Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12929 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 23/05/2017, (ud. 15/03/2017, dep.23/05/2017),  n. 12929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2208/2013 proposto da:

LAFATRE S.r.l. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tevere n.44,

presso l’avvocato Di Giovanni Francesco, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico S. Matteo, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Cosseria n.2, presso il dott. P.A., rappresentata e

difesa dall’avvocato Codena Simona, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3378/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/03/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

con sentenza n. 3378/2011, depositata 11 dicembre 2011, la Corte d’appello di Milano rigettava sia l’appello principale proposto dalla LAFATRE s.r.I., sia l’appello incidentale proposto dalla Fondazione IRCCS S. Matteo – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico – Policlinico S. Matteo, avverso la decisione n. 618/2008, emessa dal Tribunale di Pavia, con la quale era stata parzialmente accolta la domanda della Fondazione di risarcimento dei danni subiti per effetto dell’inadempimento della predetta società al contratto in data 19 maggio 1997, avente ad oggetto i lavori di ampliamento e ristrutturazione della clinica di malattie infettive del (OMISSIS);

avverso tale sentenza ha proposto ricorso la LAFATRE s.r.l. affidato a tre motivi, ai quali la Fondazione IRCCS S. Matteo ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Considerato che:

con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1367 e 1372 cod. civ., artt. 806 e 808 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura la decisione di appello nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di incompetenza del giudice adito, proposta dalla LAFATRE s.r.l. in forza della clausola arbitrale contenuta nell’art. 16 del contratto di appalto, stipulato in data 19 maggio 1997 tra la IRCCS S. Matteo e la Costruzioni Generali s.r.l., alla quale era subentrata l’odierna ricorrente;

ad avviso dell’esponente, avrebbe errato la Corte territoriale nel ritenere che la procedura arbitrale – peraltro facoltativa, ai sensi dell’art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, applicabile ratione temporis – incardinata dalle parti con la nomina anche dell’arbitro di propria elezione, si fosse “estinta per accordo delle medesime”, dovendo, per contro, reputarsi che la scelta dei contendenti di adire il collegio arbitrale fosse definitiva, ancorchè le parti stesse non avessero più dato impulso al procedimento dinanzi agli arbitri, talchè dovrebbe ritenersi che le medesime avessero “irretrattabilmente previsto, con effetto vincolante, la devoluzione delle controversie ad arbitri”;

la censura è infondata;

la mancata attivazione da parte dei contendenti per la tempestiva costituzione del collegio arbitrale integra, invero, gli estremi della rinuncia dei medesimi ad avvalersi della norma statutaria relativa all’operatività del detto collegio e fa risorgere il potere delle parti di rivolgersi al giudice ordinario per richiedere una pronuncia sulla controversia, con conseguente inammissibilità dell’eventuale eccezione di incompetenza del giudice ordinario – proposta nella specie dalla LAFATRE s.r.l. – per essere la controversia rimessa alla cognizione degli arbitri (Cass. 04/02/1998, n. 1111);

nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato in fatto che, sebbene la IRCCS San Matteo avesse promosso la procedura arbitrale e la LAFATRE s.r.l. vi avesse aderito, con la nomina – da parte di ciascuno dei contendenti – del proprio arbitro di elezione, nessuna delle due parti aveva, poi, “assunto iniziative per la necessaria nomina del terzo arbitro”, nè aveva “provveduto al pagamento degli acconti di spese richiesti, come imprescindibile condizione di prosecuzione della procedura, dalla Camera arbitrale adita” (p. 6).

la conclusione cui è pervenuto il giudice di seconde cure, circa la rinuncia implicita alla procedura arbitrale, deve, pertanto, reputarsi corretta;

con il secondo e terzo motivo, la ricorrente – deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1183, 1184, 1185 e 1382 cod. civ., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto applicabile la penale contrattuale pattuita per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, senza fare “parola alcuna” delle censure proposte al riguardo dalla LAFATRE s.r.l., non avendo la Corte territoriale “nemmeno preso in esame i motivi d’appello proposti”, come “ricapitolati” nel ricorso per cassazione;

del pari – denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ. – la istante deduce che nella sentenza di seconde cure “non si spende una sola parola sul motivo di appello ampiamente dedotto”, concernente il preteso inadempimento dell’obbligo di prestare garanzia da parte dell’impresa appaltatrice, avendo la decisione d’appello trascurato completamente di “cimentarsi” non il motivo di gravame in questione;

l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra, per vero, un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente, non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo”, ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n.;

la mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro “ex actis” dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo (Cass. 27/10/2014, n. 22759; Cass. 19/01/2007, n 1196; Cass. Sez. U. 27/10/2006, n. 23071; Cass. 27/01/2006, n. 1755);

ad ogni buon conto, i motivi di appello suindicati non sono stati neppure integralmente riprodotti nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass. 20/08/2015, n. 17049);

il ricorso, per tutte le ragioni suesposte, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente soccombente alle spese del presente giudizio.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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