Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12924 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. III, 26/06/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 26/06/2020), n.12924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11773-2019 proposto da:

C.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

EDOARDO ROCCO;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

avverso la sentenza n. 1903/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 02/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2020 dal Consigliere Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/11/2018 la Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato il reclamo interposto dal sig. C.A. in relazione alla pronunzia Trib. Catanzaro 28/1/2016 d’inammissibilità della domanda proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonchè dei sigg.ri P.M., N.B. e M.P. – magistrati del Tar Basilicata, e per essi del Ministero della giustizia, di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza della sentenza Tar Basilicata (di cui questi ultimi hanno integrato il Collegio) D.D. 5/6/2014, di rigetto della domanda di annullamento del provvedimento emesso dal Questore di Potenza, su iniziativa del Comando della Stazione dei Carabinieri di San Fedele, D.Lgs. n. 159 del 2011, ex artt. 1 e 2 di “divieto di fare ritorno nel Comune di San Fedele per anni uno”, all’esito dell’accusa di truffa in concorso.

Provvedimento di rigetto del reclamo poi annullato dal giudice amministrativo d’appello (provvedimento Cons. Stato in data 4/12/2014), in quanto “manifestamente illogico e sproporzionato rispetto al quadro d’insieme”.

Avvero la suindicata pronunzia della corte di merito il Cantore propone ora ricorso per cassazione affidato a 3 motivi.

L’intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione della legittimità dell’impugnazione proposta nella forma dell’appello. Decreto di inammissibilità pronunciato L. n. 117 del 1988, ex art. 5 (Legge Vassalli). L. 27 febbraio 2015, n. 18”.

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia “applicazione al giudizio del filtro L. n. 117 del 1988, ex art. 5. Giurisprudenza della Suprema Corte”.

Con il 3 motivo il ricorrente denunzia violazione della L. n. 117 del 1988, art. 2.

Si duole di non aver “potuto giovarsi della trattazione nelle forme ordinarie, con conseguente diminuzione del diritto di difesa”.

Lamenta che la L. n. 117 del 1988, art. 5 è stato artatamente usato ed applicato al caso di specie”.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente applicato L. n. 117 del 1988, art. 5 “perchè trattasi di atto compiuto sotto il vigore della legge abrogata”.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che è stata correttamente applicata nella specie la disciplina L. n. 117 del 1988, ex art. 5, risultando essere stato l’atto introduttivo del giudizio in primo grado notificato e depositato in Cancelleria per l’iscrizione a ruolo – come dallo stesso ricorrente indicato nel ricorso-rispettivamente in data 13/2/2015 e in data 18/2/2015, e pertanto anteriormente al 19/3/2015, data di entrata in vigore della L. n. 18 del 2015, sicchè la corte di merito correttamente ha fatto applicazione del principio affermato da questa Corte in base al quale in tema di responsabilità civile dei magistrati la sopravvenuta abrogazione della disposizione di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 5, per effetto della L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2, non ha efficacia retroattiva, onde l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione, con la conseguenza che il giudizio di ammissibilità previsto dal suindicato art. 5 continua ad applicarsi alle domande come nella specie proposte con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015 (cfr. Cass., 17/1/2017, n. 932; Cass., 15/12/2015, n. 25216).

A tale stregua il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c..

Non può d’altro canto sottacersi che il ricorso risulta altresì formulato in violazione dei requisiti a pena d’inammissibilità prescritti all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il ricorrente ha infatti posto a relativo fondamento fatti, atti e documenti del giudizio di merito (es., l'”atto di citazione notificato in data 13/02/2015 e depositato in data 18/2/2015″, il “provvedimento del Questore… a carico di C.A.”, il non risultare “a carico del medesimo… alcun precedente di polizia e tanto meno penale (come anche ammesso dalla difesa di parte appellata)”, la “situazione patrimoniale e reddituale del medesimo”)), senza invero debitamente riportarli -per la parte strettamente d’interesse- nel ricorso, ovvero laddove (in tutto o in parte) riportati senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della loro con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità, la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 77011.

Non sono infatti sufficienti affermazioni -come nel caso- apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

E’ al riguardo appena il caso di sottolineare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso rilevano ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza del merito che in caso di mancanza dei medesimi rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso.

Tali requisiti vanno indefettibilmente osservati anche in ipotesi di non contestazione ad opera della controparte, quando cioè si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum in quanto non contestata (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221); come pure nel caso in cui la S.C. sia (anche) “giudice del fatto”.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di precisare (v., con particolare riferimento all’ipotesi della revocazione ex art. 391 bis c.p.c., Cass., 28/7/2017, n. 1885, e relativamente dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), allorquando la Corte di legittimità diviene giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta infatti pur sempre l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando questa sia stata accertata diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, più recentemente, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 17/2/2017, n. 4288 e Cass., 3/10/2019, n. 24648).

Senza sottacersi che a sostegno del 2 e del 3 motivo non risultano invero sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi il ricorrente limitato a muovere apodittiche doglianze prive di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, appalesandosi invero nulle per inidoneità al raggiungimento dello scopo, sicchè quanto dedotto dal ricorrente si risolve in realtà nella proposizione di “non motivi” (cfr. Cass., 8/1/2010, n. 120; Cass., 29/8/2019, n. 21793; Cass., 28/8/2018, n. 21246; Cass., 12/6/2018, n. 15190).

Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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