Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12912 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12912 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 17081-2012 proposto da:
DE PETRA FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
G. MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO
SCIORTINO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato NICOLA SCIORTINO giusta procura speciale in
calce al ricorso;

20,1
855

– ricorrente contro

T

CORTIS PAOLO, CORTIS LUIGI, CORTIS ELISABETTA, CORTIS SABINA,

I

SERLUPI CRESCENZI GREGORIO, SERLUPI CRESCENZI MARIA GIULIA,
CORTIS MARIA, TRIVERO MARIA, TRIVERO GUIDO e FERRRARIS DI
CELLE CRISTINA, elettivamente domiciliati in ROMA,
CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 23/06/2015

EMILIO STERPETTI, che li rappresenta e difende giuste procure
speciali in calce al controricorso;
controricorrenti

avverso la sentenza n. 2547/2011 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 07/06/2011, R.G.N. 3749/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
dell’8/04/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato EMILIO STERPETTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per l’inammissibilità
o, in subordine, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con decreto ingiuntivo dell’il marzo 2000, il
Tribunale di Roma ingiunse a Paolo, Luigi, Elisabetta, Sabina
e Maria Cortis, Gregorio e Maria Giulia Serlupi Crescenzi,
Maria e Guido Trivero e a Cristina Ferraris Di Celle, il
pagamento, in solido, della somma di lire 213.485.510, oltre
gli interessi legali e le spese della procedura monitoria, in
favore di Francesco De Petra, dottore commercialista.
1.1. – Dedusse il ricorrente di aver ricevuto dai
predetti ingiunti, in data 23 giugno 1997, incarico di
consulenza finalizzato alla cessione del pacchetto di quote
sociali detenuto dai medesimi ingiunti, nella misura
complessiva dell’86,32%, del capitale dell’Ungheria Società
Alberghiera a r.l. (proprietaria delle mura e dell’azienda
“Hotel Claridge”, sita

in

Roma, Viale Liegi n. 62), con

pattuizione di un compenso, legato al buon esito delle
trattative, pari all’i% del valore complessivo della
cessione.
Sostenne, altresì, che detto incarico era stato
preceduto da altro, datato 14 gennaio 1997, con cui gli venne
conferito, congiuntamente al dottore commercialista Poggi
Lamberto, l’incarico di condurre e portare a termine, entro
il 30 giugno 1997,

trattative

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per l’alienazione delle

udito l’Avvocato MASSIMILIANO SCIORTINO;

indicate quote sociali, che non giunse a buon fine nel
termine pattuito.
Ebbe invece esito positivo il secondo incarico, con la
cessione delle quote societarie al Gruppo Roscioli Hotels, in
forza del quale il De Petra provvide alla redazione di una
relazione giurata di stima del patrimonio sociale della
Ungheria Società Alberghiera a r.1., asseverata dal Tribunale

1.3. – Gli ingiunti, con distinti atti di citazione, si
opposero al predetto decreto, assumendo, tra l’altro, che non
si trattasse di contratto di mandato, bensì di rapporto di
mediazione, per il quale il De Petra non aveva diritto a
compenso, non essendo iscritto all’apposito albo
professionale.
.1.5. – Riuniti i giudizi, il Tribunale adito, con
sentenza del 17 maggio 2006, in parziale accoglimento delle
opposizioni, revocò il decreto ingiuntivo e, per l’effetto,
condannò, in solido tra loro, Paolo, Luigi, Elisabetta,
Sabina e Maria Cortis, Gregorio e Maria Giulia Serlupi
Crescenzi, Maria e Guido Trivero e Cristina Ferraris Di
Celle, al pagamento, in favore dell’opposto, della minor
somma di 3.486,00 euro, oltre interessi legali, nonché al
rimborso delle spese di lite; condannò, altresì, in solido
tra loro, Paolo, Luigi, Elisabetta, Sabina e Maria Cortis,
Gregorio Serlupi Crescenzi e Maria Trivero al pagamento, in
favore dell’opposto, della minor somma di 44.911,00 euro,
oltre interessi legali, nonché al rimborso delle spese di
lite.
2. – Avverso tale decisione proponevano impugnazione sia
il De Petra (in via principale), che le parti parzialmente
soccombenti in primo grado (in via incidentale).
2.2. – Con sentenza resa pubblica il 7 giugno 2011, la
Corte di appello di Roma accoglieva integralmente l’appello
incidentale (sulla premessa che il contratto

inter partes

fosse di mediazione, seppur atipica, e che il De Petra non
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civile di Roma.

