Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12925 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 23/05/2017, (ud. 20/12/2016, dep.23/05/2017),  n. 12925

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29497-2014 proposto da:

GENESIS DI C.G. & C. S.A.S. IN LIQUIDAZIONE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè

C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. AVEZZANA 46, presso

l’avvocato MATTEO ACCIARI, rappresentati e difesi dall’avvocato

BRUNO GUARALDI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

GRUPPO CERAMICHE GRESMALT S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MONTE DELLE GIOIE 13, presso l’avvocato CAROLINA VALENSISE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RITA GARLASSI, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO GENESIS DI C.G. & C. S.A.S. IN

LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2254/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 03/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato B. GUARALDI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato C. VALENSISE che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Su ricorso del Gruppo Ceramiche Gresmalt S.p.A. il Tribunale di Modena con sentenza del 7 marzo 2014, ha dichiarato il fallimento di Genesis di C.G. & C. S.a.s. in liquidazione.

2. – Contro la sentenza dichiarativa di fallimento la società fallita ha proposto reclamo che la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 3 novembre 2014, ha respinto.

La Corte territoriale ha ritenuto:

-) che la dichiarazione di fallimento non fosse preclusa dal provvedimento di rigetto, risalente al 2006, di un’analoga precedente istanza, attesa l’inidoneità di detto provvedimento ad acquistare efficacia di giudicato;

-) che, in ogni caso, nell’arco temporale trascorso tra il provvedimento di rigetto e la dichiarazione di fallimento la situazione della società si era aggravata sia nei confronti della creditrice istante che di altri creditori insoddisfatti (fornitori, istituti di credito), come risultanti dallo stato patrimoniale, senza che, nel frattempo, fosse stata compiuta alcuna attività di liquidazione;

-) che le ragioni in forza delle quali la precedente istanza di fallimento era stata rigettata dovevano essere riconsiderate per effetto della decisione con cui il Tribunale di Modena aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da Genesis di C.G. & C. S.a.s. in liquidazione nei confronti di Gruppo Ceramiche Gresmalt S.p.A., concernente il credito posto a fondamento del ricorso per dichiarazione di fallimento;

-) che correttamente in fase prefallimentare non erano stati ammessi i mezzi istruttori richiesti da Genesis di C.G. & C. S.a.s. in liquidazione e volti all’accertamento di suoi crediti nei confronti dell’istante;

-) che la situazione di insolvenza della società era indubbia, dal momento che essa era inattiva dal 2004 ed a partire dal 2011 aveva registrato costanti perdite, con un’esposizione debitoria di circa Euro 1.200.000, nulla rilevando in senso contrario la costituzione di un trust liquidatorio costituito dal socio illimitatamente responsabile della società.

3. – Per la cassazione della sentenza Genesis di C.G. & C. S.a.s. in liquidazione ha proposto ricorso affidato a sei motivi illustrati da memoria.

Gruppo Ceramiche Gresmalt S.p.A. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.

Il Fallimento non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene sei motivi.

1.1. – Il primo motivo è rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 CEDU, degli artt. 111 e 117 Cost., dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.. Il mancato accoglimento dell’eccezione di giudicato. Erronea valutazione della Corte di appello sulla preclusione derivante dal rigetto di precedente istanza di fallimento in base ai medesimi presupposti di fatto e di diritto. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.

La doglianza si appunta contro il segmento della decisione della Corte d’appello che ha disatteso l’eccezione di giudicato fondata sull’autorità di un precedente provvedimento di rigetto di analoga istanza di fallimento.

1.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 18 legge fallimentare, dell’art. 82 c.p.c., comma 2 e art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e degli artt. 111 e 117 Cost.. Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 125 e 132 c.p.c.. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si assume che la verifica della sussistenza dello stato di insolvenza sarebbe stata effettuata sulla base di elementi istruttori che non avrebbero potuto e dovuto essere valutati dalla Corte d’appello, essendo stato peraltro sentito il curatore, che aveva depositato documentazione, nonostante la contumacia del Fallimento.

1.3. – Il terzo motivo è rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. Art. 360, n. 3. Mancata applicazione del principio di non contestazione. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 18 legge fallimentare, dell’art. 82 c.p.c., comma 2 e art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e degli artt. 111 e 117 Cost.. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 125 e 132 c.p.c.. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Art. 360 c.p.c., n. 4”.

La doglianza si riferisce al valore dei beni conferiti in trust, ammontanti a circa 2 milioni di Euro.

1.4. – Il quarto motivo è rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 legge fallimentare. Errata considerazioni dello stato di liquidazione della società. Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 125 e 132 c.p.c.. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe parametrato la verifica della sussistenza dello stato di insolvenza alla situazione di liquidazione della società e, in ogni caso, che avrebbe emesso la propria decisione sulla base di circostanze non allegate dalle parti.

