Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12921 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12921 Anno 2015
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: RUBINO LINA

Data pubblicazione: 23/06/2015

PU

SENTENZA

sul ricorso 12032-2012 proposto da:
CORTICELLA MOLINI E PASTIFICI S.P.A. 00302260377 in
persona del procuratore speciale Dott. STEFANO
COMETTO, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
GENTILE DA FABRIANO 3, presso lo studio dell’avvocato
RAFFAELE CAVALIERE,
2015
969

che la rappresenta

e

difende

unitamente all’avvocato MARIA COSTANZA giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA in persona del legale

\g-

rappresentante pro tempore Dott. DOMENICO FURCI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MALCESINE 30,
presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PORCELLI, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PATRIZIA CARLI giusta procura speciale in calce al
controricorso;

HERA SPA in persona de legale rappresentante pro
tempore Dott.ssa MILA FABBRI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA MALCESINE 30, presso lo
studio dell’avvocato GIOVANNI PORCELLI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PATRIZIA CARLI giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1331/2011 della CORTE
D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 08/11/2011,
R.G.N. 1777/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/04/2015 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO;
udito l’Avvocato RAFFAELE CAVALIERE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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1,- \o,

R.G. 12032 \ 2012

La Corticella Molini e Pastifici s.p.a., società che svolge l’attività di lavorazione e
produzione di prodotti alimentari, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna
la Seabo s.p.a., società che gestiva la erogazione idrica nel territorio del Comune di
Bologna, chiedendone la condanna al risarcirnento dei danni provocati dall’allagamento
del proprio stabilimento industriale a causa della rottura di un tratto di condotta idrica
facente parte dell’acquedotto pubblico, interrata nell’atea prospiciente allo stabilimento,
con interruzione della produzione per alcune ore ed inutilizzabilità del prodotto in
lavorazione al momento dell’allagamento. Veniva chiamata in causa la compagnia di
assicurazioni della Seabo, Milano Ass.ni s.p.a.
11 Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento delle domande della Corticella,
dichiarava la Seabo responsabile dei danni e la condannava a versare all’attrice la somma
di euro 12.891,00 equitativamente determinata.
La Hera s.p.a., già Seabo, proponeva appello chiedendo il rigetto di ogni domanda nei
propri confronti, e la Corticella proponeva a sua volta appello incidentale ritenendo che
il danno fosse stato liquidato in misura inferiore a quanto effettivamente subito.

I FATTI

La Corte d’Appello di Bologna emetteva dapprima una sentenza non definitiva, in cui
respingeva l’appello principale della Hera, confemrnando che la responsabilità
dell’allagamento nei locali della Corticella fosse da ascrivere alla società erogatrice
dell’acqua nel Comune di Bologna e, dopo l’espletamento di una c.t.u., emetteva la
seconda sentenza definitiva in cui rigettava l’appello incidentale della Corticella e poneva
a carico di questa la refusione integrale delle spese legali di appello in favore sia della
Hera che della Milano Assicurazioni.

3

v)-

Corticella Molini e Pastifici s.p.a. propone ricorso per cassazione articolato in cinque
motivi ed illustrato da memoria nei confronti di Hera s.p.a. già Seabo s.p.a. e di Milano
Ass.ni s.p.a. per la riforma della sentenza n. 1331 del 2011 emessa dalla Corte d’Appello
di Bologna 1’8 novembre 2011.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente denuncia con il primo motivo

la violazione e falsa applicazione dell’

