Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12921 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.23/05/2017),  n. 12921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5352-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 19 febbraio 2010, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato la nullità del contratto a termine stipulato da Poste Italiane s.p.a. con I.C. dal 1 luglio al 30 settembre 1998 per esigenze di sostituzione di personale in ferie, a norma dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994 e L. n. 56 del 1987, art. 23 e la decorrenza del rapporto di lavoro tra le parti a tempo indeterminato dal 1 luglio 1998: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece accertato la nullità della clausola di apposizione del termine al contratto stipulato tra le parti dal 22 agosto al 30 settembre 1997 e la decorrenza del rapporto a tempo indeterminato del rapporto dalla prima data; nel resto rigettando l’appello di Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale, per le parti di ordine di riammissione in servizio con le mansioni proprie dell’area operativa nella quale la lavoratrice era stata inquadrata e di condanna della società datrice al pagamento delle mancate retribuzioni dalla data di messa in mora dell’8 agosto 2003 all’effettivo ripristino del rapporto, detratto l’aliunde perceptum di Euro 11.693,00, oltre accessori;

che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso con due motivi, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso;

che l’udienza originariamente fissata per il 17 marzo 2016 (in vista della quale la controricorrente aveva depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.) è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulle ordinanze di rimessione nn. 14340/15 e 15705/15;

che è stata depositata memoria da I.C..

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente deduce omessa motivazione su fatto controverso e decisivo, quale l’ultrattività del CCNL 26 novembre 1994, nonostante la sua scadenza al 31 dicembre 1997 e la mancanza di una clausola espressa in tale senso, sulla base di circostanze evidenzianti l’intenzione delle parti sociali della sua ulteriore applicazione (per gli accordi immediatamente a ridosso della scadenza suddetta, come l’accordo del settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 1994 e quelli ad essa successivi) e del comportamento concludente delle parti (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 c.c., per inesistenza di un obbligo retributivo a carico datoriale dalla data di messa in mora, in difetto di prestazione lavorativa, anzichè dall’effettiva ripresa del servizio, nè risarcitorio in favore del lavoratore e tenuto conto dell’applicabilità della L. n. 183 del 2001, art. 32, comma 5 quale ius superveniens (secondo motivo);

che ritiene il collegio che il primo motivo debba essere dichiarato inammissibile e invece accolto il secondo, nella parte relativa all’applicazione della L. n. 183 del 2001, art. 32, comma 5 quale ius superveniens, assorbita quella riguardante il regime previgente;

che, infatti, il primo motivo introduce per la prima volta in sede di legittimità una questione nuova che non risulta trattata nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, neppure avendone la ricorrente allegato l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, indicando in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nè tanto meno trascrivendolo (Cass. 22 aprile 2016, n. 8206; Cass. 11 novembre 2015, n. 23045; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 9 novembre 2009, n. 23717);

che, inoltre esso è pure denunciato in modo inidoneo sotto il profilo del vizio motivo, che deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, e quindi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio, purchè controverso e decisivo (Cass. 5 febbraio 2011, n.2805; Cass. 29 luglio 2011, n. 16655), non già una questione di diritto (Cass. 18 luglio 2014, n. 16511), quale tipicamente quella prospettata di ultrattività di un ccnl;

che invece è fondato il secondo motivo, in parte qua, per la ritenuta corretta interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nel senso che la violazione di norme di diritto possa concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perchè dotate di efficacia retroattiva: in tal caso essendo ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta; neppure nel caso di specie sussistendo il limite del giudicato, precluso anche, qualora la sentenza si componga di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale determini necessariamente anche la caducazione della parte dipendente, dalla proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale, pur in assenza di impugnazione specifica della parte dipendente (Cass. s.u. 27 ottobre 2016, n. 21691);

che pertanto il ricorso deve essere accolto in relazione al secondo motivo nei limiti detti, inammissibile il primo, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente ai sensi dell’art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (per tutte: Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (per tutte: Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062).

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 rigettati gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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