era iscritto all’apposito albo legale) e, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, rigettava totalmente la
pretesa di pagamento avanzata, con procedimento monitorio,
dal De Petra, condannandolo, per l’effetto, alla restituzione
delle somme percepite in esecuzione della sentenza impugnata,
oltre interessi, nonché alla refusione delle spese del
secondo grado di giudizio, con totale compensazione di quelle

3. – Per la cessazione di tale sentenza ricorre
Francesco De Petra, affidando le sorti dell’impugnazione a
due motivi.
Resistono, congiuntamente, con controricorso, illustrato
da memoria, Paolo Cortis, Luigi Cortis, Elisabetta Cortis,
Sabina Cortis, Gregorio Serlupi Crescenzi, Maria Giulia
Serlupi Crescenzi, Maria Cortis, Maria Trivero, Guido Trivero
e Cristina Ferraris Di Celle.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. – Preliminarmente, i controricorrenti eccepiscono
“l’inammissibilità e improcedibilità” del ricorso proposto
dal De Petra, per aver questi notificato, in data 19 luglio
2012 – ossia oltre un anno dopo la pubblicazione della
sentenza, in data 7 giugno 2011 -, una sola copia del ricorso
nei confronti di Paolo, Luigi, Elisabetta e Sabina Cortis ed,
altresì, una sola copia nei confronti di Gregorio e Maria
Giulia Serlupi Crescenzi, Maria Cortis, Maria e Guido Trivero
e Cristina Ferraris Di Celle,

presso

il domicilio eletto

(quello dell’avv. Sperpetti) e non già personalmente alle
predette parti, in violazione degli artt. 160 e 330, comma
terzo, cod. proc. civ.
1.1. – L’eccezione è infondata sotto ogni profilo.
L’impugnazione proposta oltre l’anno solare dalla
pubblicazione della sentenza, ma ancora ammessa per effetto
della sospensione feriale dei termini (come nella specie),
deve ritenersi proposta nel termine fissato dall’art. 327
cod. proc. civ. e, pertanto, deve essere notificata nei
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di primo grado.

luoghi indicati dal primo coma dell’art. 330 cod. proc. civ.
(e, dunque, ritualmente al procuratore costituito in grado di
appello, come è avvenuto nella specie) e non personalmente
alla parte, come invece previsto dal terzo comma di detta
norma per il diverso caso di impugnazione oltre il suddetto
termine (Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23299).
Quanto all’ulteriore profilo eccepito dai

dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore
costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia
(o di un numero inferiore), è valida ed efficace nel processo
ordinario (come in quello tributario), in virtù della
generale applicazione del principio costituzionale della
ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve
ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni
endoprocessuali, regolate dall’art. 170 cod. proc. civ., ma
anche

per quelle disciplinate dall’art. 330, primo comma,

cod. proc. civ., il procuratore costituito non è un mero
consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il
destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine
alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del
termine d’impugnazione ex art. 285 cod. proc. civ., in quanto
investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in
virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione
degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni
relative allo svolgimento e all’esito del processo (Cass.,
sez. un., 15 dicembre 2008, n. 29290).
2. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art.
360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 1362 cod. civ., nonché erronea
qualificazione giuridica del rapporto controverso.
La Corte territoriale avrebbe falsamente applicato
l’art. 1362 cod. civ., utilizzando inadeguatamente il solo
criterio letterale, ai fini della individuazione della natura
giuridica del rapporto dedotto, erroneamente qualificato come

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controricorrenti, è sufficiente ribadire che la notificazione