art.112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c. per non aver la corte
pronunciato sulla istanza risarcitoria concernente il danno da mancata produzione.
Sostiene di aver proposto appello incidentale non soltanto perché la quantificazione del
danno effettuata in prime cure era di troppo inferiore al danno effettivamente subito, ma
anche perché, in particolare, non era stato affatto liquidata la voce di danno da mancata
produzione e che di questo non si sia tenuto conto.
Il motivo è infondato.
Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia, in quanto la corte d’appello ha
esaminato la domanda della ricorrente di liquidazione del maggior danno effettivamente
subito per aver perduto la lavorazione in corso e l’ha rigettata ritenendo che l’effettivo
ammontare del danno subito non fosse stato idoneamente provato con l’unico
documento prodotto dalla società fin dal giudizio di primo grado, che è un prospetto
riepilogativo proveniente dalla stessa attrice contenente le indicazioni delle ore di lavoro,
delle materie prime e delle lavorazioni perdute.
Con il secondo motivo di ricorso, la Corticella deduce la sussistenza di un vizio di
contraddittorietà della motivazione sullo stesso punto, laddove la corte d’appello ha
dapprima ritenuto provata l’esistenza del danno (con la sentenza non definitiva)
rimandandone solo la quantificazione alla consulenza tecnica, per poi discostarsi dalla

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La Milano Ass.ni s.p.a. e la Hera s.p.a. resistono con controricorso.

consulenza tecnica e rigettare la domanda relativa alla liquidazione del danno da perdita
della produzione.
Il motivo è infondato. Non c’è alcuna contraddittorietà della motivazione.
La corte d’appello ha deciso di non avvalersi delle risultanze della consulenza tecnica
perché ne ha dichiarato la nullità, in quanto solo in sede di consulenza tecnica, in

contraddittorio, la Corticella ha trasmesso direttamente al consulente una serie di
documenti atti a comprovare i costi delle lavorazioni perdute ed i quantitativi, suscitando
le immediate contestazioni della controparte. Alla pronuncia di nullità della consulenza
non poteva che derivare l’inutilizzabilità di essa e di tutto il materiale irregolarmente
acquisito dal consulente, la cui irregolare acquisizione ne aveva provocato la nullità.
Con il terzo motivo di ricorso, la Corticella denuncia la presenza di un error in procedendo
per violazione degli artt. 184 e 194 c.p.c., per aver i giudici territoriali considerato mezzo
di prova la c.t.u. e precluso al c.t.u. l’acquisizione di dati rilevanti. La ricorrente illustra
che lo stesso ctu, non potendo elaborare una risposta ai quesiti sulla base della sola
tabella riassuntiva prodotta dal pastificio, ha acquisito dalla Corticella, nonostante
l’opposizione delle difese delle altre parti, la documentazione necessaria per
comprendere, elaborare e verificare l’esattezza del prospetto
Sostiene la ricorrente che i giudici di Bologna, nel ritenere inutilizzabile la consulenza
viziata da tale irrituale acquisizione documentale, avrebbero violato il principio di diritto
più volte affermato da questa Corte secondo il quale al consulente tecnico è consentito
acquisire aliunde i dati necessari per svolgere l’accertamento affidatogli (Cass. n. 1901 del
2010 ed altre).
Il motivo è infondato, perché è errata l’interpretazione che la ricorrente dà al suddetto
principio di diritto in ordine alla possibilità del consulente di acquisire aliunde la
documentazione necessaria per elaborare la consulenza.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che in tema di consulenza
tecnica d’ufficio, rientri nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere “aliunde”
notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti
oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente
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violazione sia dei termini per la produzione documentale che del principio del

il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del
convincimento del giudice purchè ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano
messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass.
n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del 2008; Cass. n. 1901 del
2010).
del consulente e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde.
Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento
dell’incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del
consulente, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere
probatorio.
Esso viene legittimamente esercitato in tutti i casi in cui al consulente sia necessario, per
portare a termine l’indagine richiesta, acquisire documenti in genere pubblici non
prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a termine l’indagine e per
verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può
trattarsi, esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per
determinare il canone di locazione, documentazione relativa ai piani regolatoti, dati
riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati per verificare che l’indennità di
esproprio sia stata correttamente quantificata). Potrà anche, nel contraddittorio delle
parti, acquisire documenti non prodotti e che possano essere nella disponibilità di una
delle parti o anche di un terzo qualora ne emerga l’indispensabili all’accertamento di una
situazione di comune interesse ( quali atti di frazionamento per individuare il confine tra
due fondi).
Può acquisire inoltre dati tecnici di riscontro a lie affermazioni e produzioni documentali
delle parti, e pur sempre deve indicare loro la fonte di acquisizione di questi dati per
consentire loro di verificarne l’esatto e pertinente prelievo.
Quindi l’acquisizione di dati e documenti da parte del consulente tecnico ha funzione di
riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti.
Non è invece consentito al consulente sostituirsi alla stessa parte, andando a ricercare
aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua, che costituiscono
6