1.5. – Il quinto motivo è svolto sotto la rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.. Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si sostiene che la verifica della sussistenza dello stato di insolvenza sarebbe stata fondata su un’erronea ragionamento presuntivo.

1.6. – Il sesto motivo è rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 legge fallimentare e dell’art. 2729 c.c.. Art. 360 c.p.c., n. 3.. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e degli artt. 1241 e ss., 2738 e 2697 c.c.. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Violazione dell’art. 2733 c.c. e dell’art. 2738c.c.. Erronea valutazione della legittimazione del creditore a proporre l’istanza di fallimento. Motivazione meramente apparente. Nullità della sentenza e/o del procedimento. Art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si sottolinea che le istanze istruttorie formulate avevano lo scopo di dimostrare la carenza di legittimazione attiva in capo alla società istante.

2. – Il ricorso va respinto.

2.1. – Il primo motivo è infondato.

Nel 2006 Gruppo Ceramiche Gresmalt S.p.A. ha avanzato una prima istanza di fallimento nei confronti dell’odierna ricorrente, adducendo a fondamento di essa un credito all’epoca portato da un decreto ingiuntivo oggetto di opposizione, istanza respinta dal Tribunale di Modena con la motivazione che segue: “Il credito dell’istante è ancora sub iudice. Difatti l’ingiunzione ottenuta dalla ricorrente è stata opposta. L’esito della controversia appare di estrema incertezza. Per queste ragioni, ad avviso del Tribunale, dello stato di insolvenza della S.a.s. non esiste una prova sufficiente”.

Con il ricorso depositato il 26 febbraio 2014 Gruppo Ceramiche Gresmalt S.p.A. ha posto a fondamento della domanda di fallimento un credito di Euro 646.765,84 portato non più dal decreto ingiuntivo oggetto di opposizione – quello già scrutinato dal Tribunale in sede di rigetto dell’istanza di fallimento -, essendosi concluso favorevolmente ad essa società opposta il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per effetto di pronuncia da parte del Tribunale di Modena di sentenza del 21 gennaio 2013, già precettata e seguita da pignoramento negativo.

Tanto premesso in fatto, la soluzione adottata dalla Corte d’appello nel disattendere l’eccezione di giudicato formulata in quella sede dalla reclamante, odierna ricorrente, va confermata, con le precisazioni che seguono.

La Corte d’appello ha affermato, con richiamo a numerosi precedenti di questa Corte, che il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento è inidoneo ad acquistare efficacia di giudicato. In effetti tale indirizzo – sostanzialmente uniforme (Cass., Sez. Un., 7 dicembre 2006, n. 26081; Cass. 20 febbraio 2006, n. 2975; Cass. 7 ottobre 2005, n. 19643; Cass. 27 novembre 2001, n. 15018; Cass. 6 ottobre 1999, n. 11107), consenziente la dottrina, tranne qualche isolato precedente disomogeneo, reso in fattispecie particolari (Cass. 18 gennaio 2000, n. 474; Cass. 26 giugno 2000, n. 8660) – è maturato nel contesto normativo antecedente alle riforme della disciplina fallimentare del 2006 e successive modifiche, quando la fase prefallimentare:

i) manifestava una prevalente connotazione pubblicistica, culminante nella previsione della dichiarazione del fallimento d’ufficio, sicchè appariva finalizzata alla soddisfazione non tanto dell’interesse del singolo creditore istante, ma della massa dei creditori e, di qui, della collettività;

ii) si svolgeva in forme camerali, con forte caratterizzazione officiosa.

Ed infatti, in sede prefallimentare “non si attua un diritto soggettivo del creditore al fallimento del proprio debitore in stato di insolvenza, non configurabile sulla base del diritto sostanziale, ma si provvede alla mera gestione e tutela di interessi (quello dell’ordinamento all’organizzazione economica generale, quello dei creditori alla non dispersione del patrimonio e alla attuazione della par condicio creditorum, quello del debitore al non aggravamento del dissesto), e il provvedimento che lo conclude è privo di attitudine al giudicato, in quanto il decreto che accoglie il reclamo è destinato a confluire nella sentenza di fallimento avverso la quale è esperibile l’opposizione, mentre il provvedimento di rigetto non ha alcun effetto preclusivo ed è sempre possibile dichiarare il fallimento, su istanza di diverso creditore o anche dello stesso in relazione a fatti sopravvenuti, preesistenti non conosciuti o anche già dedotti ma rispetto ai quali si prospetti un errore di fatto” (così Cass. 6 ottobre 1999, n. 11107).

