Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12924 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 26/05/2010), n.12924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso

la stessa domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.D., rappresentato e difeso dall’avv. Belletti Aldo ed

elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. Antonio Fava in via

Serra del Falco n. 7;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 316/63/06, depositata il 9 novembre 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 febbraio 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco.

la Corte:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 316/63/06, depositata il 9 novembre 2006, che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Brescia (OMISSIS), ha riconosciuto a M.D., medico libero professionista, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001.

Il contribuente resiste con controricorso.

Il ricorso contiene tre motivi, rispondenti ai requisiti prescritti dall’art. 366-bis cod. proc. civ..

Con il primo motivo si denuncia violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione; con il secondo e con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione.

La ratio decidendi della sentenza impugnata non è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce poi onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, e n. 3680 del 2007).

Tuttavia, la decisione gravata contiene un inequivoco accertamento di fatto in ordine all’insussistenza, nella specie, di autonoma organizzazione, che non è oggetto di adeguata censura e che sembra rendere il dispositivo conforme a diritto.

In conclusione, si ritiene che, ai sensi degli art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 380-bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso, previa correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4 deve essere rigettato;

che sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio, considerato che l’orientamento giurisprudenziale di riferimento ha preso corpo dopo la proposizione del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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