Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12924 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.23/05/2017),  n. 12924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8534-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 736/2010 della CORTE DI APPELLO DI ROMA,

depositata il 26/03/2010 R.G.N. 10345/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 26 marzo 2010 Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche derivanti dall’attuazione di previsioni di accordi sindacali del 2001/2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza con il periodo estivo, di cui al contratto di lavoro stipulato per il periodo 5.7.2002 – 30.9.2002 tra C.R. e Poste Italiane Spa e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate dalla messa in mora del 28.11.2003 sino al 30.9.2005;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui ha opposto difese l’intimato con controricorso, illustrate da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4, nonchè degli artt. 1362 e ss. e 1325 e ss. c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo per genericità della clausola; con il secondo motivo si denuncia omessa ed insufficiente motivazione per avere la sentenza impugnata reputato l’illegittimità della clausola, senza minimamente motivare sulla idoneità della compresenza, in seno al contratto, di più ragioni, fra esse non incompatibili, a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto; con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di plurime norme di legge, sostenendo che costituiva onere del lavoratore provare l’estraneità della sua assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno ai singoli contratti, e che, comunque, la prova orale articolata da Poste Italiane era da ritenersi idonea a fornire adeguata dimostrazione delle esigenze sottese alla assunzione; con il quarto motivo si denuncia omessa ed insufficiente motivazione per avere la Corte adita omesso di valutare e di spiegare per quali ragioni la prova testimoniale articolata non era risultata meritevole di accoglimento, magari anche facendo ricorso ai poteri istruttori d’ufficio; con il quinto motivo si denuncia ancora violazione di legge in ordine alle richieste economiche del lavoratore, che avrebbe avuto diritto alle retribuzioni solo dal momento della effettiva ripresa in servizio; in connessione con tale ultimo motivo la società ha invocato l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32;

che il decisum della Corte territoriale si fonda su di una duplice ratio decidendi, ciascuna idonea a sorreggere la decisione: l’una attinente alla genericità della clausola appositiva del termine, statuizione censurata con il primo e secondo motivo di ricorso; l’altra attinente la carenza di allegazione e prova in ordine alla correlazione “tra le ragioni della stipulazione a termine quali esposte nel contratto e le ragioni sottese alla astratta negoziata ammissibilità della pattuizione stessa”, statuizione censurata con il terzo e quarto mezzo di gravame;

che questi ultimi motivi, infondato in diritto l’assunto che non gravi sul datore di lavoro l’onere di provare la ricorrenza delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine, non possono trovare accoglimento, atteso che essi tendono ad una rivalutazione della quaestio facti, con doglianze anche attinenti alla rilevanza ed all’ammissibilità della prova di pertinenza del giudice di merito, che sfuggono al sindacato di questa Corte, laddove il decisum, come nella specie, sia sorretto da adeguata motivazione;

che sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sè solo, idoneo a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cfr., in merito, ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009), può ritenersi nel caso di specie che se l’indicata ragione della decisione “resiste” all’impugnazione proposta dal ricorrente con il terzo e quarto motivo è del tutto ultronea la verifica della censura di cui al primo e secondo motivo, perchè l’eventuale accoglimento di esso non condurrebbe mai alla cassazione della sentenza gravata;

che, invece, vanno accolte per quanto di ragione le residue censure riguardanti le conseguenze economiche dell’illegittimità del termine, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. 12.8.2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati); nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f, (da ultimo Cass. n. 7132 del 2016);

che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;

che pertanto non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto della L. n. 183 del 2010, art. 32 affinchè la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;

che, pertanto, respinti gli altri motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062 del 2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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