Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12925 del 13/06/2011

Cassazione civile sez. II, 13/06/2011, (ud. 13/05/2011, dep. 13/06/2011), n.12925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. ZENI

Ferdinando ed elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA ARIANNA a. r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Napoli n.

1176/2009, depositata il 26 maggio 2009 (e non notificata).

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso: “nulla osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Consigliere designato ha depositato, in data 2 marzo 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con la sentenza n. 1776 del 2009 (depositata il 26 maggio 2009 e non notificata), la Corte di appello di Napoli, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da D.A. nei confronti della Cooperativa Arianna a.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 2594/2005, rigettava l’impugnazione proposta e, nel confermare la gravata decisione, condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

Nei riguardi della menzionata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 25 maggio 2010 e depositato il 10 giugno successivo) D.A., articolandolo in due motivi.

In questa fase l’intimata non risulta essersi costituita.

Con il primo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione della normativa sui contratti e compensi dei consulenti del lavoro, avuto riguardo, in particolare, al regolamento recante approvazione delle deliberazioni in data maggio 1991 e 10 giugno 1992 del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro concernenti la tariffa professionale della categoria.

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, con riguardo alla mancata considerazione del parere del Consiglio dell’ordine dei Consulenti del lavoro contenuto nel verbale della Commissione per la liquidazione delle parcelle.

Ritiene il relatore che sembrano sussistere, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti i motivi proposti nelle forme del procedimento camerale, per manifesta inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e ratione temporis applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 26 maggio 2009).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), si rileva che il ricorrente non si è attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., non avendo supportato i due distinti motivi proposti rispettivamente con il quesito di diritto specificamente attinente alla violazione di diritto sostanziale prospettata e con la necessaria sintesi dell’assunto vizio motivazionale (oltretutto prospettato, nella rubrica, sotto il profilo dell’omessa od insufficiente e poi sviluppato, nello svolgimento de motivo, anche sul piano della contraddittorietà).

Ne consegue, quindi, che detti motivi devono considerarsi inammissibili, non risultando il primo (con riferimento al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3) sorretto da quesito la cui formulazione avrebbe dovuto essere idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), e non risultando – quanto al secondo – specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, senza svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza delle specifiche censure.

In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. (nella versione ante L. n. 69 del 2009), potendosi ravvisare l’inammissibilità in toto del ricorso”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti (non essendo risultate depositate memorie a tal fine e non essendo comparso alcuno all’adunanza camerale);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile senza farsi luogo ad alcuna pronuncia sulle spese del presente giudizio, in difetto di costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2011

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