Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12912 del 23/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/05/2017, (ud. 09/02/2017, dep.23/05/2017),  n. 12912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28696-2015 proposto da:

D.P.S. GROUP S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI ALFREDO STUDIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO MARCANTONIO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TIRSO 26, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SCETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA BALLABIO,

UMBERTO BALLABIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1080/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/11/2015 r.g.n. 747/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato ATTILIO TAVERNITI per delega Avvocato MAURIZIO

MARCANTONIO;

udito l’Avvocato ROBERTO SCETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado resa all’esito del procedimento di cui alla L. n. 92 del 2012, ha annullato il licenziamento intimato a A.M. il 26 marzo 2013 e condannato DPS Group Srl a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a pagare una indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori e spese.

Preliminarmente la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza della legittimazione processuale di DPS Group Srl in relazione al contratto di somministrazione intercorso tra Trenkwalders Srl e l’utilizzatrice Kesa Sourcing Ltd ed avente ad oggetto l’utilizzazione dell’ A. dal 3.2.2009 al 4.5.2009; ha osservato che questi, senza soluzione di continuità proseguiva la sua prestazione presso la medesima società con contratto di apprendistato sottoscritto il 29.4.2009, con scadenza il 4 maggio 2013; ha rilevato che il 28.2.2013 Kesa cedeva tutti i suoi punti vendita a DPS e conseguentemente il rapporto di lavoro dell’ A. proseguiva in capo a quest’ultima a mente dell’art. 2112 c.c.; ha ritenuto pertanto corretta la proposizione della domanda nei confronti della DPS quale utilizzatrice delle prestazioni lavorative dell’ A. secondo lo schema del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27.

Ciò posto ha considerato che, pur risultando dalle buste paga e dalla scheda professionale che l’ A. operasse presso la Kesa in qualità di lavoratore somministrato, la mancanza del contratto redatto in forma scritta configurasse un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’origine con il soggetto a favore del quale era prestata l’attività lavorativa.

La Corte milanese ne ha fatto altresì derivare “che il contratto di apprendistato stipulato il 29.4.2009 con decorrenza 5.5.09 è da ritenersi nullo per mancanza di causa giacchè al momento della stipulazione già sussisteva tra le parti un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

Secondo la Corte poi “dalla nullità del contratto di apprendistato discende altresì la illegittimità del licenziamento intimato il 26.3.13 che in tale contratto trovava fondamento e giustificazione”, con assimilabilità alla fattispecie della “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, con le conseguenze della L. n. 300 del 1970 novellato, art. 18, comma 7.

Infine la Corte territoriale ha ritenuto “assorbita ogni altra questione e ritenuta la inammissibilità delle eccezioni già sollevate nel giudizio di opposizione e riproposte in questa sede dalla società in quanto le stesse avrebbero dovuto formare oggetto di specifico reclamo atteso che comunque il giudice dell’opposizione si era implicitamente pronunciato respingendole”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso DPS Group Srl con sette motivi. Ha resistito con controricorso l’intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla dedotta inoppugnabilità dell’ordinanza in rito che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso sommario. Si deduce che nella fase sommaria il giudice aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso dell’ A. ex lege n. 92 del 2012; che in fase di opposizione proposta dal lavoratore il secondo giudice non si era pronunciato sulla eccezione della società circa “l’inammissibilità dell’opposizione stante la inoppugnabilità dell’ordinanza in rito”, rigettando nel merito la domanda del lavoratore; che in ossequio all’art. 346 c.p.c. la DPS aveva riproposto l’eccezione preliminare in fase di reclamo; che la Corte milanese aveva errato a ritenere che la questione avrebbe dovuto essere proposta dalla società con reclamo, mancando il requisito della soccombenza.

Il primo motivo è inammissibile perchè il mancato esame, da parte del giudice, di una questione puramente processuale, quale è quella della impugnabilità mediante opposizione della ordinanza in rito resa all’esito della fase sommaria del giudizio di impugnativa del licenziamento secondo la L. n. 92 del 2012, non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata).

2. Con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla dedotta infondatezza della domanda per intervenuta inefficacia della impugnativa di licenziamento proposta oltre il termine decadenziale di 180 giorni decorrente dalla impugnazione stragiudiziale del licenziamento da ritenersi avvenuta il 24 maggio 2013, data della consegna della lettera così datata al sindacato di appartenenza, a nulla rilevando “la data di spedizione o consegna della raccomandata, risultando indubitabile (in quanto acclarato in documento di avversa formazione e confermato dalla mancata contestazione) che il lavoratore ha espresso e manifestato l’intenzione di impugnare il licenziamento proprio in data 24 maggio 2013”.

La censura non può trovare accoglimento.

Infatti, è ormai consolidato il principio, nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, per il quale, in caso di nullità della sentenza o del procedimento (tra cui l’omessa pronuncia), condivisibili esigenze di economia processuale impongono un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., u.c., tanto da evitare la cassazione con rinvio quando la pretesa, sulla quale si riscontri mancare la pronuncia, avrebbe dovuto essere rigettata o potuto comunque essere decisa nel merito, purchè – beninteso – senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto (in termini: Cass. n. 21257 del 2014; Cass. n. 17672 del 2013; Cass. n. 10747 del 2012; Cass. n. 9735 del 2012; Cass. n. 24914 del 2011; Cass. n. 5139 del 2011; Cass. n. 2313 del 2010; v. pure Cass. SS.UU. n. 13617 del 2012).

