti oscura, che reca affermazioni valutative (“vicende aventi esclusivo rilievo penalistico”, “la minaccia deriva da un numero limitato di soggetti”, “…i fatti…appaiono circoscritti alla sfera del diritto penale ordinario”) senza far comprendere i contenuti della vicenda, per come ricostruita in appello.

7. Ad ogni buon conto, la Corte territoriale non è pervenuta ad un giudizio di inattendibilità intrinseca del narrato del richiedente, del quale non ha evidenziato incoerenze o illogicità. La sentenza si è unicamente soffermata sul difetto di elementi circostanziali, sull’assenza di dettagli della narrazione e sul difetto di prova dei fatti dedotti. Escluso che la sentenza, in base agli argomenti utilizzati, abbia espresso un giudizio di negazione della credibilità intrinseca della narrazione, deve ritenersi che spettasse al Giudice di merito procedere al controllo di credibilità estrinseca, che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito.

8. Come già affermato da questa Corte, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 19716 del 2018). Solo ove le dichiarazioni del richiedente siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non è richiesto un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione nel Paese di origine (Cass. n. 16925 del 2018, n. 7333 del 2015).

9. Tanto premesso, va osservato che l’acquisizione delle informazioni sul contesto socio – politico del Paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta (Cass. n. 16202 del 2012). L’obbligo di cooperazione istruttoria che incombe sul giudice della protezione internazionale (Cass. S.U. n. 27310 del 2008; n. 26056 del 2010) deve riguardare, in particolare, la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato, rappresentata dal richiedente e non genericamente ed esclusivamente la condizione generale del paese.

10. Nella pronuncia impugnata, l’affermazione secondo la quale il rientro in (OMISSIS) non esporrebbe il ricorrente ai pericoli paventati viene desunta da informazioni acquisite unicamente attraverso il sito del (OMISSIS), destinato ad informare turisti e cittadini stranieri che intendono recarsi nel paese oggetto d’indagine. Oltre tutto non si dà conto dell’epoca in cui tale fonte è stata consultata e dunque dell’attualità delle notizie così reperite. L’esame del quadro politico giudiziario e delle condizioni di sicurezza dell'(OMISSIS), con particolare riguardo alla condizione di timore e di pericolo dedotta dal ricorrente, risulta del tutto assente.

11. In tal modo, il giudice del merito non ha esercitato correttamente i propri poteri di cooperazione istruttoria che si sostanziano nell’acquisizione di fonti informative ufficiali ed aggiornate al momento della decisione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, al fine di soddisfare l’onere di puntuale indicazione delle fonti dalle quali ha tratto il suo convincimento, il giudice di merito è tenuto ad indicare l’autorità o l’ente dal quale la fonte consultata proviene e la data o l’anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di idoneità, precisione e aggiornamento della fonte, previsti dal richiamato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (Cass. n. 29147 del 2020).

12. I suddetti incombenti, nel caso in esame, sono poi specificamente funzionali alla corretta valutazione della domanda riguardante il permesso umanitario che richiedono un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità, dovendo il giudice attivare anche su tale domanda, ove non genericamente proposta, il proprio dovere di cooperazione istruttoria (cfr. Cass. n. 7985 del 2020).

13. E’ stato affermato da questa Corte che, secondo la normativa vigente ratione temporis, i “seri motivi” di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, comma 6, cit.), al ricorrere dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass. Sez. Unite n. 19393 del 2009 e Cass. Sez. Unite n. 5059 del 2017), costituiscono un catalogo aperto (Cass. n. 26566 del 2013) e sono tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un’esigenza qualificabile come umanitaria, cioè concernente diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale (cfr. Cass., Sez. Unite n. 19393 del 2009).

14. La Corte di appello ha falsamente applicato i parametri normativi propri della protezione umanitaria, per cui è fondata la censura relativa alla sostanziale assenza – e, quindi, all’apparenza – della motivazione relativa alla insussistenza della vulnerabilità. Il provvedimento si incentra su un apodittico giudizio circa la ritenuta insufficienza del dato costituito dalla integrazione socio-lavorativa in Italia, ma è del tutto assente una valutazione sulla personalizzazione della vulnerabilità in rapporto alla tutela di diritti fondamentali.

15. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione collegiale per il riesame della domanda relativa al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 in applicazione dei principi sopra riportati punto il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso per quanto di ragione punto cassa il provvedimento impugnato e rinvia anche per le spese, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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