E tuttavia occorre chiarire entro che limiti è legittimo l’esercizio di tale facoltà da parte

materia di onere di allegazione e di prova (ovvero gli atti e i documenti che siano nella
disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua
pretesa )che non gli siano stati forniti, acquisendoli, come è avvenuto in questo caso,
dalla parte che non li aveva tempestivamente prodotti, nonostante l’opposizione della
controparte, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplite al carente

del contraddittorio.
Anche col quarto motivo la ricorrente denuncia la presenza di un error in procedendo,
per aver i giudici d’appello ritenuto di poter omettere la decisione sull’entità del danno
risarcibile, perché gli stessi hanno giudicato nulla la c.t.u. disposta per la quantificazione
del danno.
Non contesta. in sé la dichiarata nullità della c.t.u., ma sostiene che dalla declaratoria di
nullità della c.t.u. non si poteva far discendere il rigetto della domanda dell’appellante
incidentale al risarcimento del danno effettivamente subito; al contrario, la consulenza
nulla avrebbe dovuto essere rinnovata. Sostiene che in tal modo il diritto risarcitorio sia
stato ingiustamente negato, senza neppure esaminare i documenti prodotti, solo
asseritamente nuovi.
Anche il quarto motivo è infondato, per motivi che si collegano a quanto finora
osservato.
Come già esposto in riferimento al secondo motivo, nessuna violazione delle norme
processuali è stata commessa dalla corte d’appello che, dichiarata la nnilità della
consulenza tecnica, non ha tenuto in alcun conto l’elaborato del c.t.u.
La corte non ha poi provveduto a rinnovare la c.t.u., limitandosi a rigettare la domanda
della società ricorrente, volta ad ottenere l’accertamento del danno effettivamente subito,
perché la stessa società ricorrente non ha prodotto tempestivamente, nei termini previsti
per le produzioni documentali in primo grado, la documentazione atta a provare
l’ammontare effettivo dei danni subiti a seguito della interruzione della lavorazione per
una giornata lavorativa, e quindi la documentazione attestante il numero di operai
impiegati in azienda il giorno dell’allagamento, le produzioni in corso, il quantitativo di
materie prime andati distrutti, gli ordini inevasi o evasi in ritardo a causa
7

espletamento dell’onere probatorio, in violazione sia dell’art. 2697 cc. che del principio

dell’allagamento, ma si è limitata a produrre un prospetto riepilogativo senza alcuna
documentazione di supporto.
A fronte di tale situazione, il giudice di primo grado non ha dato ingresso alla consulenza
ritenendola implicitamente esplorativa e, risultando comunque la prova dell’esistenza di
un danno, perché gli impianti si erano fermati e certamente era stato necessario
interrompere la produzione quanto meno per il tempo necessario a ripulirli dall’acqua, ha