Orbene nella specie l’assunto della società rispetto al quale si lamenta l’omessa pronuncia della Corte di Appello, secondo cui la data dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, ai fini del decorso del termine di decadenza L. n. 604 del 1966, ex art. 6 sarebbe quella della consegna della missiva al sindacato in luogo di quella della spedizione, è privo di fondamento, perchè è solo da questo secondo momento che inizia il procedimento di comunicazione a rilevanza esterna e verificabile ex post e non il mero atto endogeno di consegna dell’impugnativa al sindacato di appartenenza.

3. Con il terzo motivo si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla eccezione, formulata dalla società in primo grado e riproposta in appello, di decadenza del lavoratore dal diritto di impugnare il contratto di somministrazione asseritamente intercorso tra l’originaria utilizzatrice e l’agenzia interinale, con violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 346 c.p.c. e della L. n. 183 del 2010, art. 32.

Dopo aver rammentato che il Tribunale di Milano in primo grado aveva respinto le pretese dell’ A. per “insussistenza di legittimazione processuale passiva della DPS Group srl”, senza così statuire in ordine “alla pur sollevata eccezione di decadenza per omessa impugnazione dell’originario contratto di somministrazione”, parte ricorrente riporta i contenuti della propria memoria di costituzione in appello con cui detta eccezione di decadenza veniva comunque riproposta al Collegio del gravame. Con essa si deduceva che il lavoratore era “decaduto dal diritto di impugnare (anche per nullità) il contratto di somministrazione intercorso con l’originaria utilizzatrice (Kesa Sourcing Limited) e l’agenzia interinale (Trenkwalders Srl)”, per decorso del termine di 60 giorni previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 da considerarsi applicabile anche ai contratti di somministrazione già conclusi alla data di entrata in vigore di detta legge.

Il Collegio reputa il motivo, con il quale correttamente si denuncia secondo il paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, fondato.

Invero non vi è argomentata decisione della Corte milanese sull’eccezione di decadenza dall’impugnativa del contratto di somministrazione avente natura sostanziale e pregiudiziale.

Anche a voler ritenere che la Corte di Appello si sarebbe pronunciata con quell’inciso, riportato nello storico della lite, che ha ritenuto “assorbita ogni altra questione e… la inammissibilità delle eccezioni già sollevate nel giudizio di opposizione e riproposte in questa sede dalla società in quanto le stesse avrebbero dovuto formare oggetto di specifico reclamo” – ferma l’impossibilità di riferire con certezza tale affermazione ancipite all’assorbimento ovvero all’inammissibilità della questione di cui qui si controverte, posto peraltro che in alcun punto della sentenza impugnata vengono specificati i contenuti delle eccezioni proposte in appello dalla società – in ogni caso la statuizione della Corte territoriale sarebbe processualmente errata. Infatti, come rettamente evidenziato nel motivo di gravame in esame, la società, completamente vittoriosa in prime cure, non era ammessa all’impugnazione in difetto del requisito essenziale della soccombenza, essendo sufficiente che la questione fosse riproposta nel grado superiore per non essere ritenuta rinunciata a mente dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 12067 del 2007; successive conformi, tra le altre, Cass. n. 6550 del 2013; Cass. n. 9889 del 2016).

La questione è connotata da intrinseca decisività potenziale in quanto, aderendo ai principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 2420 del 2016 (cfr., in materia di licenziamento, Cass. n. 13598 del 2016, n. 24258 del 2016, n. 22490 del 2016), anche il contratto di somministrazione di cui si controverte, stipulato antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, avrebbe dovuto essere impugnato nel termine di decadenza.

Inoltre dalla nullità del contratto di somministrazione ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003 la Corte milanese ha fatto discendere “la configurazione di una subordinazione a tempo indeterminato fin dall’origine con il soggetto a favore del quale era prestata l’attività lavorativa”; da ciò ha fatto altresì derivare “che il contratto di apprendistato stipulato il 29.4.2009 con decorrenza 5.5.09 è da ritenersi nullo per mancanza di causa giacchè al momento della stipulazione già sussisteva tra le parti un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”; infine, secondo la Corte di appello, “dalla nullità del contratto di apprendistato discende altresì la illegittimità del licenziamento intimato il 26.3.13 che in tale contratto trovava fondamento e giustificazione”.

Quindi la preclusione determinata dalla decadenza si riverbererebbe in modo decisivo su tutte le pronunce consequenziali adottate nella sentenza impugnata, compresa quella che ha condotto all’annullamento del licenziamento.

4. Conclusivamente, respinti i primi due motivi di ricorso, deve essere accolto il terzo, onde consentire alla Corte territoriale di pronunciarsi sull’eccezione di decadenza sostanziale sollevata dalla società, con assorbimento degli altri quattro motivi da considerare successivi in ordine logico-giuridico.

Pertanto la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e provvederà anche alla liquidazione delle spese.

PQM

 

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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