Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12926 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35809-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

G.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1454/24/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA PUGLIA, depositata l’08/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 1454/24/2019, depositata l’8 maggio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Puglia-sezione staccata di Lecce, ha rigettato l’appello principale dell’Ufficio, oltre a quello incidentale del contribuente, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecce, che aveva accolto il ricorso di G.R. contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno d’imposta 2006, in materia di Irpef, Irap ed Iva, all’esito di accertamenti bancari.

Il contribuente è rimasto intimato.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la nullità della sentenza impugnata per la natura meramente apparente della motivazione, in particolare in ordine all’assolvimento, da parte del contribuente, dell’onere della prova liberatoria rispetto alla presunzione legale relativa della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusto il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2.

Il motivo è infondato.

Infatti, “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6″ (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020, ex plurimis).

Nel caso di specie, la motivazione adottata dal giudice a quo, per quanto non puntuale in ordine al riferimento specifico a singoli dati istruttori apprezzati, non appare tuttavia inferiore al livello minimo costituzionalmente necessario di argomentazione delle ragioni della decisione adottata, come del resto dimostra la stessa proposizione, da parte dell’Amministrazione, del secondo motivo di ricorso, il quale, come subito si dirà, attinge proprio la ratio decidendi essenziale della decisione impugnata, sotto il profilo della violazione di legge.

2. Con il secondo motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e n. 7; del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2; e dell’art. 2697 c.c..

Lamenta infatti l’Agenzia ricorrente che il giudice a quo ha erroneamente affermato che il contribuente, al fine di vincere la presunzione legale relativa della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, potesse limitarsi, come si legge nella motivazione della sentenza impugnata, alla “mera indicazione dei soggetti beneficiari delle somme pagate”, all’esito della quale ” l’Ufficio, avuta la comunicazione delle generalità dei percettori delle somme erogate, era onerato di provare che non corrispondeva a verità quanto dichiarato dal contribuente”.

Il motivo è fondato.

Per quanto qui rileva, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dispone infatti che: “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del n. 7), e dell’art. 33, commi 2 e 3, o acquisiti ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 18, comma 3, lett. b), sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni.”.

La Corte costituzionale, con la sentenza del 6 ottobre 2014, n. 228, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dalla della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole “o compensi”.

All’esito di tale pronuncia del g. delle leggi, questa Corte ha ritenuto che “In tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti.” (Cass., 16/11/2018, n. 29572. Nello stesso senso Cass., 20/01/2017, n. 1519; Cass. n. 5152 e n. 5153 del 2017; Cass., n. 19806 del 2017; Cass. n. 16697 del 2016, ex plurimis).

Nel caso di specie è pacifico che l’Ufficio, in coerenza con l’attribuzione nel ricorso al contribuente dell’attività di imprenditore, abbia applicato nell’accertamento anche la presunzione legale relativa di maggiori ricavi scaturente dai prelevamenti bancari, e la legittimità di tale rilievo non solo non risulta contestata, ma è anzi necessariamente presupposta dalla sentenza impugnata, che più volte fa riferimento al “prelievo”, ai “beneficiari delle somme pagate” ed ai “percettori delle somme erogate”.

Altrettanto pacifico risulta, dalla stessa sentenza impugnata, che l’accertamento abbia applicato tuttavia anche la presunzione legale relativa di maggior reddito derivante dalle operazioni di prelevamento, a loro volta ripetutamente citate nella motivazione. Tuttavia, rispetto a queste ultime, l’argomentazione della CTR, secondo la quale l’indicazione dei nominativi dei “beneficiari delle somme pagate” sarebbe sufficiente a vincere la presunzione legale relativa, appare evidentemente in contrasto con il già richiamato dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, che solo nell’ultimo periodo, e solo con riferimento ai “prelevamenti ” ed “importi riscossi”, contiene l’inciso “se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili”. E’ del resto ovvio, anche sul piano logico, che il “beneficiario”, almeno formale, dei versamenti effettuati sul conto del contribuente non possa essere che quest’ultimo.

La CTR ha quindi, innanzitutto, errato laddove ha ritenuto che le predette indicazioni, da parte del contribuente, dei “beneficiari delle somme” potesse assolvere l’onere probatorio gravante ex lege sulla medesima parte anche con riguardo ai versamenti sui conti correnti presi in considerazione nell’accertamento.

Inoltre, e con riferimento a tutte le operazioni oggetto dei rilievi erariali nell’atto impositivo, la CTR ha anche errato nel determinare il contenuto della prova liberatoria rimessa dalla legge al contribuente, che non si esaurisce nella formale elencazione delle generalità dei terzi coinvolti nei rapporti riferiti alle movimentazioni bancarie, ma deve essere sufficientemente analitica da dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili.

Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, “In tema di accertamenti bancari, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 13112 del 30/06/2020).

Pertanto “In tema di accertamenti bancari, poichè il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10480 del 03/05/2018).

In ordine alle modalità con le quali è consentito fornire la prova liberatoria, è stato peraltro precisato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11102 del 05/05/2017).

La CTR ha quindi ulteriormente errato laddove, con riferimento a tutte le operazioni bancarie, ha ritenuto che l’indicazione delle generalità dei terzi “beneficiari” fosse sufficiente ad assolvere la prova liberatoria gravante sul contribuente e non ha effettuato la verifica rigorosa ed analitica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione.

La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio al giudice a quo, essendo necessari accertamenti in fatto.

PQM

Rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia-sezione staccata di Lecce, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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