La soppressione dell’iniziativa officiosa e la sottoposizione dell’istruttoria prefallimentare ad un modello di tipo contenzioso, pongono le premesse perchè il tema dell’attitudine al giudicato del provvedimento di rigetto venga complessivamente ripensato. In effetti questa Corte si è già interrogata sul problema, osservando che la riproponibilità della domanda di fallimento, già respinta con provvedimento formalmente divenuto inoppugnabile, va valutata in concreto, tenendo conto delle ragioni del rigetto o della revoca del fallimento: sicchè, ove il rigetto del ricorso o la revoca del fallimento siano stati determinati da ragioni meramente processuali (come nel caso di rinuncia del creditore ovvero del P.M.), non si determina alcuna preclusione alla presentazione di una nuova istanza (Cass. 18 giugno 2014, n. 13909).

Tale pronuncia è richiamata anche dalla ricorrente, che, errando, ha creduto poterla volgere a proprio favore, pretendendo di leggervi l’affermazione, che essa certo non contiene in termini assolutistici, secondo cui il rigetto della domanda di fallimento per motivi di merito, all’opposto di quello per motivi meramente processuali, dà sempre luogo al formarsi del giudicato, con conseguente non riproponibilità dell’istanza di fallimento. La menzionata pronuncia, al contrario, non dice questo, nè poteva farlo, dal momento che il caso che la Corte aveva dinanzi non riguardava un rigetto dell’istanza di fallimento per motivi di merito. Ciò detto, è appena il caso di osservare – senza che occorra ulteriormente dilungarsi, per le ragioni che tra breve si diranno – che il giudicato opera per sua natura rebus sic stantibus: copre il dedotto e il deducibile, ma non può coprire ciò che ancora ha da venire ad esistenza, come, nel caso di specie, l’accertamento del credito del creditore istante non più in forza di un decreto ingiuntivo sottoposto ad opposizione, e dunque di una cognizione per ora soltanto sommaria, ma di un decreto ingiuntivo confermato a cognizione piena con sentenza.

Il che renderebbe pienamente condivisibile, se ve ne fosse bisogno, il responso della Corte d’appello la quale ha posto in evidenza l’intervenuta pronuncia della sentenza di reiezione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, oltre al complessivo aggravarsi della situazione della debitrice: ma in realtà di un simile approfondimento non v’era neppure assoluto bisogno, avuto riguardo all’ovvio rilievo che il D.Lgs. n. 5 del 2006, contenente la riforma organica della disciplina del fallimento, è stato pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 13 alla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2006 ed è entrato in vigore, come stabilito all’art. 153, sei mesi dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, precisamente, il 16 luglio 2006, mentre il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento è del 6 giugno 2006, a seguito di istanza di fallimento del 22 marzo 2006, di guisa che la sua autorità, anche a seguito della sua conferma da parte della Corte d’appello, è quella che discende dai principi formatisi nel contesto normativo previgente, in cui l’autorità di giudicato del decreto di rigetto, come si è visto, era in radice esclusa.

2.2. – Il secondo e terzo motivo, che possono essere simultaneamente esaminati, vanno respinti.

La ricorrente si duole in sintesi della nullità della sentenza, perchè e stato sentito il curatore, benchè contumace, che ha prodotto la sua relazione ex art. 33 della legge fallimentare; ha indicato l’ammontare dei debiti prima della dichiarazione di esecutività dello stato passivo; ha definito prescritti i crediti della società fallita; ha affermato che il valore dei beni conferiti in trust era diminuito. Erroneamente inoltre i giudici del merito non avevano considerato che il valore dei beni conferiti in trust non era stato contestato dalla creditrice istante.

In contrario è agevole osservare da un lato che, anche se non gli spetta la notifica dell’ordinanza ex art. 117 c.p.c. (Cass. 9 novembre 2001, n. 13876), il contumace può essere liberamente interrogato dal giudice, e, dall’altro lato, che il giudizio di reclamo possiede un pieno carattere devolutivo.

Ed invero, con riguardo al primo problema, in dottrina non si è mai dubitato dell’ammissibilità dell’interrogatorio libero nei confronti del contumace. L’art. 117 c.p.c., infatti, stabilendo che “il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la comparizione personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa”, gli attribuisce un potere discrezionale a largo raggio e non manifesta alcun indice da cui desumere che detto interrogatorio presupponga la costituzione in giudizio come necessario presupposto. D’altro canto, la non obbligatorietà dell’assistenza tecnica del difensore nel corso dell’interrogatorio libero rafforza la tesi della sua ammissibilità anche nei confronti del contumace. Infine, posto che l’opportunità di chiedere chiarimenti sui fatti della causa o di acquisire elementi sussidiari di valutazione può sussistere anche se una parte non si sia costituita, manca ogni elemento per escludere che il giudice possa ordinare l’interrogatorio libero delle parti in caso di contumacia.

