Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12934 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 13/05/2021), n.12934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1014-2020 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 3438/2019 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositato il 19/11/2019 R.G.N. 5081/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto n. 3438/2019 il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la domanda reiterata di protezione internazionale e umanitaria avanzata da B.S., cittadino del (OMISSIS).

2. Per quanto ancora rileva in questa sede, il Tribunale ha osservato, in sintesi, che:

a) il richiedente ha dedotto di avere lasciato il suo paese di origine temendo ritorsioni ad opera dei familiari di un ragazzo, figlio di un uomo potente del villaggio, che egli aveva ferito in occasione di un litigio;

b) a seguito del diniego della domanda di protezione internazionale presso la Commissione territoriale, egli ha reiterato la domanda allegando come fatto nuovo la sua avvenuta integrazione sociale e producendo documentazione lavorativa; il ricorrente ha fondato la sua richiesta sull’avvenuta integrazione sociale significando che il suo eventuale rimpatrio potrebbe costituire una violazione del rispetto della sua vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU e costituire un danno grave;

c) a supporto dell’istanza, dinanzi alla Commissione territoriale aveva prodotto un contratto a tempo indeterminato con decorrenza dal 2016 e relative buste paga e una dichiarazione di ospitalità; tuttavia, in sede giudiziale egli ha riferito di lavorare attualmente a Roma come ambulante dipendente, ma senza un regolare contratto, con una retribuzione di lire 0 Euro al giorno; egli ha riferito di vivere in affitto con altre cinque persone e di non avere legami familiari in Italia.

d) tali circostanze non sono espressive di una integrazione sociale e lavorativa raggiunta in Italia dal richiedente.

3. Per la cassazione di tale sentenza B.S. ha proposto ricorso affidato a due motivi.

4. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,45,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 difetto di motivazione e travisamento dei fatti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Lamenta motivazione apparente in ordine al fatto decisivo costituito dal documentato percorso di integrazione lavorativa e sociale, dimostrativo di un radicamento nel territorio nazionale. Il dato essenziale – evidenziato dallo stesso Tribunale, ma poi in nessun modo valutato – è costituto dal fatto che il ricorrente lavora stabilmente in Italia sin dal 2014, “in regola quando era possibile al nero altrimenti, ha sempre avuto un alloggio e non ha mai avuto problemi di alcun genere con lo Stato”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi; omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; omesso esame delle fonti informative relativamente alla situazione socio/economica del (OMISSIS); omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e omessa comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza.

Lamenta l’assenza del necessario giudizio di comparazione tra la situazione di integrazione linguistica, lavorativa e sociale raggiunta in Italia, comprovata dalla documentazione prodotta, e la situazione di provenienza (situazione socio-politica del (OMISSIS) risultante dalle fonti più recenti ed aggiornate).

3. I motivi sono strettamente connessi e devono quindi essere esaminati congiuntamente. Il ricorso è meritevole di accoglimento per le ragioni che seguono.

4. Va rammentato che la Direttiva 2013/32/CE prevede che la domanda di asilo reiterata sia anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se, dopo il ritiro della domanda precedente, o dopo che sia stata presa la decisione su quella domanda, siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi, rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di rifugiato. A sua volta il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29 prevede che la Commissione territoriale dichiari inammissibile la domanda di protezione senza procedere all’esame, tra l’altro, anche nel caso in cui (lett. b) il richiedente abbia reiterato identica domanda dopo l’assunzione di una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine.

5. Questa Corte ha avuto modo in proposito di affermare i “nuovi elementi”, alla cui allegazione il D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di riconoscimento della tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione o comunque costitutivi del diritto alla protezione stessa, successivi al rigetto della prima domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei fatti costitutivi del diritto, purchè il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza innanzi alla commissione in sede amministrativa, nè davanti al giudice introducendo il procedimento giurisdizionale di cui all’art. 35 D.Lgs. citato (Cass. n. 5089 del 2013, conforme Cass. n. 18440 del 2019).

6. Tanto premesso, va rilevato che il decreto impugnato ha implicitamente riconosciuto l’ammissibilità della domanda reiterata, rilevando che essa si basava su una nuova allegazione, concernente l’integrazione lavorativa e sociale del richiedente nel territorio nazionale.

7. Secondo costante giurisprudenza, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie dev’essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti e dovendo il relativo accertamento fondarsi su uno scrutinio circa l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990 del 2018). La protezione umanitaria, nella disciplina ratione temporis applicabile alla fattispecie, è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 2017, conf. Cass. n. 14005 del 2018).

8. Le Sezioni Unite della Corte, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia n. 4455 del 2018) che:

a) non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

b) gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

c) l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione;

d) è necessario dare seguito a quell’orientamento di legittimità (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e riaffermato, tra le altre, da Cass. n. 11110 e n. 12082 del 2019) nonchè della prevalente giurisprudenza di merito, che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

9. In linea con tale insegnamento si pone anche questo Collegio, come peraltro già avvenuto con altre innumerevoli pronunce di questa Corte: v, tra le altre, Cass. nn. 2563, 2964, 3776, 3780, 5584, 7599 7675, 7809, 8232, 8819, 8020 del 2020 e molte altre successive.

10. Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo mancato di effettuare la necessaria valutazione comparativa siccome comprendente la situazione di integrazione del richiedente e quella oggettiva nel Paese di origine, oltre ad avere fornito una motivazione apparente in punto di vulnerabilità del richiedente medesimo. Il decreto riporta fonti informative e illustra principi generali senza svolgere alcuna considerazione circa l’applicazione di tali elementi alla fattispecie e, in particolare, senza spiegare le ragioni della mancata disamina delle nuove allegazioni e della nuova documentazione prodotta dal ricorrente a sostegno della domanda.

11. Il decreto dà atto che, dalle informazioni acquisite sul Paese di origine, sussistono in (OMISSIS) abusi e violazione di diritti umani (anche con riguardo alla inaffidabile tutela giudiziaria), ma nulla aggiunge riguardo alle allegazioni e deduzioni in proposito svolte dal richiedente circa i motivi dell’espatrio.

12.Del pari, in merito alla dimostrazione dell’integrazione lavorativa e sociale in Italia, il decreto si limita ad elencare i fatti allegati dal ricorrente dinanzi alla Commissione territoriale e dinanzi all’A.G. aggiungendo, apoditticamente, che “tali condizioni evidentemente, non possono dirsi indicative di un radicamento nel tessuto sociale”, di talchè la motivazione resa in tema di vulnerabilità e di valutazione comparativa è meramente apparente, non espressiva di un vero e proprio percorso logico-argomentativo, frutto di un autentico processo valutativo.

13.Come già affermato da questa Corte, ai fini del giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed a quella alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio. A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone, pertinenti al caso e aggiornate al momento dell’adozione della decisione; conseguentemente, il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di esaminare la documentazione prodotta a sostegno della dedotta integrazione e di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, incorrendo altrimenti la pronuncia nel vizio di motivazione apparente (v. in tal senso, Cass. n. 22528 del 16 ottobre 2020; v. pure Cass. n. 11912 del 19 giugno 2020, n. 18805 e n. 18808 del 10 settembre 2020).

6. Il decreto impugnato va pertanto cassato con rinvio al Tribunale di Catanzaro in diversa composizione collegiale per il riesame della domanda in applicazione dei principi sopra riportati. Il Giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Catanzaro in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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