Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12911 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12911 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 16909-2012 proposto da:
RUBINO RAFFAELE e FUSCALDI ROSARIA, elettivamente domiciliati
in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio
dell’avvocato NICOLA MARCONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato LEONARDO BRESCIA giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrenti conto
UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A., in persona del

02ms

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

834

in ROMA, V.LE B.BUOZZI 77, presso lo studio dell’avvocato
FILIPPO TORNABUONI, rappresentato e difeso dall’avvocato
PAOLO LATERZA giusta procura speciale in calce al
controricorso;

1

Data pubblicazione: 23/06/2015

MPS GESTIONE CREDITI BANCA S.P.A., non in proprio, ma
esclusivamente in nome e per conto della “BANCA MONTE DEI
RASCHI DI SIENA S.P.A.”, in persona del dottor ROBERTO
BANDINI, nella qualità di Responsabile dell’Ufficio
Periferico di Bari della MIPS Gestione Crediti Banca S.P.A. e
come tale legale rappresentante della medesima per gli affari
dell’Ufficio Periferico, elettivamente domiciliata in ROMA,

ROMANO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale
in calce al controricorso;
– cont=oricorrenti nonché contro
BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA, ANIMEX EXPORT – IMPORT ZOO,
BANCA INTESA SAN PAOLO S.P.A., FICCO NICOLA e VINCIGUERRA
CARMELA;
– intimati avverso la sentenza n. 198/2012 della CORTE D’APPELLO di
BARI, depositata il 28/02/2012, R.G.N. 720/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
de11 1 8/04/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato CHIARA PESCE per delega;
udito l’Avvocato DAVIDE ROMANO;
udito l’Avvocato FILIPPO TORNABUONI per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Nel gennaio 1992, i coniugi Raffaele Rubino e
Rosaria Fuscaldi stipularono, con i coniugi Nicola Ficco e
Carmela Vinciguerra, un contratto di compravendita avente ad
oggetto un appartamento sito in Cerignola alla Via Magna
Grecia n.1/A, con box annesso al civico 1/C n. 2, e

il

pianterreno con accesso da Via Osteria Ducale n. 5, per un
prezzo complessivo di lire 121.000.000.

VIA DE CAMILLIS 4, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE

Il Credito Italiano S.p.A. convenne in giudizio sia i
coniugi alienanti (Ficco e Vinciguerra), che quelli
acquirenti (Rubino e Fuscaldi), per sentir dichiarare il
contratto simulato e, quindi, nullo, poiché stipulato in
frode ai creditori, tra cui appunto la Banca attrice, che
vantava nei confronti del Ficco e della Vinciguerra un
credito pari a lire 223.055.833, come da decreto ingiuntivo

A fondamento della domanda, il Credito Italiano dedusse:
la contestuale alienazione in pochi giorni di tutti i beni
mobili ed immobili da parte dei coniugi Ficco e Vinciguerra;
la vendita di due beni alla medesima persona, il Rubino,
tramite il contratto che si assumeva simulato; le forti
esposizioni debitorie dei venditori verso essa banca attrice;
l’indicazione di prezzi irrisori e la trascrizione immediata
dell’atto pubblico di vendita, avvenuta nel giorno successivo
alla stipula.
Si costituirono in giudizio i coniugi Rubino e Fuscaldi,
chiedendo il rigetto della domanda.
Intervennero in causa altri Istituti bancari,
dichiarandosi creditori dei convenuti, i quali chiesero la
dichiarazione di nullità del contratto simulato e
l’inefficacia dello stesso in quanto realizzato in frode ai
creditori.
Istruita la causa (con espletamento di interrogatorio
formale dei convenuti e c.t.u.), l’adito Tribunale di Foggia,
con sentenza del settembre 2006, dichiarò simulato il
e

contratto di compravendita e, pertanto, nullo ed inefficace
nei confronti degli Istituti di credito.
2. – Avverso tale sentenza interponevano appello
coniugi Rubino e Fuscaldi, lamentando un’errata valutazione
delle risultanze istruttorie e contestando gli elementi
presuntivi su cui era stata ritenuta fondata la simulazione
del contratto.
3

emesso nel febbraio 1992.

