Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12923 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.23/05/2017),  n. 12923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8531-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

Via GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1806/2010 della CORTE DI APPELLO DI BARI,

depositata il 31.03.2010 R.G.N. 5207/2008.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 2 aprile 2010 la Corte di Appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche derivanti dall’attuazione di previsioni di accordi sindacali del 2001/2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza con il periodo estivo, di cui al contratto di lavoro stipulato per il periodo 8.7.2002 – 30.9.2002 tra F.A. e Poste Italiane Spa, e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con condanna della società al versamento delle retribuzioni dovute dalla messa in mora del 17.9.2004, detratto l’aliunde perceptum;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui ha opposto difese l’intimata con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4 nonchè degli artt. 1362 e ss. e 1325 e ss. c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo per genericità della clausola; con il secondo motivo si denuncia omessa ed insufficiente motivazione per avere la sentenza impugnata reputato l’illegittimità della clausola, senza minimamente motivare sulla idoneità della compresenza, in seno al contratto, di più ragioni, fra esse non incompatibili, a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto; con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di plurime norme di legge, sostenendo che costituiva onere del lavoratore provare l’estraneità della sua assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno ai singoli contratti, e che, comunque, la prova orale articolata da Poste Italiane era da ritenersi idonea a fornire adeguata dimostrazione delle esigenze sottese all’assunzione; con il quarto motivo si denuncia omessa ed insufficiente motivazione per avere la Corte adita omesso di valutare e di spiegare per quali ragioni la prova testimoniale articolata non era risultata meritevole di accoglimento, magari anche facendo ricorso ai poteri istruttori d’ufficio; con il quinto motivo si denuncia ancora violazione di legge in ordine alle richieste economiche del lavoratore, che avrebbe avuto diritto alle retribuzioni solo dal momento della effettiva ripresa in servizio; infine, nell’ipotesi di conferma della sentenza, la società ha invocato l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32;

che il primo ed il secondo motivo di impugnazione risultano inconferenti in quanto la Corte territoriale pone la ragione fondamentale del decisum non tanto sulla genericità della clausola appositiva del termine, quanto piuttosto sulla “carenza di prova (affidata ad un capitolo del tutto generico)” circa le dichiarate condizioni che giustificassero la stipula del contratto a termine, anche avuto riguardo alla causale della sostituzione di personale in ferie per la quale non vi era stata “alcuna richiesta di prova”;

che il terzo e quarto motivo, infondato in diritto l’assunto che non gravi sul datore di lavoro l’onere di provare la ricorrenza delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine, non possono trovare accoglimento, atteso che essi tendono ad una rivalutazione della quaestio facti di competenza del giudice del merito, anche mediante doglianze attinenti all’ammissibilità ed alla rilevanza della prova che sfuggono al sindacato di questa Corte, laddove il decisum, come nella specie, sia sorretto da adeguata motivazione;

che, invece, vanno accolte per quanto di ragione le residue censure riguardanti le conseguenze economiche dell’illegittimità del termine, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. 12.8.2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati); nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f, (da ultimo Cass. n. 7132 del 2016);

che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può concernere anche la violazione di disposizioni – emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;

che pertanto non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto della L. n. 183 del 2010, art. 32 – di cui questa Corte ha già vagliato la compatibilità comunitaria (v. tra le altre Cass. n. 151 del 2015) e convenzionale (v. Cass. n. 16545 del 2016) affinchè la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;

che, pertanto, respinti gli altri motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062 del 2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 rigettati gli altri, e la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Bari, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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