Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1293 del 19/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1293 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: SCODITTI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso 25142-2016 proposto da:
BARACHIN i

GIOVANNI,

BARACHINI

LUCIANO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,
presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentati e
difesi dall’avvocato GIUSEPPE BRINI;

– ricorrenti contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI PISA, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
RONIA, VIA CRISTOFORO COLOMBO 440, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO TASSONI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LEANDRO BARSOTTI;

– controricorrente contro

Data pubblicazione: 19/01/2018

CALCE ELILSA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1171/2016 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata il 13/07/2016;

partecipata del 04/12/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO
SCODITTI.

[Zie.. 2016 n. 25142 sez. M3 – ud. 04-12-2017
-2-

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

Rilevato che:
Elisa Calce convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Pisa sezione distaccata di Pontedera Giovanni Barachini e Luciano
Barachini chiedendo il risarcimento del danno per le lesione subiUeper
effetto di una frana, proveniente dal terreno collinare sovrastante la

ove l’attrice era trasportata. I convenuti chiamarono in causa la
Provincia di Pisa. Il Tribunale adito accolse la domanda e rigettò

quella di manleva. Avverso detta sentenza proposero appell °A
Barachini

ed

incidentale

l’ente

provinciale

in

ordine

alla

regolamentazione delle spese. Con sentenza di data 13 luglio 2016 la
Corte d’appello di Firenze rigettò l’appello ed accolse quello
incidentale proposto dalla Provincia di Pisa.
Osservò la corte territoriale che i convenuti non avevano
contestato che la frana si fosse staccata dal terreno di loro proprietà
e che non era stata fornita la prova liberatoria del caso fortuito ai
sensi dell’art. 2051 cod. civ.. Precisava a questo proposito che sulla
base delle relazioni tecniche era da escludere l’impossibilità di
approntare una struttura per la regimentazione delle acque
superficiali di ruscellamento (causa principale del dissesto, una volta
che il sentiero all’interno dell’area boschiva aveva perso
completamene la funzione di canale drenante delle acque
meteoriche), anche alla luce di ordinanze sindacali previamente
emanate e non ottemperate, sicché per un verso non aveva ragion
d’essere il riferimento alla condizione dell’intero territorio collinare ed
alla necessità di un intervento dell’ente pubblico, per l’altro non era
stato provato che la situazione di pericolo non fosse eliminabile se
non a condizione di mezzi di intervento straordinario. Aggiunse il
giudice di appello che ai fini di un esonero da responsabilità non
poteva essere invocata l’asserita perdita della custodia in forza
dell’emanazione del decreto dirigenziale della Provincia di

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strada di proprietà dei convenuti, e che aveva investito l’autovettura

occupazione temporanea in via d’urgenza perché, in mancanza di
verbale di immissione in possesso, non era provato che all’atto era
seguito l’effettivo spossessamento e l’acquisto della materiale
disponibilità del bene da parte dell’amministrazione provinciale.
Osservò infine che la responsabilità degli appellanti non avrebbe

peraltro nemmeno fatta valere, della amministrazione provinciale
quale proprietaria della strada perché la domanda di manleva era
stata fondata sullo spossessamento (non dimostrato), né era stato
chiamato in giudizio il terzo quale unico e diretto obbligato in ordine
alla pretesa risarcitoria, chiamata che avrebbe consentito l’estensione
automatica della domanda al terzo chiamato.
Hanno proposto ricorso per cassazione Giovanni Barachini e
Luciano Barachini sulla base di quattro motivi e resiste con
controricorso la Provincia di Pisa. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi
d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della
Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata
memoria.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 10 d. Igs. n.
285 del 1992. Osservano i ricorrenti che in base alla norma citata la
titolarità della scarpata, da cui era provenuta la frana, spettava alla
Provincia e che quindi fino al ciglio superiore della scarpata la collina
che si affacciava sulla strada doveva considerarsi parte della strada
medesima, e dunque nella custodia della Provincia, soggetto
obbligata alla manutenzione.
Il motivo è inammissibile. Ha affermato il giudice di merito che la
responsabilità (peraltro nemmeno fatta valere) della amministrazione
provinciale quale proprietaria della strada non poteva essere
riconosciuta perché la domanda di manleva era stata fondata sullo
spossessamento (non dimostrato) del terreno, né era stato chiamato

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potuto essere elisa da una eventuale concorrente responsabilità,

in giudizio il terzo quale unico e diretto obbligato in ordine alla
pretesa risarcitoria, chiamata che avrebbe consentito l’estensione
automatica della domanda al terzo chiamato. Tale statuizione non è
stata specificatamente impugnata, sicché è priva di decisività la
censura contenuta nel motivo. Benché la carenza di titolarità, attiva o

risultante dagli atti di causa (Cass. Sez. U. 16 febbraio 2016, n.
2951), ciò che viene in rilievo è l’accertamento in ordine al fatto
costitutivo della domanda che è stato dedotto in giudizio.
Con il secondo motivo si denuncia omesso esame delle risultanze
processuali. Osservano i ricorrenti che nella memoria di replica ai
sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. la Provincia aveva riconosciuto di
avere occupato i luoghi dai quali si era originata la frana e che
peraltro l’area in questione era già nella disponibilità della Provincia,
che vi aveva realizzato in precedenza già opere di manutenzione.
Con il terzo motivo si denuncia errata ed omessa valutazione delle
risultanze peritali. Osservano i ricorrenti che dalle relazioni tecniche
emergeva la naturale propensione al dissesto dell’area e l’esigenza di
realizzarvi importanti opere strutturali, le quali non potevano essere
fatte gravare sul privato, e che non era stato provato che il sentiero
nel bosco avesse svolto in passato effettive funzioni di canale
drenante.
Con il quarto motivo si denuncia omessa valutazione del nesso
eziologico all’origine del danno e difetto di legittimazione passiva di
Luciano e Giovanni Barachini. Osservano i ricorrenti che era
totalmente mancata la dimostrazione che la frana fosse provenuta dal
terreno di proprietà dei Barachini e che non era stata fornita alcuna
prova sulla legittimazione passiva dei convenuti, il cui difetto era
rilevabile d’ufficio.
I motivi dal secondo al quarto, da valutare unitariamente, sono
inammissibili. I ricorrenti si dolgono del cattivo esercizio del potere di

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passiva, del rapporto controverso sia rilevabile di ufficio dal giudice se

apprezzamento delle prove, come espressamente affermato nella
rubrica del secondo e terzo motivo, nonché nel corpo del quarto
motivo.
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non
legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio

nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce
rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,
la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali,
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere
decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione
che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente
all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio
2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento,
da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio
di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della

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denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello

2\\

dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13
Così deciso in Roma il giorno 4 dicembre 2017

Dott. ssa Adelaide Amendola

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Il Presidente

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