Nel contraddittorio con gli Istituti bancari già parti
del primo giudizio, la Corte di Appello di Bari, con sentenza
resa pubblica il 28 febbraio 2012, rigettava l’impugnazione.
2.1. – A tal fine, il giudice del gravame osservava:
a)

che il primo giudice aveva fondato il proprio

convincimento in base ad una serie di elementi (ingente
esposizione debitoria degli alienanti; immediata trascrizione

inferiore a quello di mercato”; mancata prestazione di
interrogatorio formale delle convenute; mancata dimostrazione
dal pagamento del corrispettivo; modestia del reddito
familiare degli acquirenti), i quali, ai fini della prova
della simulazione, andavano valutati anche “nella convergenza
globale”;
b)

che non era concludente la doglianza concernente

l’effettiva occupazione dell’immobile da parte del figlio di
Rubino Raffaele, il quale avrebbe, a sue spese, ristrutturato
l’appartamento, giacché dedotta solo in appello e, quanto
alla avvenuta ristrutturazione, neppure provata, là dove,
inoltre, la mancanza di univocità dell”elemento di prova”
derivava pure dal fatto che la residenza anagrafica del
figlio del Rubino risultava solo dopo sei anni dalla stipula
del contratto e l’instaurazione del giudizio;
e) che la circostanza della immediata trascrizione
poteva anche attribuirsi alla particolare efficienza dello
studio notarile, mentre assumeva “ben diversa rilevanza” il
fatto della “controversa corresponsione del prezzo”;
d) che, proprio in relazione al pagamento del prezzo
della compravendita (indicato nell’atto pubblico in lire 91
milioni per l’appartamento e box ed in lire 30 milioni per il
vano al piano terra), il Rubino, in sede di interrogatorio
formale, aveva affermato di aver corrisposto lire 120/130
milioni per l’appartamento e lire 40 milioni per il vano,
somme pagate, quanto a lire 50 milioni, con tre assegni ed il
resto in contanti, senza tuttavia che le parti convenute

4

dell’atto di vendita; prezzo di acquisto “di gran lunga

avessero mai fornito prova di tale pagamento; peraltro,
ancorché “l’attività di commerciante di carni, svolta dal
Rubino” rendesse “plausibile la capacità economica degli
acquirenti e la disponibilità di considerevoli quantità di
denaro contante, l’addebito della fittizietà del
trasferimento avrebbe dovuto indurre tutti i convenuti ad
offrire, o quanto meno conservare, le prove dei pagamenti

l’estratto di conto corrente prodotto non forniva
“indicazioni sulle generalità del beneficiario dei titoli”;
e) che tali elementi convergevano nel senso della
insussistenza della “dazione del prezzo di acquisto” e,
dunque, della simulazione assoluta della vendita, trovando
conforto le “emergenze innanzi esaminate” anche nel mancato
espletamento dell’interrogatorio formale da parte delle
convenute.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono
Raffaele Rubino e Rosaria Fuscaldi affidando le sorti
dell’impugnazione ad un unico articolato motivo.
Resistono con separati controricorsi la M.P.S. Gestione
crediti Banca S.p.A., in nome e per conto della Banca Monte
dei Paschi di Siena, e la Unicredit Management Bank S.p.A.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede le
altre parti intimate: Banca Antoniana Popolare Veneta, Anímex
Export-Import Z.O.O., Banca Intesa San Paolo S.p.A., Nicola
Ficco e Carmela Vinciguerra.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico articolato mezzo è denunciata, ai

sensi

dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione
degli artt. 1415, 1417, 2727, 2729, 2697 cod. civ. e 115,
116, 232 cod. proc. civ., nonché omessa insufficiente e
contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ.
1.1. – La Corte territoriale, nel valutare in modo
globale i requisiti dà gravità, precisione e concordanza
5

cartacei”; il che non era avvenuto, là dove, infine,

degli elementi presuntivi posti a fondamento della
simulazione, avrebbe errato nell’omettere un apprezzamento
frazionato degli stessi al fine di valutare preventivamente
la rilevanza dei singoli indizi e di stabilire quelli
significativi che sarebbero poi potuti rientrare nell’ambito
di una valutazione complessiva.
In particolare, il giudizio di sintesi effettuato dal

motivazione sotto il profilo logico e giuridico.
1.2. – Quanto alla genericità della contestazione della
domanda ed alla mancanza di indicazione della finalità
dell’acquisto, evidenziate nella sentenza impugnata, la
contraddittorietà e illogicità della motivazione sarebbero
evidenti là dove a tale affermazione segue il rilievo che,
secondo il rito applicabile ratione témporis, non gravava
sulle parti un onere di specifica contestazione.
In realtà, nel costituirsi in giudizio, i convenuti
avevano contestato il contenuto dell’atto di citazione,
sostenendo che era stato stipulato un “regolarissimo”
contratto tra le parti e che relativamente alla vendita di
due diversi beni alla stessa persona (elemento presuntivo
evidenziato dalla banca attrice), si poteva evincere
chiaramente

ex actis la finalità dell’acquisto, per cui un

appartamento era destinato ad abitazione e l’altro allo
svolgimento dell’attività di macelleria. Essendovi, dunque,
elementi presuntivi che andavano a favore dei ricorrenti, la
Corte di Appello avrebbe invertito l’onere della prova sulla
“fittizietà del trasferimento”, che gravava invece sulla
parte attrice e che non era stato assolto.
1.3.