”mediazione atipica e/o unilaterale”, e, conseguentemente,
rigettando la pretesa al pagamento del compenso
professionale, azionata in via monitoria, sulla base della
mancata iscrizione, da parte del De Petra, al ruolo dei
mediatori.
Avrebbe, infatti, errato la Corte territoriale ad
arrestare la propria indagine alla sola interpretazione

nonostante la qualificazione data della parti al rapporto era
quella di “conferimento di incarico professionale” e non
essendovi alcun riferimento ad un “incarico di mediazione”.
Il giudice di secondo grado avrebbe, pertanto, dovuto
superare il criterio letterale ed indagare l’effettiva
intenzione dei contraenti, attraverso i criteri
interpretativi sussidiari, di cui agli artt. 1365 e ss. cod.
civ.
Inoltre, la Corte di appello non avrebbe effettuato
alcuna interpretazione complessiva delle clausole, né un
raffronto tra le varie espressioni utilizzate nel contratto,
al fine di chiarirne il significato, con la conseguenza che
non risulterebbe intelligibile in base a quali elementi abbia
ritenuto di qualificare il rapporto come mediazione.
3. – Con il secondo mezzo è prospettato, in relazione
all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di
motivazione.
La Corte distrettuale avrebbe erroneamente omesso non
solo un analitico esame della lettera di incarico del 23
giugno 1997, ma anche la necessaria valutazione della stessa
in rapporto alla copiosa documentazione prodotta dallo stesso
De Petra (specificamente indicata in ricorso), comprovante
l’intensa attività svolta su incarico degli interessati,
rientrante nel novero delle prestazioni dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili, ai sensi dell’art.
2, lett. a), b) , d) e gr) del d.lgs. n. 139 del 2005.

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letterale della lettera di incarico del 23 giugno 1997,

4. – Il primo motivo è fondato, con conseguente
assorbimento del secondo.
4.1. – L’interpretazione e la qualificazione del
contratto sono due operazioni concettualmente distinte,
sebbene legate da una connessione biunivoca, in quanto volte
all’unico fine che è la determinazione dell’effettivo
regolamento nego ziale.

