Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12927 del 13/06/2011

Cassazione civile sez. II, 13/06/2011, (ud. 13/05/2011, dep. 13/06/2011), n.12927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.D. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Bosco Gaetano e domiciliato “ex lege” – vi è ammissione al

gratuito patrocinio – presso la Cancelleria della Corte di

cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTO DI MILANO e COMUNE DI MILANO;

– intimati-

per la cassazione della sentenza del Giudice di pace di Milano n.

9209/2009, depositata il 6 aprile 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso: “nulla osserva”.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 2 marzo 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’ari. 380-bis c.p.c.: “Con ricorso notificato il 25 maggio 2010 e depositato il 9 giugno successivo, il sig. M.D. proponeva direttamente ricorso per cassazione (articolato in due motivi) avverso la sentenza del Giudice di pace di Milano n. 9209 del 2009, depositata il 6 aprile 2009, con la quale era stata respinta la sua opposizione formulata ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 e 23 nei confronti del verbale di accertamento della Polizia municipale di Milano n. (OMISSIS) riguardante la contestazione di violazioni al C.d.S.. Nessuno degli intimati si è costituito in questa fase.

Ritiene il relatore che, nella specie, sembrano emergere i presupposti per ritenere inammissibile il proposto ricorso, siccome la sentenza impugnabile non era direttamente ricorribile per cassazione ma appellabile.

Si osserva al riguardo che della L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c. – prima della sua abrogazione per effetto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 26, comma 1, lett. b) (recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2”) ed applicabile alle ordinanze pronunciate ed alle sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006 – dichiarava inappellabili le sentenze emesse in sede di opposizione ad ordinanza- ingiunzione: il carattere di specialità che connotava fortemente l’intero procedimento giustificava – nell’impostazione originaria della stessa legge depenalizzatrice – che tali sentenze non potevano essere appellate, ma solo impugnate direttamente dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto si considerava che, rispetto al procedimento in questione, il codice di rito si poneva come lex generalis, ad eccezione de caso in cui l’oggetto della sanzione amministrativa impugnata fosse riconducibile a prestazioni previdenziali od assistenziali, nella quale ipotesi, prima dell’esercizio del diritto di ricorrere in cassazione, era ritenuta esperibile l’altra impugnazione ordinaria dell’appello.

La giurisprudenza, in proposito, aveva, infatti, statuito che, in materia di applicazione delle sanzioni amministrative ai sensi della L. n. 689 de 1981, il principio generale del previgente art. 23, u.c., della legge stessa – che stabiliva l’inappellabilità e la ricorribilità per cassazione delle sentenze di primo grado rese sull’opposizione all’ordinanza-ingiunzione – non trovava applicazione con riguardo alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, attinenti ad omesso versamento di contributi assicurativi, per le quali il successivo art. 35, comma 4, prescriveva (e continua, tuttora, a prevedere) che il giudizio introdotto dall’opposizione suddetta si sarebbe dovuto svolgere nelle forme di cui all’art. 442 c.p.c., e segg., con la conseguenza che la sentenza di primo grado era (salvo il limite di valore di Euro 25,82) suscettibile di appello secondo le modalità e i termini previsti dall’art. 433 c.p.c., e non direttamente di ricorso per cassazione.

A seguito dell’evidenziata soppressione della L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c. (e, perciò, della previsione del regime speciale di impugnabilità delle sentenze emesse nella materia delle sanzioni amministrative, ad eccezione di quelle ricadenti nell’ambito di applicabilità del disposto di cui all’art. 35 della stessa legge), il legislatore, dunque, ha inteso estendere alle sentenze – senza individuare alcun’altra peculiare disciplina (nemmeno con la successiva L. 18 giugno 2009, n. 69) – il regime impugnatorio ordinariamente applicabile, ai sensi della norma generale di cui all’art. 339 c.p.c., comma 1, alle sentenze di primo grado e, perciò, stabilire che le stesse – sia se emesse dal giudice di pace che dal tribunale in composizione monocratica (in dipendenza delle rispettive competenze fissate nella stessa L. n. 689 del 1981, art. 22) – rimangono assoggettabili fisiologicamente all’appello, il quale dovrà essere proposto dinanzi allo stesso tribunale in composizione monocratica (non ricadendosi in una delle ipotesi di rimessione alla decisione collegiale previste dall’art. 50 bis c.p.c.) nel caso in cui venga impugnata una sentenza del giudice di pace e davanti alla Corte di appello per l’eventualità in cui ad essere impugnata sia una sentenza di primo grado emanata dal tribunale.

Nel nuovo quadro normativo, quindi, la regolamentazione delle impugnazioni delle sentenze in materia di sanzioni amministrative è stata sottratta al pregresso regime speciale e ricondotta nel solco della disciplina impugnatoria comune (ovvero ordinaria), con la conseguente possibilità di sottoporre dette sentenze ad un doppio gravame di controllo, il primo di merito (con l’appello) e il secondo di legittimità (mediante il ricorso per cassazione).

Conseguentemente, essendo stata, nella specie, direttamente impugnata in cassazione una sentenza di primo grado del giudice di pace nella suddetta materia (anzichè appellarla), il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, in tal senso, quindi, ravvisandosi l’emergenza delle condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile)”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale ha aderito lo stesso difensore del ricorrente nella depositata memoria, senza che, peraltro, possa farsi luogo ad alcuna conversione del ricorso per cassazione in atto di appello, chiaramente inammissibile (potendo, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, valutarsi soltanto la possibilità di convertire eventuale altra impugnazione avanzata – ed in ipotesi ammissibile – dinanzi alla Corte di Cassazione in ricorso ordinario e viceversa, sussistendone le condizioni e risultando rispettati i relativi termini di proposizione);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza doversi far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese in difetto di costituzione degli intimati.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2011

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