In

riferimento,

poi,

ai

lavori

di

ristrutturazione eseguiti dal figlio del Rubino e che,
secondo il giudice del merito, non sarebbero stati dimostrati
(e ove lo fossero stati, avrebbero potuto fornire prova della
“reale volontà transattiva”), la motivazione della sentenza
impugnata sarebbe contraddittoria rispetto al precedente
6

giudice di merito non sarebbe sorretto da adeguata e corretta

rilievo secondo cui le parti non avevano contestato in modo
specifico la domanda.
Inoltre l’esecuzione dai lavori di ristrutturazione del
bene compravenduto sarebbe stata provata dalla c.t.u.
espletata in primo grado, là dove il consulente affermava che
“l’immobile si presentava di fatto rinnovato”.
Dunque, anche per tale aspetto sarebbe stato invertito

in favore dei coniugi Rubino, spettava alla controparte
provare la “retentio possessionis in capo ai venditori”.
1.4. – Quanto, inoltre, all’ulteriore indice presuntivo
preso in considerazione dalla Corte distrettuale e
consistente nella repentina trascrizione dell’atto pubblico
di vendita, l’illogicità della sentenza consisterebbe nel
fatto che il giudice ha affermato, da una parte, che ciò
denotava una “indubbia urgenza dei contraenti”, dall’altra
che poteva trattarsi di una “particolare efficienza dello
studio notarile”.
1.5. – Sulla prova della corresponsione del prezzo di
acquisto degli immobili, la decisione Impugnata sarebbe
contraddittoria poiché, pur ammettendo che nel commercio di
carni sia plausibile una capacità economica degli acquirenti
ed una considerevole disponibilità di denaro contante, si
sarebbe, poi, preteso dalle parti contrattuali quanto meno la
dimostrazione dei “pagamenti cartacei”. Ciò in contraddizione
con il fatto che il pagamento doveva ritenersi avvenuto
proprio in moneta contante, almeno per la parte di somma di
lire “120/130.000.000” che il Rubino aveva dichiarato, in
sede di interrogatorio formale, di avere così corrisposto.
Inoltre, anche quanto alla esclusa sussistenza della
prova del pagamento del saldo dell’acquisto, che lo stesso
Rubino sosteneva di aver pagato in assegni per lire
50.000.000, la motivazione della sentenza Impugnata sarebbe
inadeguata ed illogica, giacché gli indizi deponevano a
favore di essi acquirenti.
7

l’onere della prova, giacché in presenza di indici presuntivi

1.6. – Relativamente all’esiguità del prezzo, anche tale
elemento presuntivo sarebbe stato erroneamente valutato dal
giudice di merito, poiché in base ai valori degli
appartamenti stimati dal consulente d’ufficio, da cui
andavano detratte le spese di ristrutturazione,

il

complessivo prezzo di acquisto non potrebbe dirsi di gran
lunga inferiore a quello di mercato.

stata un’omessa o insufficiente motivazione nel non aver
valorizzato il contenuto dell’atto pubblico del 28 gennaio
1992, in cui si

legge:

“prezzo che la parte venditrice

dichiara di aver ricevuto prima d’ora dalla parte acquirente,
alla quale ne rilascia ampia quietanza a saldo”. Il notaio
rogante nell’utilizzare il verbo, nella forma al presente
indicativo, avrebbe attestato un fatto avvenuto in sua
presenza, il rilascio della quietanza, e ciò farebbe piena
prova fino a querela di falso ex art. 2700 cod. civ.
1.8. Infine, il mancato espletamento
dell’interrogatorio formale per mancata comparizione delle
convenute sarebbe circostanza incongruamente valorizzata
dalla sentenza impugnata, in carenza, altresì, di
comparazione di tale elemento con le risultanze
dell’interrogatorio formale del Rubino, là dove, peraltro,
vertendo l’oggetto dell’interrogatorio sulla “controversa
corresponsione del prezzo di acquisto degli immobili”, la
stessa Corte territoriale aveva già ritenuto “pacifico che il
prezzo di acquisto in contanti degli immobili compravenduti
fosse stato effettivamente corrisposto”.
2. – Il motivo, nella sua intera articolazione (che,
sebbene richiami anche violazioni di legge, si concentra
essenzialmente nella denuncia di vizi della motivazione, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), non
può trovare accoglimento.
2.1. – Occorre, anzitutto, rammentare che, in tema di
accertamento della simulazione di un contratto, spetta al
8