seconda (la qual ificazione).
L’attività interpretativa è

,

infatti,

operazione

ermeneutica, governata da criteri giuridici cogenti, che
tende alla ricostruzione del significato del contratto in
conformità alla comune volontà dei contraenti.
Una volta individuata l’intenzione comune delle parti
del contratto, il passaggio successivo è la sussunzione del
negozio in un paradigma disciplinatorio, si da apprezzarne
l’aderenza (magari anche solo parziale e/o secondo schemi
combinatori) con una fattispecie astratta, tra quelle
preventivamente delineate dal legislatore oppure conformate
dagli usi e dalle prassi commerciali, sebbene il contratto
possa anche non coincidere affatto con il “tipo” e mantenere,
come tale, la sua vocazione ad essere “legge tra le parti”,
ove sia diretto a realizzare un interesse meritevole di
tutela, ai sensi del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ.
In siffatta prospettiva, la qualificazione del contratto
ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in
concreto ad esso applicabile, con le relative conseguenze
effettuali.
L’attività di interpretazione – consistente, come detto,
nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei
contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al
giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di
legittimità, salvo che nelle ipotesi di motivazione viziata
ai sensi del n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc.< 7 itg La prima (l'interpretazione) precede logicamente la civ. o di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dagli artt. 3.362 e ss. cod. civ. L'attività di qualificazione, affidandosi al metodo della sussunzione, si risolve nell'applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica in sede di legittimità sia per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico cui si riferisce, sia per quanto riguarda la accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativa. 4.1.1. - La ricerca volta ad individuare l'effettiva voluntas dei contraenti, utile per la successiva qualificazione del negozio, non può, come accennato, prescindere dall'osservanza dai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., che rappresentano delle vere e proprie norme cogenti, le quali sono ordinate secondo un principio di gerarchia interna, in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività allorquando l'applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti (in tal senso già Cass., 21 luglio 1972, n. 2505; Cass., 14 gennaio 1983, n. 287). Sicché, proprio secondo quest'ordine gerarchico, è lo stesso art. 1362 cod. civ. - che, quale norma di apertura del "Capo" (IV del Titolo II del Libro IV del codice) dedicato alla interpretazione del contratto, si assume il compito, prescrittivo, di declinare l'oggetto dell'attività interpretativa (cioè "quale sia stata la comune intenzione delle parti") - che confina il dato "testuale", pur rivestendo esso rilievo centrale, in un ambito di per sé non decisivo, giacché l'interprete non può "limitarsi al senso letterale delle parole", ma deve indagare, per l'appunto, 8 rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come quale sia la "comune intenzione" dei contraenti anche tramite "il loro comportamento complessivo". La norma (di per sé e nel suo correlarsi alle ulteriori disposizioni che formano il Capo IV), seppure rispondente a fini intrinseci e a funzioni proprie della "materia giuridica", allude ai fondamentali stessi delle "scienze" il cui oggetto precipuo è l'analisi del linguaggio, per i quali una dimensione combinata, e non separata, di piani, ossia, quanto meno, quello semantico, quello pragmatico (da cui la forza illocutoria dell'enunciato) e quello del contesto in cui si colloca. Di qui, pertanto, l'assunto anzidetto sulla non decisività del dato testuale ai fini della ricostruzione dell'accordo, giacché - come messo in risalto dalla stessa giurisprudenza di questa Corte (Cass., 9 giugno 2005, n. 12120; Case., 10 dicembre 2008, n. 29029) - il significato delle dichiarazioni negoziali non è un paius, ma l'esito di un processo interpretativo, "il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé "chiare" e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione pzínta facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti». In altri termini, la "lettera" rappresenta la porta di ingresso della cognizione della quaestio voluntatís, che immette in un ambito composito in cui sinergicamente operano i vari canoni ermeneutici per l'appunto, la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l'integrazione (il senso complessivo) - tutti legati da un rapporto di necessità ai fini dell'esperimento del 9 il "significato" della lettera è possibile attingerlo solo in procedimento interpretativo della norma contrattuale (cfr. Cass., 28 marzo 2006, n. 7083; Cass., 8 marzo 2007, n. 5287; Cass., 3 giugno 2014, n. 12360). 4.1.2. In siffatto contesto occorre, dunque, intendere il principio (non ricompreso fra i criteri d'interpretazione del contratto accolti dal codice vigente) secondo cui "in clarls non fit interpretatio". "chiarezza" che consente di evitare ogni altra indagine interpretativa non è, infatti, "una chiarezza lessicale in sé e per sé considerata, avulsa dalla considerazione della comune volontà delle parti". Al contrario, "la chiarezza che preclude qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale è la chiarezza delle intenzioni dei contraenti". Soltanto ove lettera ed intenzione delle parti siano effettivamente chiari e tra loro coerenti potrà, dunque, arrestarsi l'indagine dell'interprete. Con la conseguenza che è da escludere che l'anzidetto principio possa trovare applicazione "nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti" (così ancora Cass. n. 25840, cit.). 