liquidato una somma contenuta a titolo di risarcimento equitativamente determinato del
danno.
Il giudice di secondo grado ha invece dato ingresso alla consulenza, chiedendo al
consulente se le cifre riportate nel prospetto fossero congrue.
Il consulente, non essendo in grado di formulare il giudizio di congruità richiestogli
senza una verifica documentale sulle produzioni in corso, sui materiali impiegati, sul
numero degli operai al lavoro etc., ha direttamente richiesto alla ricorrente la produzione
documentale che questa non si era curata di predisporre e depositare tempestivamente,
nonostante l’opposizione della controparte.
A fronte di ciò, la corte d’appello non ha potuto che dichiarare la nullità della
consulenza ( nullità che in questa sede non è stata neppure fatta oggetto di un motivo di
ricorso)e ha ritenuto nella sua valutazione discrezionale che fosse inutile disporne la
rinnovazione, non potendo più la parte fornire al consulente quei documenti senza i
quali una stima effettiva dei danni non era praticabile. Così sfrondato il campo sia dalle
risultanze della consulenza fondate su dati dei quali il consulente non avrebbe potuto
disporre, che dalle documentazioni illegittimamente in quella sede prodotte, la corte
d’appello non ha fatto altro che rigettare la domanda volta alla liquidazione del danno
effettivamente subito per difetto di prova da parte dell’originaria attrice, in corretta
applicazione dell’art. 2697 c.c.
Infine, con il quinto motivo di ricorso, la Corticella lamenta l’omessa pronuncia sulla
richiesta condanna alle spese di Hera e l’erronea condanna di Corticella al pagamento
delle spese di lite della terza chiamata.
La ricorrente evidenzia che la corte d’appello ha sbagliato nella liquidazione delle spese,
per due ordini di ragioni :
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íf’

-perché non ha liquidato le spese conseguenti al rigetto dell’appello principale ( in cui
Hera e la sua chiamata in causa erano soccombenti) ma ha tenuto conto solo della
soccombenza della Corticella rispetto all’appello incidentale; e
– perché nel far ciò ha posto a carico di Corticella anche le spese sostenute dalla
compagnia di assicurazioni di Hera, alla cui presenza in giudizio essa non aveva dato

Il motivo di ricorso è fondato quanto al primo aspetto, infondato quanto al secondo.
Effettivamente la corte d’appello, nel liquidare unitariamente all’esito della seconda
sentenza, quella definitiva, le spese del giudizio di appello, non ha considerato che
l’appello principale di Hera, supportato dalla sua assicuratrice Milano Ass.ni e volto a far
cadere la sentenza di primo grado laddove conteneva la sua affermazione di
responsabilità e la condanna equitativa al risarcimento del danno nella misura di
12.000,00 curo circa, era stato rigettato con la sentenza non definitiva, ed ha posto
integralmente a carico della sola Corticella, soccombente solo rispetto all’appello
incidentale in ordine al quantum ma vincitrice in relazione all’appello principale in ordine
all’an, le spese dell’intero giudizio di appello, laddove non avrebbe dovuto porre a suo
carico anche le spese in relazione a quella parte della lite in cui era risultata vincitrice.
Quanto alla condanna della Corticella, originaria attrice, a rifondere anche le spese di
lite sostenute dalla compagnia di assicurazioni chiamata in causa dalla convenuta, essa è
in sé corretta (nei limiti in cui Corticella deve essere condannata a pagare le spese di lite) ,
in quanto si applica il principio di causalità della lite, per cui il rimborso delle spese
processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a
carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi
sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che
l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso
rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo
qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (in questo senso, tra le
altre, Cass. n. 7431 del 2012).
In accoglimento parziale del quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere
cassata.
9

causa e nei cui confronti non aveva formulato alcuna domanda.

Poiché non è necessario un nuovo accertamento in fatto, su questo punto la Corte, ex
art. 384 secondo comma c.p.c. può decidere la causa nel merito, senza necessità di
rinviarla per una nuova decisione alla Corte d’Appello di Bologna.
Le spese di lite della fase di appello vanno pertanto riliquidate, in parziale accoglimento
del quinto motivo e possono essere integralmente compensate, in ragione della

In ragione del parziale accoglimento del ricorso, anche le spese del giudizio di cassazione
possono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso, accoglie in parte il quinto, cassa la
sentenza impugnata e decidendo nel merito compensa integralmente tra le parti le spese
del giudizio di appello.
Spese del giudizio di cassazione compensate.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 21 aprile 2015

Il Consigliere estensore

Il Presid te

soccombenza reciproca.

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