Quanto alla giurisprudenza, questa Corte, in due pronunce, quantunque datate, ma che non v’è ragione di contraddire, ha già escluso che la costituzione in giudizio sia necessaria perchè la parte possa utilmente rendere e il giudice raccogliere le risposte all’interrogatorio libero (Cass. 16 maggio 1964, n. 1202; Cass. 15 luglio 1949, n. 1807). Successivamente il principio è stato ribadito con riguardo al rito del lavoro, essendosi affermato che, come per l’interrogatorio libero ex art. 117 c.p.c., anche per quello obbligatorio previsto dall’art. 420 c.p.c., la parte comparsa personalmente non è chiamata a svolgere un’attività processuale di natura tecnica, con la conseguenza che l’interpello ben può essere reso anche dalla parte non costituita e senza necessità di assistenza o ministero di difensore (Cass. 5 maggio 1982, n. 2818).

Sicchè il Curatore bel poteva essere liberamente interrogato.

Con riguardo al secondo problema, si sa che il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento ex art. 18 della legge fallimentare, come modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che ha ridenominato il precedente istituto dell’appello, adeguandolo alla natura camerale dell’intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno. Ne consegue l’inapplicabilità dei limiti previsti dagli artt. 342 e 345 c.p.c. in tema di nuove allegazioni e nuovi mezzi di prova (Cass. 24 marzo 2014, n. 6835).

Si consideri ancora, nella medesima prospettiva, che in sede di reclamo ai sensi dell’art. 18 il giudice è tenuto a riesaminare, anche avvalendosi dei poteri officiosi previsti dall’art. 18, comma 10, della legge fallimentare, finanche tutte le questioni concernenti l’ammissibilità di una precedente domanda concordataria, pur attinenti a fatti non allegati da alcuno nel corso del procedimento innanzi al giudice di primo grado, nè da quest’ultimo rilevati d’ufficio, ed invece dedotti per la prima volta nel giudizio di reclamo ad opera del curatore del fallimento o delle altre parti (Cass. 22 giugno 2016, n. 12964).

Già da epoca remota è stato poi in particolare affermato che il giudice dell’opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento può trarre elementi di prova dalla relazione del curatore, la quale, per la finalità assegnatale dalla legge di fornire ogni più ampio elemento di valutazione su tutto ciò che possa interessare la procedura concorsuale, compresi i presupposti per la sua apertura e la sua prosecuzione, costituisce una legittima fonte d’informazione, che, ove non sia validamente contraddetta, ben può concorrere alla formazione del convincimento del giudice (Cass. 3 febbraio 1976, n. 353; Cass. 26 marzo 1975, n. 1147).

Sicchè la doglianza è in tutti i suoi aspetti priva di fondamento.

2.3. – Anche il quarto e quinto motivo, con cui la ricorrente sostiene che erroneamente i giudici del merito non hanno adeguatamente considerato lo stato di liquidazione della società, motivando sulla base di presunzioni prive di fondamento, sono inconsistenti.

Ed infatti i giudici del merito hanno appunto ritenuto che il patrimonio sociale fosse insufficiente.

Come è noto, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 della legge fallimentare, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass. 6 settembre 2006, n. 19141; Cass. 14 ottobre 2009, n. 21834; Cass. 30 maggio 2013, n. 13644).

Nel caso di specie, come si è avuto in precedenza modo di ricordare, la Corte d’appello ha puntualmente sottolineato che la società era inattiva dal 2004, che dal 2011 aveva registrato costanti perdite, che aveva un’esposizione debitoria di circa Euro 1.200.000, che non rilevando in senso contrario la segregazione in trust da parte del socio illimitatamente responsabile della società, visto che alla costituzione del trust nessuna attività di concreta liquidazione aveva fatto seguito.

Si tratta di una motivazione conforme a diritto e pienamente appagante e come tale incensurabile, tanto più nel quadro di applicazione dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5.

2.3. – Anche l’ultimo motivo, in punto ad erroneo riconoscimento della legittimazione del creditore istante e mancata ammissione delle prove destinate a dimostrarlo, è infondato.

Basterà rammentare che, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 della legge fallimentare, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass., Sez. U., 23 gennaio 2013, n. 1521).

Sicchè nel caso in esame era senz’altro sufficiente che l’istante avesse ottenuto il decreto ingiuntivo di cui si è detto, confermato con sentenza di primo grado.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna Genesis di C.G. & C. S.a.s. in liquidazione al rimborso, in favore di Gruppo Ceramiche Gresmalt S.p.A., delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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