4.2. - Nella specie, la Corte di appello, dopo aver trascritto parte del testo contrattuale degli atti di conferimento di incarico del De Petra (rispettivamente datati 14 gennaio 1997 e 23 giugno 1997), ha concluso nel senso che appariva «evidente, e senza alcun dubbio interpretativo (essendo sufficiente fermarsi al tenore letterale dell'atto) che tra le parti non era stato stipulato alcun atto giuridico qualificabile come mandato, poiché il rapporto che li legava era qualificabile come "mediazione" sebbene "atipica", ed anche se il dr. De Petra risultava obbligato all'attività, indicata nella missiva 14.1.1997 così come a quella del 23.6.1997, nell'esclusivo interesse dei mandanti soci della Ungheria S.r.l.». 10 Come precisato da Cass., 9 dicembre 2014, n. 25840, la Dunque, il giudice di secondo grado si è limitato a qualificare astrattamente il contratto, in termini di "mediazione atipica", attingendo al solo tenore letterale degli atti negoziali ed assumendo che ciò era "sufficiente" al fine di cogliere la volontà delle parti, senza fornire, tuttavia, alcuna contezza dell'indagine complessiva di cui la "chiarezza" del testo contrattuale doveva essere, come sopra interpretativa e non già il prius e, tanto meno, il suo oggetto. Peraltro, la Corte territoriale non ha dato neppure contezza di quali fossero, alla stregua del ragionamento interpretativo seguito, le espressioni utilizzate dalle parti che rendevano del tutto "sufficiente" l'interpretazione unicamente letterale del testo negoziale, tali da palesare chiaramente, come alfine reputato, la volontà delle stesse parti nei termini della raggiunta qualificazione contrattuale; ciò che, proprio nell'ottica prescelta dal giudice del merito, avrebbe dovuto, invero, discendere da una piena ed incontrastata congruenza tra significante (la lettera contrattuale) e significato (l'intenzione delle parti di concludere una mediazione atipica), in guisa che che il secondo fosse immediatamente comprensibile in base al primo. E, tuttavia, dallo stesso tenore letterale della lettera di incarico del giugno 1997 (che il ricorrente, unitamente alla lettera del gennaio 1997, riproduce nel ricorso e deposita ai sensi dell'art. 369 cod. proc. civ.), su cui si fondava il provvedimento monitorio opposto, non si coglie alcun riferimento non solo (e non tanto) al nomen luris "mediazione", ma, soprattutto, ad espressioni che possano ricondursi direttamente, con immediata ed in equivoca evidenza, a tale figura contrattuale seppure "atipica", posto che l'"oggetto" viene sintetizzato nell'espressione di "conferimento d'incarico di consulenza finalizzata alla cessione di quote societarie detenute nella Ungheria Società 11 evidenziato, soltanto l'esito della compiuta attività Alberghiera a r.l. al Gruppo Roscioli Hotels di Roma a società da essa partecipata" e a tale "oggetto" rinvia il conferimento di incarico ribadito nel corpo della missiva, ulteriormente indicandosi che l'incarico stesso "si aggiunge ad altro già conferito in data 14 Gennaio 1997 allo Stesso congiuntamente al Dott. Lamberto Poggi". Né, in ogni caso, la Corte capitolina ha reso evidente contratto (quello del 14 gennaio 1997) ed il secondo, posto che quest'ultimo rappresentava la fonte negoziale su cui si basava la pretesa monitoria e che rappresentava, come detto, incarico che si aggiungeva al primo. Ciò che, ancora una volta, pone in risalto lo iato tra "lettera" e "comune intenzione" dei contraenti che il giudice del merito, arrestandosi alla prima e pervenendo direttamente alla qualificazione del negozio, non ha colmato attraverso una interpretazione coerente con i canoni ermeneutici legali (primo fra tutti quello di cui all'art. 1362 cod. civ.), mancando di applicarli correttamente e, dunque, incorrendo in una violazione di tali regole, su cui si estende il sindacato dà questa Corte. 4.3. - Ne consegue, altresì, che lo scrutinio del secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia un vizio motivazionale, rimane assorbito dall'accoglimento del primo mezzo, posto che con esso si pone in discussione l'assenza di esame degli atti che avrebbero consentito al giudice di merito di indagare il comportamento complessivo delle parti al fine di ricostruirne la volontà contrattuale; profilo che la Corte di appello ha già in tesi (ritenendo sufficiente la lettera del testo) escluso di dover affrontare. 5. - Deve, quindi, essere accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il secondo. La sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che, nel procedere 12 nuovamente il ragionamento interpretativo di combinazione tra il primo all'interpretazione della comune intenzione delle parti contrattuali, si atterrà ai principi indicati ai §§ 4.1.1. e 4.1.2. e terrà conto dei rilievi di cui al § 4.2. giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. PER QUESTI MOTIVI accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in LA CORTE

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