1.7. – Sulla prova dell’avvenuto pagamento vi sarebbe

giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei
singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo
analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un
giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità
se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il
profilo logico e giuridico (tra le tante, Cass., 2 ottobre
1973, n. 2456; Casa., 21 dicembre 1977, n. 5670; Cass., 6

2.2. – La Corte territoriale, con la sentenza impugnata,
si è mantenuta nell’alveo del ricordato principio, dapprima
esaminando i singoli elementi di prova che avevano fondato il
convincimento del giudice di primo grado in ordine alla
sussistenza della simulazione e, poi, nel condividere la
decisione del Tribunale, confutando gli argomenti di critica
addotti dagli appellanti (sulla presenza del figlio del
Rubino nell’appartamento oggetto del contratto; sullo
svolgimento dei lavori di ristrutturazione; sulla
trascrizione dell’atto pubblico; sulla corresponsione del
prezzo; sul mancato espletamento dell’interrogatorio formale
delle convenute), per giungere, infine, in base ad un
apprezzamento sintetico e complessivo, a reputare sussistente
la simulazione della compravendita.
2.3. – Né la motivazione adottata dalla Corte di appello
(cfr. anche la sintesi al § 2.1. del “Ritenuto in fatto” che
precede) presta il fianco alle doglianze di parte ricorrente.
In particolare:
a) quanto alla censura
portata effettiva della

sub

1.2., essa non coglie la

ratio decidendi

della decisione

impugnata, giacché il giudice di appello ha soltanto inteso
assunto come elemento di convincimento la relazione
sussistente tra la genericità delle difese dei convenuti in
primo grado, in riferimento alle finalità dell’acquisto, e la
più precisa deduzione effettuata in sede di gravame (profilo
che, nella sua portata, non è effettivamente contestato dai
ricorrenti), la quale atteneva alla occupazione
9

settembre 2002, n. 12980; Casa., 28 ottobre 2014, n. 22801).

dell’appartamento da parte del figlio Rubino ed alla
ristrutturazione dello stesso; circostanze che, in ogni caso,
sono state ritenute o non provate (la ristrutturazione)
oppure equivoche (la occupazione dell’immobile, giacché
risultante solo “dopo sei anni dall’avvio del giudizio”);
b)

quanto alla censura

sub

1.3., esclusa la

contraddittorietà della motivazione in ragione di quanto
sub a),

la doglianza, che fa leva sulle

risultanze della c.t.u., si palesa del tutto carente di
decisività, giacché dallo stesso ricorso (senza, peraltro,
che siano riportati per intero i passi rilevanti della c.t.u.
che precedono lo stralcio trascritto) si evince che il
giudizio del consulente è, comunque, frutto delle presupposte
dichiarazioni dello stesso Rubino e che, in ogni caso, non
elide la valenza dell’apprezzamento del giudice del merito
sulla mancanza non solo di prova, ma ancor prima di
allegazione sulla esecuzione, proprio da parte degli stessi
acquirenti direttamente o tramite il proprio figlio, dei
lavori di ristrutturazione;
c)

quanto alla censura

sub 1.4.,

essa non coglie la

ratio decidendi della sentenza impugnata, giacché la Corte
territoriale non ha annesso alcuna reale valenza indiziaria
alla circostanza della immediata trascrizione dell’atto di
acquisto, che, dunque, non è stata affatto valorizzata ai
fini del giudizio presuntivo;
d) quanto alla censura sub 1.5., essa non attinge, in
ogni caso, la motivazione del giudice di appello sulla
mancata prova del pagamento che avrebbero dovuto dare le
parti contraenti (alienanti ed acquirenti) convenute in
giudizio, sia per la parte “in contanti”, sia per quella in
assegni, non potendosi ravvisare alcuna contraddizione con il
rilievo, ad opera dello

stesso

giudice, sulla capacità

economica e disponibilità di “contante” in capo agli
acquirenti e sulla modestia del reddito degli alienanti, il
quale rilievo non elide il fatto, con valenza indiziaria

di

lo
A.5

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